3. Il bagno (1 parte)

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Aprii il frigo e ci infilai la testa. Spostai un contenitore ermetico con dei mirtilli, un cartone di latte di soia e un vaso pieno d'acqua con immerse delle carote. Spalancai il cassetto della frutta e cominciai a rovistare tra broccoli, sedano e cespugli d'insalata.

Daniel entrò in cucina e afferrò un bicchiere dallo scolaposate. «Ho pensato che sarebbe buona cosa che tu chiamassi George per scusarti. Potresti arrancare una scusa, per esempio che non ti sentivi molto bene.»

«Dove hai messo la mia torta. Ieri sera ce n'era ancora un quarto, ed era appoggiata proprio qui.» Indicai un punto nel frigorifero. «Su questo ripiano.»

«L'ho buttata. Quelle schifezze sono piene di zuccheri raffinati e glutine e non ti fanno bene.»

«Cazzo, Daniel, ma farti gli affari tuoi, mai? Era di Magnolia bakery. Sai quanto costa una torta del genere?»

Daniel alzò le spalle. «No, non penso di averci mai messo piede in quel posto.»

«Beh, te lo dico io, quaranta cazzo di dollari.» Con una spinta sbattei l'anta del frigorifero, e fui delusa quando nel chiudersi fece solo un piccolo sbuffo; avrei voluto che si frantumasse come un vetro.

«Quindi sei arrabbiata perché ho gettato nel cestino dieci dollari? Perché, se come hai detto tu, ne era rimasto solo un quarto e la matematica non è un'opinione...»

«Finiscila.» Spalancai il pensile sopra la mia testa e afferrai un budino di soia al cioccolato. Mi sedetti sul tavolo con le gambe penzoloni e affondai il cucchiaio nel barattolo.

Daniel si avvicinò e poggiò le mani sulle mie ginocchia. «Senti, lo so che sei arrabbiata e anche io lo sono, ok? Ieri sera abbiamo esagerato entrambi. Stanotte ci ho pensato e avremmo potuto ragionare sulla tua idea in modo... concreto.»

«Hai coreografato tutto tu. Volevo solo che ci fosse un pezzetto anche di me nello spettacolo.»

«Ma tu ci sei e guarda quanti obbiettivi abbiamo raggiunto insieme. Ballare senza di te non sarebbe la stessa cosa.»

«Lo dici solo perché sono tua moglie.»

Daniel sorrise. «Allora non mi conosci bene, lo sai che non elargisco complimenti non meritati.»

Poggiai il budino sul tavolo come se fosse fatto di ceramica. Appoggiai le braccia sulle sue spalle e cominciai a far scivolare il naso sul suo collo. Inspirai il suo odore; sapeva di bagnoschiuma al pompelmo. Con il bacino mi diedi una leggera spinta finché i nostri fianchi si toccarono.

«Che fai...Non eri arrabbiata?»

Imprigionai il suo viso tra i palmi e cominciai a studiarlo: aveva la linea della mascella marcata e i capelli neri gli ricadevano disordinati sulla fronte. «Hai gli stessi occhi di tuo padre: piccoli e leggermente allungati. Sono molto sexy, sai?»

Daniel poggiò la fronte sulla mia spalla e lo sentii prendere un lungo respiro, come quando si annusa un fiore per la prima volta. «Voglio un figlio.»

Spalancai gli occhi e fissai la maniglia del pensile. Da dove gli era venuta quell'idea? Arretrai con il collo quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. «Daniel?»

«Lo so che non ne abbiamo mai parlato, ma è da un po' di tempo che ci sto ragionando. È vero che abbiamo in cantiere il progetto di Las Vegas, ma ho anche pensato che non sarà mai il momento giusto, quindi, tanto vale provarci.»

«Io non voglio avere un bambino. Non sono in grado nemmeno di badare a me stessa, figuriamoci prendersi cura di una creatura che deve dipendere solo da me.»

«Ti capisco.» Mio marito cominciò ad accarezzarmi una coscia, ma più che un gesto consolatorio, sembrava una mossa per tenermi a bada, come si fa con un cane quando deve obbedire al padrone. «Sai, anch'io all'inizio, quando me lo sono immaginato, faticavo a considerarlo, ma poi pian piano mi sono abituato all'idea e penso che sarà così anche per te.»

Con un balzo scesi dal tavolo e mi allontanai da lui. «No, Daniel, non desidero figli, né adesso, né in futuro!»

I respiri di Daniel si fecero più accelerati e notai che le mani gli tremavano. «Se non te la senti magari potremmo lasciar passare qualche mese. George e Tif mi hanno detto che a loro ci sono voluti due anni. E poi pensavo che le nostre madri potrebbero darci una mano.»

Rimasi interdetta per alcuni secondi, come se avessi battuto forte la testa contro il muro. «La smetti di pianificare la mia vita.» Andai verso la finestra, poi tornai indietro e puntai un dito verso mio marito. «E poi giuro che, se tiri in ballo un'altra volta mia madre, esco da quella porta senza più fare ritorno. Anzi, scusa, questa è casa mia, quindi saresti tu a dovertene andare.»

«Lo sapevo che prima o poi l'avresti detto!» Daniel prese il bicchiere dal tavolo e lo scaraventò a terra. Il vetro si frantumò e le schegge si sparpagliarono sul pavimento della cucina. «Rimarchi il fatto che questo stupido appartamento è tuo... Lo sai benissimo che non ci volevo venire, che avrei preferito Greenwich o una villetta nel New Jersey. Invece no, bisogna per forza vivere in questo appartamento. Perché credi che te l'abbia regalato il tuo bel dottorino? Perché si sentiva in colpa, visto che all'epoca si portava a letto una minorenne.»

Osservai i pezzi di vetro riflettere la luce del lampadario. Mi ero interrogata varie volte sul fatto che Doug avesse voluto comprarmi una casa, ma tra tutte le mie ipotesi, quella dei sensi di colpa, non l'avevo mai considerata. Fissai il pavimento e poi Daniel, che mi guardava con un'espressione che non riuscivo a decifrare; sembrava deluso, oltre che arrabbiato. Mi precipitai fuori dalla cucina e corsi in bagno.

Chiusi la porta a chiave e aprii l'acqua della doccia. Mi liberai della maglietta, dei pantaloni e anche della biancheria intima. Presi l'elastico dei capelli e con un colpo secco lo tirai. Entrai in doccia e mi rannicchiai a terra, portando le ginocchia al petto. L' acqua era bollente e cominciai a percepire la pelle bruciare. Mi sentivo usata ed ero solo capace di deludere le aspettative di tutti. Cosa c'era in me di sbagliato? Sentii gli occhi pizzicare, e protetta dallo scroscio dell'acqua, cominciai a singhiozzare.


Scelte ( seguito di Persa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora