Capitolo V

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Avevo bisogno di più aria.
Fuggire da quel posto che, ultimamente, non mi sembrava assai diverso da una prigione.
I miei piedi scalzi sfioravano i ciuffi d'erba della foresta e il freddo della notte mi risaliva ininterrottamente fin sopra la testa - mi stavo pentendo di aver lasciato i sandali a casa di mia madre -.
Mi strinsi nuovamente il petto fra le mie braccia scoperte quando uno sbuffo del vento mi fece rabbrividire. La notte aveva ormai preso da un pezzo il sopravvento e la luna brillava sulla superficie erbosa, permettendomi - in maniera sempre molto limitata - di intravedere qualcosa di più rispetto ai miei arti più pallidi del solito. Ma non importava, avevo il mio arco, e questo mi avrebbe permesso di riuscire a raggiungere il mio intento. Non mi serviva nient'altro.

Uno scricchiolio alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi girai di scatto: non c'era nessuno. Strizzai gli occhi un paio di volte e rimasi a fissare la zona per precauzione. "Sarà stato qualche animale", be' ovvio... Non potevo mica pretendere di essere l'unica in quel bosco.
Un altro rumore mi fece trasalire.
Un ululato... lontano per lo meno.
Camminare tra gli alberi illuminati dalle stelle, era ben diverso da passeggiare tra arbusti dorati dalla luce del sole. Di notte la foresta sembrava non stare un attimo zitta, e se per un momento si percepiva un apparente stato di quiete, ecco che ricominciavano i suoni. Suoni sottili, quasi confondibili col silenzio. Fruscii delle foglie, sussurri del vento tra i sottili rami, il calpestio delle zolle di fango.
Sussultai.
Un tonfo assordante rimbombò fra il fitto bosco, come l'eco di due spessi bastoni che si scontrano. Affrettai il passo, non avevo intenzione di farmi ostacolare da certi animali. Avevo già i miei problemi e non avevo idea di come avrei affrontato il viaggio, mi mancavano solo gli animali selvaggi.

