Sgusciò fuori dal suo letto, scivolando come un'anguilla e recuperò la valigia che aveva posizionato sotto il suo materasso.
Era una delle valigie di sua madre, l'aveva usata per trasferirsi in Transilvania quando era stata trovata in Romania... lì i mostri sono poco frequenti e quindi più deboli, gli umani avrebbero potuto facilmente eliminarli.
La valigia era di un rosso consumato, piccola, facile da trasportare, Andrea si era premunita di riempirla solo con provviste e qualche ricambio, ma i vestiti pomposi che era solita indossare non ci sarebbero mai entrati.
Dentro c'era solo una maglietta è un pantaloncino che aveva trovato nell'armadio, di dubbia provenienza.
Cercando di fare meno rumore possibile, Andrea si avvicinò alla finestra: la probabilità che quella sera vi fosse la luna piena era scarsa, quasi nulla.
Stando a quanto diceva la mostro-cronaca, non si sarebbe trasformata prima di tre giorni... il che, in realtà, era più che un bene: l'impulsività di un licantropo, non si sposava bene con un piano di fuga, oltre al fatto che le dimensioni raddoppiate del suo corpo non sarebbero passate inosservate.
La camera di suo padre distava dalla sua per un solo corridoio, largo come un salotto e pieno zeppo di gioielli appesi al muro, protetti da piccole teche... alcuni erano rimasti immutati dal tempo, altri avevano cambiato aspetto e colore, alcuni conservavano perfino macchiette di sangue dei loro antichi possessori.
Al centro del corridoio, incorniciato da una forma ovale, in platino e argento, si ergeva un enorme specchio, nel quale turbinava una nebbia biancastra.
Andrea deglutì quando comprese che non c'era altro modo di arrivare alla porta, se non passando di lì.
Poi si ricordò di essere nel suo palazzo, un luogo dove nessuno le aveva mai fatto del male, se non per educarla... dove nessuno la voleva morta, raggruppò tutta la forza che aveva e inspirò profondamente mentre attraversava il corridoio.
Giunta di fronte allo specchio, un vento gelido si strinse attorno al suo collo e per un momento si sentì osservata.
Voltandosi, però, non c'era assolutamente nessuno, il nulla assoluto, solo lei e il suo respiro.
Tranquillizzata, tentò di proseguire.
"Dove vai?"
Una voce fresca e limpida la fece sobbalzare, il suo cuore perse un battito e per un secondo tutte le lacrime che aveva contenuto per una vita minacciarono di uscire... poi, una furia incontrollata si scatenò dentro di lei, dalla punta dei piedi a quella del naso e si voltò con gli occhi infuocati verso chiunque le avesse rivolto la parola.
Aveva paura che, presto, le scosse elettriche l'avrebbero colpita di nuovo e lei non avrebbe potuto più reagire, ma la rabbia sparì all'improvviso quando vide chi aveva parlato.
Appoggiata alla cornice del grande specchio argento vi era una donna stupenda, tra le più belle che avesse mai visto, con le labbra blu e la carnagione pallida di un cadavere.
Aveva indosso dei guanti, una quantità indecifrabile di bracciali e un vestito con le maniche a sbuffo la cui gonna era nascosta dall'altro lato dello specchio.
La sua intera figura era sui toni del bianco e dell'azzurro, i suoi occhi parevano riempiti di mare e schiuma e i suoi capelli ricci le esplodevano in testa, ricoperti di brillanti.
"Calmati tesoro" la sua voce fresca e dolce seguì tutta la schiena di Andrea, che la osservava muta da circa un minuto.
"Santo cielo, ti ho solo chiesto dove vai..."
"Io..." sarebbe sciocco per un lupo mannaro fermarsi a riflettere una volta dopo aver aperto bocca, non avrebbero la capacità di staccarsi dalla loro impulsività neanche per un momento.
È per questo che Andrea non le chiese chi fosse, prima di raccontarle tutto.
"E quindi vorresti scappare, dunque dunque dunque..." la dama arricciò il naso, tenendosi il viso tra le mani.
"Si, hai ragione credo che dovresti, dopotutto il proprio destino si trova così... fuggendo. O meglio, così il tuo destino ha l'opportunità di trovare te..."
Allungo la mano e le diede un buffetto sulla testa che le cosparse il volto di brina leggera e, nonostante fosse confortante che fosse d'accordo con lei, Andrea non aveva ancora la minima idea di con chi stesse parlando.
"Chi sei tu?" Domandò allora, alzando di scatto la testa e la donna scoppiò in un'inaspettata risata.
"Ahahahaha tesoro scusami...mi dimentico sempre dei ricordi... ahahahah, è davvero esilarante ahahahahah"
"Ti prego, fa piano!" Andrea si voltò a guardare la porta della camera del padre, per fortuna ancora chiusa e poi ritornò alla sua interlocutrice.
"Ma di cosa ti preoccupi, con tutte quelle amanti, vuoi che il tuo vecchio non abbia una camera insonorizzata?"
Un'altra scarica di rabbia, come si permetteva a parlare così della sua famiglia? Ma ancora una volta le sue emozioni venivano deviata da... altro.
Per una volta le scariche elettriche non centravano, sembrava che quella donna riuscisse a placarla, forse era vittima di un incantesimo.
