Nove

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L'indomani, il sole si levava lentamente, tingendo il cielo di sfumature calde e delicate. Il silenzio della casa era rotto solo dal ticchettio dell'orologio sul comodino.

Sentii un brivido e mi domandai come mio fratello riuscisse a dormire così profondamente con una gamba completamente fuori dalle coperte. Controllai che ora fosse e dato che non mancava molto prima del solito orario in cui ci alzavamo per andare a scuola, mi infilai le pantofole e mi diressi in cucina.

Mamma era già lì, seduta al tavolo, con ancora gli abiti della sera prima. Sembrava non aver dormito affatto.

La vidi sconvolta con lo sguardo fisso nel vuoto e i capelli spettinati e le mani che tremavano e a stento tenevano la tazza col tè dentro. Per la prima volta la vidi in disordine, come se avesse perso il lume della ragione. Era completamente persa nei suoi pensieri. 

«Ciao, mamma.» esclamai con titubanza.

Senza rispondermi, si asciugò una lacrima che le stava scivolando sul viso, si alzò di scatto e con un sorriso forzato mi avvicinò dei biscotti presi dalla credenza.

Prese nuovamente posto a tavola e, come se cercasse a fondo qualcosa da dire, tamburellava le dita sulla tazza. Mi chiesi da quanto tenesse la bevanda là dentro. Da quando mi ero alzato, non aveva ancora fatto un sorso; doveva essere freddo quanto il pavimento di casa durante le mattine d'inverno.

Ci raggiunse Nikolaus, anche lui rimase sorpreso di vedere la madre così assente.

Sentii lo scricchiolio della porta di Lisi, sperai che fosse lei, rinvigorita che si univa a fare colazione con noi. Ma ad arrivare in cucina fu papà, anche lui con indosso gli abiti del giorno prima.

Come se niente fosse, io e mio fratello ci alzammo e andammo a preparare e una volta pronti per uscire. Nel mentre sentimmo papà consigliare la moglie di andare a riposare e lei implorarlo di non andare né a lezione la mattina né a lavoro la sera.
Nikolaus sperò bene di poter saltare la scuola quel giorno e una volta pronti per uscire, come nostro solito chiedemmo a mamma se potessimo salutare Elisabeth.

«No. Sta riposando, non dovete disturbare.»
«Ma papà prima era con lei. Ho sentito la porta.»

Emise un sospiro d'esasperazione.

«Bambini, visto che mamma non si sente tanto bene, perché dopo scuola non andate dai nonni? Saranno felici di questa sorpresa e mamma avrà il tempo di riprendersi.» disse papà cercando di mantenere un tono rassicurante.

«Perché invece non possiamo stare tutti a casa oggi?» chiese quell'impertinente.

«Nik, tesoro, fai questo favore. Sento molto dolore allo stomaco e sarei solo un impiccio in quanto sono di cattivo umore. Quando uscite da scuola attendete zio Konrad e andate con lui a casa da nonna. Sarà felice di passare del tempo con voi.» proseguì mamma.

Iniziai anche io a sentire un nodo allo stomaco. La situazione era peggiore di quanto volessi immaginare, non volevo pensare che Elisabeth fosse morta quella notte.

Finite le lezioni attendemmo nostro zio e scoprimmo che aveva una cotta per Leonie, la sorella maggiore di Charlotte, la mia compagna di scuola, fu lei il motivo del suo ritardo e il nostro lungo attendere.

«Zio, ti sbrighi?» gli urlammo scocciati.
«Non sapevo di dovervi fare da balia.» ci rispose lui a tono.

A casa di nonna trovammo con sorpresa anche zia Lika. Nonna appena ci vide ci accolse calorosamente con un sorriso smagliante. Perfino zio Hans ci parve più felice del solito. Sembrava la persona che descriveva sempre mamma, non il brontolone che avevo conosciuto da quando era tornato dalla guerra.

«Che bello! Oggi siamo in tanti.» sembrò quasi commossa. «Vostra mamma non viene?»
«No. Sai com'è, tra vomiti e malumori.» rispose Nik.

Nonna sorrise, quasi le avessero fatto il regalo più bello al mondo. Mi sorprese di come il malessere della figlia la facesse felice.

«Abituatevi all'idea di condividere la stanza per tanto tempo, se nascerà una bambina lei avrà la stanza tutta per sé.» commentò zio Hans.

«Io preferirei un fratellino.» rispose Nik.

«E sapete come nascono i bambini?» chiese ridendo zio Konrad; nonno gli diede un colpo sulla nuca «Ti stai trasformando nella copia di tuo fratello.» intendeva zio Lucas e per un attimo ci fu silenzio, poi Nikolaus decise di dovere controbattere.

«Io ho una teoria. Mamma dice che basta volersi bene, ma loro se ne vogliono e noi siamo solo in due. Io credo che i bambini siano come i denti. Esistono già nella pancia delle mamma e poi quando sono pronti crescono. Proprio come fanno i denti.»

Qualche settimana dopo, Nik ripropose quella teoria anche ai nostri amici. Tuttavia, Nadia la smontò ridendo e mostrandoci il libro da infermiera che aveva ottenuto dalla zia. Era molto più sveglia di noi e, da grande, voleva diventare un'infermiera come la madre. Per questo, aveva insistito con la zia per avere quel libro. Quella stessa sera, Nik accusò nostra madre di essere una bugiarda e spiegò la situazione. Lei non fu molto contenta e ci fu una discussione tra lei e Gertrud, che la definì un'ipocrita. Quella sera, mio padre ci fece "il discorso".

Anche quel giorno, a casa di nonna, tutti scoppiarono a ridere, ma io la trovai una teoria interessante e fantasiosa.
«Vi prego, passate più spesso. Rallegrate la giornata. Vi voglio bene.» disse spontaneamente zio Hans.

Fu un bel momento, la mia famiglia riuscì per quelle ore passate insieme a distrarmi dai brutti pensieri che avevo dalla notte precedente. Ma il momento di tornare a casa e affrontare la realtà arrivò.

Il salotto era avvolto da una luce fioca. La luce del tramonto filtrava attraverso le tende semiaperte, tingendo la stanza di tonalità calde ma le pareti azzurre sembravano sbiadite, come se anche i colori fossero in lutto.

Mamma sembrò stare meglio rispetto alla mattina, ci guardò come se si fosse preparata ciò che doveva dirci a lungo.

«Venite qui, per favore?» ci chiese con voce flebile. «Dobbiamo parlarvi di una cosa difficile...»

Il mio cuore batteva all'impazzata, come se avesse voluto scappare. Papà strinse la mano alla moglie che sembrava sentire un macigno sul petto. Mamma prese una profonda boccata d'aria, come se stesse per tuffarsi in un abisso emotivo ma non riuscì a dire nulla.

Nessuno osava parlare. Il silenzio era così denso da sembrare palpabile.

Papà prese coraggio e cercando di mantenere un tono pacato disse «Elisabeth è morta.»

«Ma come... era così giovane.» disse con la voce rotta Nikolaus.

Poi scoppiò a piangere e io lo seguii a ruota; in fondo lo sapevo ma sentirne la conferma fu un dolore immenso, i nostri genitori ci strinsero in un abbraccio e cercarono di consolarci.

Ci volle molto tempo prima di riuscire a ricomporci.

Ma quella notte, a tormentarmi non fu solo la consapevolezza che lei non ci sarebbe più stata. Le ultime parole che mi disse ventiquattro ore prima tornarono a piovermi in mente e togliermi il sonno.

All'ombra di un segretoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora