Capitolo II

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Un raggio luminoso entrò dalla finestra e mi colpì in pieno viso. Dischiusi gli occhi lentamente e il fresco mattutino mi avvolse come una coperta appena lavata. Mi stiracchiai e mi misi su a sedere. Rimasi per un momento a fissare il vuoto, abbracciando le mie gambe per realizzare che dovevo alzarmi.
Presi un piccolo pettine bronzeo a denti larghi -ero riuscita stranamente a recuperarlo una volta al mercato: qui sono abituati a quelli fittamente decorati e con i denti vicinissimi tra loro, questo invece era perfetto per miei capelli-. Mi spazzolai un po' le ciocche color miele, presi una fascia bianca e la fissai sul capo, in modo da bloccare i ciuffi ribelli; lasciai ricadere lunghe onde dorate davanti le spalle. Quel giorno erano più lisci del solito.
Dopo aver indossato una lunga veste candida ed averla legata con una sottile cordicella in vita, uscii di casa.

Mi imbattei in mia madre, la quale era intenta a raccogliere grappoli d'uva fresca tra i rigogliosi e intricati ramoscelli.
Mi avvicinai a lei con un cestello in vimini tra le mani. Mi misi accanto silenziosamente, iniziando a cogliere i grappoli carichi di acini maturi e scuri come una notte senza luna.
«Buongiorno, tesoro».
«Ti serve un altro cesto?» chiesi porgendole quello vuoto. Lei lo prese e me ne diede uno ricolmo di frutta fresca, il quale appoggiai faticosamente sotto il rampicante.
Afferrai il cestello dove avevo iniziato ad accumulare i raspi sovrabbondanti di chicchi d'uva, e ricominciai.
«Oggi è un giorno più luminoso del solito, non è vero?» mi disse con i capelli irradiati dalla luce solare, i quali producevano riflessi aurei e fulgidi.
Alzai la testa verso l'astro sfavillante e un bagliore mi fece socchiudere appena le palpebre; quella mattinata la stella aveva uno strano colorito rossastro. Stavano arrivando le giornate più corte.
«Già...» conclusi, alzandomi in punte di piedi per afferrare un frutto scuro più alto.
Il sole continuava a picchiare sopra le nostre teste coperte e le ore passavano molto lentamente.
Dopo esser riuscite ad accumulare circa sette cestelli ricolmi di fresca uva, ci fermammo sotto una grande quercia per rinfrescarci un po'.

Stavamo assaporando qualche scuro acino, quando mi feci coraggio e pronunciai: «Secondo te mio padre quando tornerà?»
Lei spalancò per un attimo gli occhi e mi sembrò che le fosse andata l'uva di traverso.
«Emh... Nessun Lacedemone è ancora tornato, tesoro. Vedrai che arriveranno presto con il grande Menelao».
«Sono passati quasi diciotto anni e io tra alcuni mesi diventerò un'adulta». Presi a lanciare un sassolino sul suolo umidiccio per distrarmi. E lei rimase in silenzio con sguardo profondo a fissare qualcosa in lontananza. Rimanemmo ancora per breve tempo in un apparente stato di quiete esterno, travolto da flussi di pensieri silenti. Quando ad un certo punto sentimmo una pesante marcia provenire dalla città, seguita immediatamente da un clangore di spade e affilate armi. Mi alzai di scatto, ma mia mamma mi afferrò dalla veste.
«Dove pensi di andare?» Il suo sguardo diventò più scuro e gelido.
«Vado semplicemente a vedere cosa succede!» esclamai con tono stuccato e supplichevole.
«Potrebbero essere rivolte popolari o sommosse interne... è pericoloso».
«Rimango fuori, guarderò solamente da lontano». Continuai a implorarla di lasciarmi andare.
«Vai.» tagliò corto secca. Le rivolsi un sorriso in segno di ringraziamento e mia madre ricambiò.

Corsi come meglio potevo fra i campi coltivati che ci separavano dalla città e mi precipitai tra le ciclopiche mura di Lacedemone, come un eroe alla ricerca del pericolo. Avanzai, tendendo le orecchie per comprendere da che parte provenissero i suoni. Ma i rumori erano così forti e bellicosi che rimbombavano tra le pareti rocciose. Perciò affrettai il passo, andando alla cieca: procedetti tra i rozzi edifici, percossi le strette vie e girai tra gli ombrati angoli alla ricerca della fonte dei rumori. Quando voltai l'ultimo angusto vicolo e lo vidi.
Un esercito.
Un vero esercito.
Spalancai la bocca stupita e, come paralizzata, rimasi a lungo così. Mi ricordai a malapena di respirare. Uno strano odore di sangue e guerra -difficile da spiegare- mi invase le narici. Con gli occhi ancora sgranati, scrutai meglio i visi dei soldati. Erano sfiniti e stanchi. Stremati.
L'armata occupava buona parte della piazza centrale di Lacedemone; i guerrieri indossavano armature tutto fuorché lucenti: erano sporche e rovinate. Molti erano feriti, alcuni portavano delle bende. Parecchie cicatrici annerite risaltavano sui loro volti pallidi, rendendoli trasandati e malmessi; ma le loro espressioni narravano silenziosamente delle storie ancor più temibili ed oscure. Erano degli sguardi di chi aveva appena affrontato una guerra, degli sguardi pieni di esperienza. Un'esperienza che avrei voluto vivere, non solo sentirla raccontare.
Mi avvicinai a quel terrificante spettacolo, e in un secondo mi ritrovai in mezzo a una folla di donne piangenti e ragazzi esultanti. Mi sentii spinta e sbattuta da una parte all'altra. Dovevo solamente capire da dove venissero quei valorosi combattenti.
«Ehm... scusi?» provai a richiamare un' ancella che era accanto a me; ma quella non mi diede retta, intenta com'era ad asciugarsi gli occhi umidi.
«Mi scusi... Saprebbe dirmi chi sono questi nobili soldati?» tentai con una donna più grassoccia davanti a me. Quest'ultima si girò con un sorriso stampato in faccia e afferandomi con forza il mio esile braccio, esultò: «Oh cara... sono tornati!», mi strattonò nuovamente il bracco e lo ripeté come se nemmeno lei ci credesse. «SONO TORNATI!»
Le sue parole furono come uno schiaffo sulla guancia. Guardai i soldati con occhi diversi e una realtà nuova mi colpì la mente. "Erano tornati..." quella frase mi ritornò in testa. Chi era tornato? No... non poteva essere... Loro?
Mi feci largo tra la folla – dovetti spingere qualche signore e scansarmi da qualche donne che si sbracciava – per poter osservare da più vicino ciò che rimaneva di un grande esercito. Riuscì ad avvicinarmi di un bel pezzo e alla fine mi ritrovai a pochi passi da esso. Dovetti allungare il collo per togliere dalla vista un'alta e canuta testa.
Da sopra la calca riuscii a scorgere due figure, dinanzi alla milizia armata: una si levò il bronzeo elmo, lasciando ricadere alcuni biondi riccioli sulle scure spalle; mentre affianco a lui c'era una donna con un portamento elegante e raffinato.
Lei aveva dei lunghi e chiari capelli, i quali si riversavano sulle candide braccia. Era l'unica donna tra la schiera dei forti uomini, e questo mi stupii parecchio. "Cosa ci fa quella nobile signora lì?"
Era dotata di una bellezza affascinante: il suo corpo sinuoso era avvolto in una lunga veste color porpora, la quale le risaltava i sottili tratti delicati e quasi divini.
Ad un certo punto, tra la marea di individui sconvolti e meravigliati si aprii un varco, attraverso il quale passarono i due. Le persone guardavano loro con segno di rispetto e inchinandosi. Seguii la loro camminata regale con gli occhi e la mia mente cominciò ad elaborare il tutto. Erano Menelao e la moglie? Quella Elena? Elena di Troia?
Mia mamma mi aveva più volte raccontato la loro storia, e ogni volta cercavo di identificarmi in quella povera ragazza che per colpa della sua bellezza – un qualcosa che non poteva nemmeno controllare – causò una delle più gravi guerre della storia. La guardai con compatimento.

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