Avevo ormai percorso un bel pezzo di strada, quando sentii qualcuno urlare il mio nome.
«Phobe! Phobe, aspe- argh!»
Mi voltai confusa e tutto ciò che riuscii a vedere fu una figura in penombra che andò a sbattere contro un ramo troppo basso. Non feci in tempo a chiedermi chi fosse, che l'ombra uscì da dietro l'albero dondolante portandosi una mano sulla testa. Jason si avvicinò in fretta col suo passo titubante: «Dove pensi di andare?»
«Non mi sembra che ti interessi.»
«Invece sì. Pensavo fossimo diventati un gruppo».
«Non l'ho mai detto.»
«Vero... ma ti ho aiutato a entrare a palazzo...»
«Be' come vedi non mi ha portato a niente». Persino io ero scettica a quel piano, se non partivo immediatamente, avrei potuto cambiare idea molto velocemente. Non avevo bisogno che anche lui si opponesse alla mia idea. Ripresi a camminare con le braccia strette attorno al busto.
«Aspetta!»
Mi bloccai esasperata, volgendogli lo sguardo: «Senti, non m'importa quello che stai pensando, io so quello che devo fare! E se c'è qualcosa che non devo fare, be'... è proprio parlare con persone come te!»
Avevo alzato la voce e molto probabilmente lui se ne accorse, dato che i suoi occhi mi fissarono feriti. Aprì la bocca più e più volte per ribattere, eppure non pronunciò alcuna parola, come se qualunque frase stesse cercando di formulare gli morisse in gola prima di essere in grado di uscire. Non mi interessava.
«Ora fai un favore ad entrambi e levati di torno.»
«Ho capito, sei arrabbiata...» prese un bel respiro, «Ma, dove pensi di andare così? In piena notte, in un bosco lontano dalla città?»
"Questo tipo sta diventando più odioso del dovuto".
«So. Quel. Che. Faccio.» sibilai fra i denti.
«No che non sai quel che stai facendo! Ma ti vedi? Te ne vai così senza dirmi una parola, senza progettare alcunché e neanche con l'equipaggiamento necessario».
«Non mi interessa» sbuffai, affrettando il passo; ma quando me lo ritrovai di fianco, non resistetti più e sbottai: «E ora cosa accidenti vuoi?»
«Vengo con te».
Quella risposta mi ammutolì, ma velocemente cancellai la mia espressione sorpresa e la cambiai con una seccata: «E perché dovresti?» Rallentai, osservandolo meglio.
«In questa noiosa città sto incominciando ad annoiarmi» fece spallucce.
Era la peggiore scusa che avessi mai sentito dire, mi fermai e lo fissai negli occhi, incrociando le braccia. Ricambiò lo sguardo, però lo distolse subito: «Va bene, va bene, forse non è proprio questa la ragione principale... Voglio solo staccare un po'».
«É per tuo padre?»
«Cosa te lo fa pensare?» chiese lui allarmato.
Stetti quasi per dirgli che li avevo visti in un'accesa discussione, dopo però cambiai idea e dissi semplicemente: «Oggi pomeriggio non sembravi particolarmente contento del ritorno del "fedele Plistene"».
«Oh giusto... Sì, sì, è esattamente per quello».
Sapevo che non era esattamente per quello - non ero mica stupida! -, ma nonostante ciò lasciai perdere, per il momento.
«Potrebbe essere rischioso» provai.
«Motivo in più per venire con te».
«Non ho bisogno di una guardia del corpo!»
«No, no, ehm... non sto dicendo questo» tentennò, subito dopo corrugò la fronte: «Almeno, sai la strada?»
Mi andò di traverso la saliva: non ci avevo pensato. Cercai di rimediare: «Uhm... no». Jason alzò un sopracciglio.
«Sì... Ma chiederò in giro» alzai le spalle come l'avessi già progettato. Il suo sopracciglio si alzò ancora di più - non credevo fosse possibile a questo punto -.
«Io la so...»
«Ma se non sai nemmeno dove voglio andare!» sbottai.
«Non mi hai fatto finire!» mi bloccò lui, «Io la so... meglio di te» concluse.
Lo fulminai con lo sguardo.
«Ehi! È vero!» si difese Jason, «Io ho fatto molte lezioni di geografia del territorio greco».
"Be' probabilmente ha ragione" sbuffai nella mia testa. Io non avevo mai frequentato alcun tipo di lezione, figuriamoci di geografia. Rimasi in silenzio: questo era un punto a suo favore. Mi imbestialii maggiormente, dato che sapevo che non avevo speranze ad affrontare tutta sola quel lungo viaggio, e come se mi leggesse i pensieri disse ad alta voce: «Immagina che noia fare un viaggio così lungo... tutta sola».
«La solitudine non mi dispiace» lo canzonai.
«Come farai ad andare incontro a pesanti giornate senza la mia simpatia?» domandò, sgranando appena gli occhi, come un bimbo.
«Ascolta, non mi fraintendere. Ma io non ho mai voluto la tua compagnia».
«S-se vengo con te, non hai nulla da perdere, dopotutto» mi implorò. I suoi occhi si spalancarono, e per poco non mi stupii che non si fossero riempiti di lacrime. Che razza di giochetto stava facendo? Ma soprattutto, cosa pensava di ottenere?
Però, nonostante tutto, aveva ragione... Almeno lui conosceva un po' il territorio. Mi serviva. Rimasi a riflettere per un altro po', quando alla fine decisi: avrei sfruttato questa occasione.
«Se vieni» iniziai; lo vidi alzare lo sguardo stupito su di me e giurai di aver visto una scintilla dorata nel suo occhio destro, «La smetterai di tormentarmi di domande?»
«Sì!» urlò e a momenti rischiava di inciampare sui suoi stessi piedi. Un ampio sorriso si allargò sul suo volto olivastro e, vedendolo così, mi si strinse il cuore: era una strana sensazione che non avevo mai provato prima. Improvvisamente fu come se la sua gioia avesse oscurato le mie preoccupazioni e gliene fui grata - anche se non avevo intenzione di ferire il mio orgoglio, dicendoglielo -. Successivamente mi fissò meravigliato per un attimo, aprì la bocca e la richiuse, poi esclamò: «Hai sorriso!»
Mi sentii scoperta, come se qualcuno mi avesse levato il mio guscio sicuro: «Cosa?! NO! Non è vero!»
«Sì, invece, ti ho vista!»
«No.»
Percepii le mie guance andare a fuoco, perciò voltai e ripresi a camminare verso il cuore della foresta. Ormai mi ero fermata da parecchio, non potevo certo permettermi di sprecare altro tempo prezioso. Ma lui non mi seguì, meglio, forse aveva cambiato idea. Cominciai a sperarci quando lo udii da dietro urlare: «Ad una condizione!»
«Non mi sembra che sei nella posizione di dettare condizioni» replicai stizzita.
«No, ehm... C-cioè, sì. È importante» blaterò, «Apettami qui, ti raggiungo dopo... vado un attimo verso il palazzo».
Mi girai spazientita: «Cosa?! NO! Ormai siamo lontani!»
«Nono, non tantissimo...» gesticolò nervoso con le mani, «Prometto che faccio veloce, per favore... sarò qui in un secondo».
Sbuffai, accasciandomi sull'umido terriccio ed appoggiando la testa sul tronco vicino, poi sibilai a denti stretti: «Razza di manipolatore...»
«Ehi, ti ho sentita!» Alzai le spalle con noncuranza, ma molto probabilmente lui nemmeno le vide. Infatti il ragazzo aveva preso a correre tra i fitti alberi. La sua figura si fece sempre più lontana, finché non sparì del tutto fra il folto fogliame.

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