Capitolo decimo Parte 1

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«Chi è che si marita dopo il funerale della madre? Porta iella!» Disse un vecchio. L’interlocutore rispose: «Tenete ragione, mastro Giuseppe. Guardate il signor Marchese, pari spiddato.»

Avevo sentito quelle frasi il giorno precedente alle mie nozze, mentre camminavo nei pressi della chiesa matrice di Baaria. Osservavo il mio riflesso allo specchio, fasciata da un abito dalla gonna ampia e un velo troppo lungo per la mia altezza, non facevo altro che ripensarci. Maledetti, avevano sempre qualcosa sul quale sparlare, menti troppo piccole per vedere oltre il loro naso. Quel chiacchiericcio di paese, frivolo e inutile, mi si era incastrato nelle orecchie, una pulce che succhiava sangue e energie, sentivo prurito in tutto il corpo e non riuscivo a smettere di grattarmi. Perché credevano che don Rosario fosse posseduto? Sospettavano qualcosa? Affibbiavano a me le sventure della casa? Qualcuno mi stava osservando? Gettai un’occhiata veloce alla stanza, poi fuori dalla finestra: Mammone non era nei paraggi, mi venne in mente la sua andatura lenta, il sorriso appena accennato di pochi giorni prima, quando avevamo occultato il corpo rinsecchito di Ina. Credevo di vederlo spuntare sul davanzale della finestra, pronto a schernirmi con qualche battuta di cattivo gusto, ma di lui non c'era ombra. Era assurdo come la mancanza di quel mostro mi agitasse, eppure sentivo che mancava la parte più vera della mia vita, l’unico essere a conoscere davvero chi ero. Indugiai ancora un po' sul giardino fuori dalla stanza, sospirai e feci spallucce, nonostante la sua assenza non potevo mancare alle mie nozze. Quel pensiero mi rallegrò, era arrivato il giorno in cui tutti i miei desideri si sarebbero realizzati. Per fugaci secondi il volto angosciato di Fabrizio fece capolino tra i miei pensieri. Lo stavo ferendo e odiavo farlo, ma ormai non c'era altra via.
Chissà se lo vedrò in chiesa. Pensai.

«Signorina, la macchina è pronta.»
Erminia spuntò sull’uscio: capo chino e mani giunte in grembo, sembrava avere timore di alzare lo sguardo.

«Perfetto. Prendi il velo e andiamo, non dobbiamo ritardare!» sorrisi e le feci segno di sbrigarsi.

Scendemmo le scale di fretta, non vedevo l'ora di raggiungere la chiesa, di pronunciare quel “sì” che mi avrebbe condotta verso una vita nuova. Mastro Rosario stava in piedi vicino l’ultimo gradino. Mi guardava con occhi annebbiati dall’alcool, traballava. Lo odiai in modo viscerale. Come si permetteva di rovinare quel mattino? Doveva essere tutto perfetto, impeccabile e lui puzzava di vino scadente. Provò a porgermi la mano ma la rifiutai spingendola lontano da me in modo brusco.

«Signorina dovreste avere più rispetto per Mastro Rosario.»

Fulminai con lo sguardo la cameriera e lei tornò con il capo chino. Ero certa che le mie azioni non avrebbero avuto più nessuna conseguenza. Rosario era l’ombra dell’uomo che avevo conosciuto e poteva solo biasimare solo se stesso. Se fosse stato un padre migliore e un marito più attento non avrebbe nutrito una serpe in seno. Senza aggiungere altro sorpassai l’uomo e uscii fuori dove un’auto lussuosa mi attendeva. Non aspettai che qualcuno mi aprisse lo sportello né che “mio padre” fosse vicino. Saltai a bordo e attesi che l'autista mettesse in moto.

Il tragitto fu una processione di persone intente ad affacciarsi dalle finestre per vedere la novella sposa e di uomini che per strada alzavano la coppola in segno di rispetto al nostro passaggio. Le case a torretta sfilavano una dopo l'altra con le loro facciate colorate e le persiane spalancate. Abbassai il finestrino della macchina per prendere una boccata d’aria e l’odore delle lenzuola pulite, stese sui fili dei balconi, mi riempì le narici. La pioggerella e l'umidità che avevano caratterizzato la stagione sembravano essersi dissolte per cedere il posto a una giornata soleggiata e calda. La mia terra, la Sicilia, ne approfittò ed esplose dei colori e degli odori tipici: profumo di pane appena sfornato, i fiori dei pali di fichi d'india ai bordi delle strade e il frinire delle cicale a riempire le orecchie. Una giornata perfetta per un matrimonio. La chiesa mi si parò davanti alla fine di uno stradone lungo e largo, corso Butera, brulicante di passanti. L’auto arrivò davanti la piazza antecedente la chiesa e con gioia adagiai il lungo velo sul viso e attesi che l'autista aprisse lo sportello.

Il Crocevia [CONCLUSA] Ciclo Gotico Siciliano V.2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora