02 - IL NUOVO MEMBRO DELL'AGENZIA DEI DETECTIVE ARMATI

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Quando Nakahara Chuuya entrò dalla porta d'ingresso dell'Agenzia, calò il silenzio e tutti sollevarono la testa per guardarlo.

Nel vederlo, provai un brivido lungo tutto il corpo, una scarica elettrica quasi dolorosa. Sebbene non potessi provare in prima persona gli effetti del suo potere, mi sembrò che la gravità mutasse, mi sentii schiacciare.

I suoi capelli di fuoco erano più lunghi di un tempo, legati in una coda indisciplinata e selvaggia. Gli occhi color oceano erano più duri, più freddi di quanto ricordassi, e non mi degnarono di uno sguardo. Le mani guantate, i vestiti eleganti che fasciavano perfettamente il corpo che conoscevo a memoria e quel ridicolo cappello, invece, erano sempre gli stessi e mi fecero provare una nostalgia dolce-amara.

Sentii lo strano istinto strappargli il cappello e impedirgli di riprenderselo per farlo arrabbiare. In passato mi avrebbe fatto ridere. Chissà se Chuuya mi avrebbe ucciso, se ci avessi provato oggi.

Alle sue spalle c'era il presidente Fukuzawa, che dopo avermi lanciato uno sguardo, parlò con voce tonante: «Ragazzi, vi presento Nakahara Chuuya, che starà con noi fino a data da destinarsi. Coinvolgetelo in tutte le attività dell'Agenzia. Al momento è, a tutti gli effetti, uno di noi. Kunikida, mostragli la sua postazione e spiegagli come funzionano le cose qui».

Kunikida si sistemò gli occhiali sul naso e si avvicinò a Chuuya con fare leggermente impacciato, ma professionale, conducendolo alla sua scrivania, proprio di fianco alla sua. Chuuya si tolse il cappello, appoggiandolo sul tavolo, e dei ricci rossi gli ricaddero sulla fronte. Deglutii. Perché non mi aveva ancora guardato neppure una volta?

«Dazai-san, lo conosci?» sussurrò Atsushi accanto a me.

«Certo», si intromise Ranpo con un ghigno divertito. «È evidente che si conoscono molto bene, ma che non sono più in buoni rapporti».

«Che ne sai?» sbuffai.

«Lo avrebbe capito persino Kenji. Non gli hai staccato gli occhi di dosso un solo attimo da quando è entrato, mentre lui si sta davvero impegnando ad ignorarti», continuò ad insinuare divertito.

«Sta' zitto», avvertii. Non mi sentivo in vena di scherzare, né che i miei affari venissero spiattellati a tutta l'Agenzia.

«Oh, capisco, allora era una cosa seria. Hai mandato tutto a puttane in modo spettacolare, immagino».

Dannazione a Ranpo e alle sue conclusioni maledettamente accurate. Non potendo ribattere, decisi di tacere sperando si annoiasse.

Proprio in quel momento, Kunikida decise che fosse il momento giusto per un giro di presentazioni e condusse Chuuya a conoscere tutti quanti.

«...Kyouka immagino tu la conosca già... lui invece è una delle nostre ultime reclute, Atsushi, forse l'avrai sentito nominare, dato che voi della Port Mafia avete provato a catturarlo più volte...» Chuuya gli lanciò un'occhiataccia e Kunikida si schiarii la gola, imbarazzato. «Ed ecco il nostro miglior detective, Ranpo. Infine...»

«Ci conosciamo già», lo interruppe Chuuya con voce graffiante.

Mi alzai in piedi e mi resi conto che, in quattro anni, la differenza di altezza tra me e lui si era acuita. Dovette sollevare il mento per continuare a guardarmi in faccia. Carino.

«Chuuya. Chi non muore si rivede», dissi in tono forzatamente allegro.

«Mi stupisce che non tu ti sia ancora buttato da un palazzo».

«Come avrei potuto, da solo, senza il mio cagnolino?»

Sentivo gli sguardi sorpresi di tutti addosso, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quelli furenti di Chuuya.

Alla fine, fu lui a distogliere lo sguardo per primo e schioccò la lingua, voltandosi sprezzante. «Sono venuto qui per ordine del boss e ho intenzione di fare del mio meglio sia per tenervi d'occhio, che per continuare a proteggere la città, come ho sempre fatto. Collaborerò con voi in ogni missione mi verrà assegnata, ad una condizione. Non voglio lavorare con lui», concluse, indicandomi.

«Sappiamo entrambi che non puoi dare il tuo meglio, senza di me», ribattei. Perché non riuscivo a smettere di provocarlo anche se non lo vedevo da anni? Doveva essere scritto nel mio DNA.

«Me la sono cavata benissimo in questi quattro anni, stronzo. Queste sono le mie condizioni, siamo intesi?» ripeté, rivolto verso Kunikida.

«E-Ecco», borbottò Kunikida. «Non sono io ad assegnare i casi e...»

«Forse non sono stato chiaro. Mi rifiuto di collaborare con lui».

Non riuscii più a trattenermi e afferrai Chuuya per il polso, trascinandolo lontano dal gruppo, sordo alle sue proteste. Una volta arrivati in fondo al corridoio, lo spinsi in bagno e chiusi a chiave la porta.

«Bastardo, lasciami subito! Che diavolo fai?!»

Non lo sapevo neanche io. Avevo sperato di non vederlo più, per tutta la vita, per un motivo: odiavo perdere il controllo di me stesso. Non mi sentivo lucido da quando il presidente mi aveva detto che sarebbe arrivato e, ora che era qui, non sopportavo mi trattasse con disprezzo o peggio, mi ignorasse.

Avrei voluto scusarmi con lui, spiegargli perché me n'ero andato così. Allo stesso tempo, avrei voluto anche stringergli le dita attorno alla gola per la rabbia che mi faceva provare vederlo rivolgermi quello sguardo.

«Sapevi che mi trovavo all'Agenzia di Detective Armati. Perché hai accettato l'incarico, se ti dà tanto fastidio vedermi?»

«Non avevo scelta, gli ordini del boss sono assoluti».

Risi, sprezzante. «Stai dicendo che non sei venuto appositamente per chiedermi perché me ne sono andato così?»

«Non mi interessa, è passato tanto tempo», insistette, ostinato.

«Non è vero. Sei venuto qui apposta, quindi non fingere di volermi ignorare».

Mi avvicinai a lui di un passo, ritrovandomi troppo vicino perché fosse appropriato, quasi petto contro petto. Mi sembrava di sentire il calore del suo corpo da qui. Istintivamente, gli sollevai il mento con un dito. Ancora ricordavo la prima volta in cui ci eravamo toccati, era stato in una situazione simile a questa, quando, a sedici anni, durante un litigio, all'improvviso lo avevo premuto contro il muro, stringendogli le cosce tra le mani.

Lo sguardo di Chuuya si indurì. «Conosci il Petrus?»

«È un vino che costa un'occhio della testa. Cosa c'entra?»

«Quando hai lasciato la Port Mafia, ne ho aperta una bottiglia per festeggiare», mormorò sprezzante. «Stai lontano da me».

Mi assestò una spallata dolorosa, superandomi ed uscendo dal bagno.

Dopo un attimo di sbigottimento, risi. Risi fino a sentirmi apatico e, uscendo dal bagno, presi direttamente l'ascensore per scendere. Non avevo intenzione di rimettere piede in ufficio almeno per un paio di giorni. Il presidente mi avrebbe perdonato, d'altronde era stato lui a mettere una bomba ad orologeria dai capelli rossi accanto alla mia scrivania.

Andai nell'unico posto dove avrei potuto sentirmi meglio, il bar Lupin, anche se non era neppure mezzogiorno.

«Un whisky, per favore».

Avevo la sensazione che sarebbe stato il primo di tanti.



----------AUTHOR'S NOTES

Buona Pasquetta a tutti! 

Ecco il primo incontro tra i due protagonisti, che ne dite?

Dal prossimo capitolo un po' di azione...

Credo che da ora in poi pubblicherò 2 volte alla settimana, lunedì e giovedì, per non perdere troppo il filo della storia. A presto <3

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