"Non ti ricordi... la tua amata Dalia?"
Parlò allora la dama dello specchio, sorridendole per l'ennesima volta e Andrea si chiese se non si trattasse di sorrisi di circostanza.
Poi sgranò gli occhi, un pensiero le oltrepassò la mente, come una freccia di luce in un cielo notturno senza stelle.
Dalia.
Con un potere come il suo, Andrea aveva passato un'infanzia povera di gioia e relazioni... suo padre temeva che affezionarsi a troppe persone avrebbe indebolito la sua rabbia e sua madre... lei semplicemente credeva che la rabbia di sua figlia fosse l'unica cosa di cui il marito era innamorato.
Per questo motivo, a parte Celia, Andrea non aveva altre amiche.
Un giorno però, una donna era arrivata a palazzo, dolce, buona, dalla risata contagiosa... la vedeva poco e per qualche motivo era sempre nascosta, negli angoli delle torri, nei cespugli del giardino, nelle cucine...
Dalia, doveva essere lei.
Non sapeva cosa fosse successo dopo, semplicemente un giorno c'era e il giorno dopo non più... quello che temeva sarebbe successo alla sua vita, a quella di Celia, alla barriera.
"Dalia" alzò la testa di scatto e la guardò negli occhi.
"Dove sei stata? Tutto questo tempo, tutti questi anni..."
"Oh sai come si dice tesoro" Dalia si strinse nelle spalle, incurante dell' esagerata scollatura del suo vestito, e assunse un'aria triste e rassegnata...
"L'ombra può anche nasconderti, ma nulla può contro la luce."
Come ad aver udito le sue parole, un piccolo fascio di luce lunare invase i contorni dello specchio e Dalia afferrò la mano di Andrea, agitata.
Le poggiò un piccolo oggetto sul palmo e poi le chiuse la mano , Andrea strinse il pugno nonostante i contorni appuntiti di quello che aveva all'interno.
Grosse lacrime color mirtillo sgorgarono fuori dagli occhi della dama, che si ributtò nello specchio, intonando una triste melodia.
***
Quando Andrea aprì il pugno vide una piccola chiave di bronzo, tendente al rossiccio, a cui era attaccato un piccolo cartellino: Grotta da notte, Michaele Corne, chiave secondaria.
Rilesse più volte sbigottita, credeva di avere tutte le chiavi del castello, in quanto principessa, credeva che non le nascondessero niente... ma ora che ci pensava, come poteva credere che due mostri, seppur i suoi genitori, condividessero tutte le loro informazioni con un'insulsa ragazzina?
La sua espressione era corrucciata, avanzava a grandi passi verso la porta, con le guance rosse per le scosse elettriche e la museruola che diventava incandescente.
Arrivata di fronte al grande portone, il dolore era insopportabile, più la sua rabbia aumentava, più contenere le emozioni diventava difficile.
E lei era arrabbiata perché non le avevano detto tutto, era arrabbiata perché non sapeva cosa era successo a Dalia o forse neanche se lo ricordava, era arrabbiata perché sapeva poco di tutto e la sola parola di una sagoma in uno specchio era bastata ad incrinare il sottile vetro della campana sotto cui l'avevano posta senza che lei ne fosse a conoscenza.
Era frustrante, non sapere cosa aspettarsi era frustrante.
Pregava che Celia dormisse ancora nella sua stanza, pregava che la luna non si riempisse all'improvviso, pregava che entro la fine della notte avrebbe potuto respirare aria pulita, senza diamanti o pesante argento.
La porta della camera di suo padre aveva le dimensioni di un titano, era violacea, con decorazioni in foglia oro e una grossa serratura al lato.
Non si era mai avvicinata così tanto da rendersi conto di quanto fosse grande, le chiavi di cui era in possesso non sarebbero servite a nulla.
Guardò la chiave di Dalia che ancora stringeva nella mano destra e la esaminò attentamente, fino a scoprire un piccolo interruttore sulla parte finale.
L'ombra potrebbe anche nasconderti... ma nulla può contro la luce.
Si allontanò di qualche passo e si posizionò di fronte alla serratura, temeva che il padre si sarebbe svegliato, che l'avrebbe scoperta, ma non conosceva altri modi per entrare.
Distese il braccio con la chiave davanti a se e premette l'interruttore: un fascio di luce dorata si accese davanti e lei, creando un ombra scura che seguiva i contorni della serratura, passò solo qualche secondo, poi la luce cessò e nel corridoio tornò l'inconfondibile gelo dell'oscurità.
Andrea mise una mano sulla grossa maniglia in metallo che le si trovava davanti, ma la porta era ancora chiusa.
Furiosa e stordita tentò di contenere e direzionare le scosse elettriche che vagavano irrequiete sotto la sua pelle.
Stava per tornare allo specchio, per tentare di parlare con Dalia, quando un buco enorme si aprì sotto i suoi piedi.
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HIDDEN - nascosta nel male
Hombres LoboPrimo libro dell'ipotetica trilogia di HIDDEN. La Barriera era comparsa al confine della Foresta Hoia Baciu, in Transilvania, e non era altro che un gigantesco muro immaginario saturo di nebbia: sembrava si trattasse di strati sovrapposti l'uno sull...