13. Il divano

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La prima sensazione che provai, appena Doug aprì la porta del suo appartamento, fu di disorientamento. Il salone e la cucina facevano parte dell'open-space, e i mobili lineari color panna davano un senso di ampiezza. Al centro della cucina si trovava una penisola, e i pensili laccati di bianco erano intervallati da elettrodomestici moderni. La parete a sinistra era rivestita in legno, con una tv appesa al centro. L'odore che si respirava profumava di gelsomino e cotone. Quella casa non lo rispecchiava, era troppo raffinata. Oppure era stata arredata da una mano femminile.

Doug si avvicinò al tavolino in legno chiaro e accese l'abatjour di terracotta. La stanza si illuminò di giallo ocra, che riflettendo sull'arredamento, rese l'atmosfera di velluto. Si slacciò i polsini della camicia e li arrotolò un paio di volte. «Ti va qualcosa? Un bicchiere d'acqua oppure un the?»

«No, grazie.»

«Allora, se non ti dispiace vado a farmi una doccia. Mettiti pure comoda, e se ti serve il bagno ce né uno appena svoltato l'angolo della cucina.»

Annuii e quando Doug se ne andò mi avvicinai alla finestra. Era larga e si incastonava nel muro come un quadro. Si vedeva il lato est dell'Empire State Building, e la punta dell'edificio non era illuminata, quindi era già passata la mezzanotte. Mi guardai attorno, per trovare un posto dove sedermi, ma era tutto così immacolato che mi sembrava quasi immorale usufruire di quegli arredi.

Battei i palmi sui jeans per eliminare la polvere, e feci lo stesso con il maglione nero. Mi slegai i capelli, me li pettinai usando le dita, e poi mi feci una treccia, che lasciai cadere di lato. Mi tolsi le scarpe, che appoggiai in un angolo, e camminai sul tappeto di lana color sabbia. Raggiunto il divano mi sedetti, e cominciai a fissare lo schermo nero della tv. L'acqua della doccia cominciò a scorrere, e pensai a quanto fosse surreale quella situazione. Abbandonai la schiena e sprofondai nel divano. Qualcosa nella tasca posteriore dei jeans premette sulla mia natica. Afferrai il sacchettino che mi aveva dato Paul, e me lo rigirai tra le mani; la carta bianca era spiegazzata, e l'apertura era incollata al lato inferiore. L'avvicinai all'orecchio agitandola e lo sfregamento produsse un tintinnio.

Sentii dei passi, e nascosi le mani dietro la schiena, come se fossi stata sorpresa a guardare qualcosa di proibito. Doug sbucò dal corridoio e mi raggiunse. Poggiò accanto a me un guanciale e un plaid in lana. «Tieni, ti ho portato anche una coperta più pesante, nel caso dovesse venirti freddo.»

Osservai prima la trapunta e poi lui: indossava dei pantaloni della tuta blue una felpa grigia. I capelli erano ancora umidi e pettinati all'indietro, ed era a piedi nudi. «Ma io non pensavo di fermarmi a dormire, e comunque non ho sonno.»

«Cara, sono quasi le due del mattino, dovresti riposare.»

«Tu vai pure a dormire. Io starò bene.»

Doug scrollò la testa e si accomodò sulla poltrona in cuoio marrone. Dal tavolino in cristallo prese un giornale e degli occhiali da vista. Accavallò una gamba, e dopo essersi inumidito la punta delle dita, voltò un paio di pagine e cominciò a leggere. I serramenti dovevano essere insonorizzati, perché nella stanza si sentiva solo il ticchettio delle lancette del suo orologio.

Doug era buffo nella sua concentrazione, con la fronte corrucciata e gli occhiali poggiati sulla punta del naso. Anche se indossava una tuta, la sua posa era elegante, e somigliava a un uomo di altri tempi. Sarebbe stato perfetto con un completo gessato e il panciotto, come la moda degli anni Venti imponeva, e al solo pensiero non trattenni un risolino.

Doug mi diede un'occhiata portando gli occhi oltre la lente, e con il dito indicai il suo stampato. «Compri ancora i quotidiani di carta? Ormai le notizie sono tutte on-line.»

Scelte ( seguito di Persa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora