Capitolo 2

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«Io non ci posso credere! Ma davvero?»
«Dai Brand, lascia stare, magari diceva solo per dire...»
«No Matth, no. Ascolta me: sfrutta le tue capacità! Se le avessi io ne farei sicuramente buon uso»
«Perché tu sei una testa vuota» scoppiammo a ridere e ci dirigemmo verso ľuscita dell'istituto. Andavamo al liceo scientifico Da Vinci a Milano, un ottima scuola a mio avviso, anche se ammetto che la maggior parte della gente che era lì non sapeva neanche risolvere la più banale equazione. Ad ogni modo c'era ricrezione e avevamo bisogno ďaria, dunque uscimmo e ci sedemmo nelle panchine adiacenti all'entrata. Brandon si adagiò con tutta la sua delicatezza di giocatore da basket e alzò lo sguardo al cielo, assorto nei suoi pensieri. Lo osservai. Aveva degli occhi azzurri profondi quanto il mare, venati qua e là da striature più scure. I capelli marroni scompigliati al vento gli facevano ripetutamente capolino sulla fronte, portandolo a spostarseli con la mano. Aveva un bel viso, senza alcun difetto. Non per niente era seguito da una fila interminabile di ragazze. Io però a differenza sua ero stato etichettato come "lo sfigato". Talvolta però venivo anche chiamato "gay" o "finocchio", due espressioni troppo comuni, per come la vedo io. Ormai se qualcuno stava un po' per conto suo e non faceva la vita agitata di tutti gli altri adolescenti era sbagliato. Certo che io però non avevo mai fatto niente per smentire le ipotesi su di me. Non che me ne importasse, vedevo la vita come qualcosa che si deve fare, non avevo ancora avuto quello stimolo che mi permettesse di godermela o di desiderarla. In poche parole vivevo in modo monotono, studiando per occupare il tempo. Lo studio difatti era il mio compagno. Mi impegnavo in esso per ottenere buoni risultati, senza mai esserne realmente soddisfatto. Tranne con la matematica. La matematica era un'eccezione. Mi piaceva davvero tanto e, a discapito di quello che dicevano gli altri, la capivo anche. Nel tempo libero quindi sfogliavo i libri di testo, scrollavo TikTok e alcune volte leggevo anche libri. I miei preferiti erano quelli storici, che narrano di guerre attuali e passate, favorendomi anche buoni voti in materie quali storia o educazione civica. Perso a osservare il cielo non mi accorsi che ľintervallo era finito e saremmo dovuti tornare in classe, perché di lì a poco avremmo avuto ľinterrogazione di inglese. Mi alzai, guardai Brand per invitarlo a fare lo stesso e lui, borbottando qualcosa di incomprensibile, si alzò e mi seguì. Non riuscimmo a entrare a scuola che sentimmo suonare la campanella. Dovevamo correre o Costa ci avrebbe fatto pentire di aver indugiato. I corridoi erano ancora pieni di studenti dunque ci toccò fare un veloce percorso per evitare le persone. Stavo ancora correndo quando Brand si fermò davanti all'aula di musica, dalla quale proveniva una velata melodia di violino. Mi girai a guardarlo per dirgli di muoversi, ma nel momento stesso in cui ruotai il capo andai a sbattere contro qualcosa. O per meglio dire qualcuno. Non ci voleva. Non c'era quasi più nessuno fuori dalle classi e ľunica persona che non avrei voluto vedere mi si materializzò dinnanzi: Aaron Bavarese. Se Brand aveva la fila di ragazze, Aaron ne aveva il doppio, se non il triplo. E io ovviamente dovevo volare contro a... dovetti abbassare la testa per vederla. Certo posso vantare il mio metro e ottantasette ďaltezza, ma la ragazzina con cui mi ero scontrato era forse un metro e sessanta... Non capii chi era, teneva lo sguardo basso e mi suscitò anche un po' di pena. Sembrava una brava ragazza. Ritirai tutto ciò che avevo pensato quando mi guardò. Aveva gli occhi infiammati d'ira, le mani strette a pugno e le labbra serrate, come se dovessero riuscire a trattenere quelle parole che non credevo di meritarmi. Era bassa e avrei detto fosse innocua se non ľavessi vista in quelle condizioni. Il peggio però era il ragazzo con lei. Aaron non me l'avrebbe certamente fatta passare liscia. Nel frattempo Brand, che prima sembrava incantato dalla sezione di musica, materia che peraltro non aveva nel suo orario scolastico, mi raggiunse. Se fossi stato provocato sicuramente lui avrebbe preso le mie difese, era fatto così. Inoltre non avrebbe mai rifiutato una rissa. Non sapevo cosa dire. Potevo andare via senza dire nulla, ma ormai avevo indugiato troppo, mi avrebbero seguito; sarei potuto scappare in classe, ma visto il ritardo Costa ci avrebbe buttato fuori e l'arrivo di Bavarese sarebbe stato inevitabile; ultima possibilità era chiedere scusa e abbassare lo sguardo anche se sapevo che con un mio pentimento non si sarebbe certamente tirato indietro. Alla fine decisi l'ultima.
«Scusa Aaron, scusatemi non volevo.» dissi fingendo un grande dispiacere «Andiamo Brand, preferirei evitare la ramanzina di Costa» sussurai sottovoce al mio amico. Feci per andarmene ma una mano possente mi fermò. «Non vai da nessuna parte»
«Aaron, non mi sento di prenderti a botte, lo scorso mese non ne sei uscito illeso e neanche questa volta succederà se hai intenzione di attaccar briga» lo precedette Brandon, già scontratosi con molti ragazzi e a conoscenza della vittoria che avrebbe portato a casa per l'ennesima volta.
«Oh ma io non voglio fare niente di male, solo far capire al tuo amichetto quello che ha provato la mia ragazza quando gli è volato contro».
«Non sono la tua ragazza» la ragazzina finalmente aprì bocca, o per meglio dire sussurrò quel tacito rimprovero a denti stretti. Mi fermai ad osservarla ma un dolore lancinante mi inondò la testa. Mi accorsi dopo pochi secondi che avevo ricevuto un pugno. A differenza mia però il mio amico non indugiò, bensì si catapultò contro il mio aggressore, saltandogli addosso e scagliandolo a terra. Iniziò una rissa. Le mattonelle ocra della scuola si sporcarono di piccole macchie rosse cremisi, che divennero pian piano flutti continui. Si stavano ammazzando di botte e io non ero immobile, come pietrificato da una forza invisible che compresi più tardi fosse paura. Non potevo permettere loro di continuare, ma se mi fossi immischiato sicuramente non ne sarei uscito. Mi voltai sperando di vedere la ragazzina fare qualcosa, ma era come scomparsa. Di lei non c'era più traccia, ma al suo posto arrivarono dei professori, alcuni dei quali non sapevo neanche chi fossero o cosa insegnassero. Separarono Aaron e Brand, rossi sia per la rabbia che per il sangue. Mi sentivo svenire. Sarei andato nei casini. La testa pulsava, me la presi sperando di trovare conforto nella fermezza delle mie mani, ma le allontanai non appena senti qualcosa di caldo e denso riempirmele. Le portai davanti agli occhi per vederle e riconobbi del sangue.
«Tutti dalla preside adesso!»
Non so chi lo disse, ma obbidii senza porre resistenza.

*

Camminammo tutti a testa bassa, senza guardarci. Davanti alla presidenza fummo fermati. Un professore bussò e, dopo aver avuto il consenso, aprì la porta. Mi dissero di aspettare fuori. Entrarono prima Brandon e Bavarese. Il tempo sembrava infinito, dunque mi sedetti per terra e, massaggiandomi la testa, ripensai all'ordine e al modo in cui era avvenuto tutto quel casino. Solo perché mi ero scontrato con quella ragazzina? Ma chi si credevano? Non lo tolleravo. Non vidi l'ora di parlare con la preside per spiegarle tutto, almeno avrebbe capito e sarei uscito da quella situazione.
Mi faceva male la testa, il sangue colava ancora e ľunica cosa che potei fare fu tamponare la ferita con un fazzoletto. Mi appoggiai al muro e socchiusi gli occhi, concentrandomi solo sulle pulsazioni.
Un tonfo riempì l'aria e vidi Brandon infuriato nero, con lo zaino in spalla, diretto verso le scale, come se fossero la sua unica salvezza.
«Cosa ha detto?»
«Niente, solo che mi sono beccato una sospensione di una settimana»
«Ma le hai detto le cose come stanno?»
«Sì, infatti ha ben pensato di dare a me una settimana e a Bavarese due. Però non mi interessa. Siamo a settembre e sono già a casa! A giugno non ci arrivo. Comunque vado perché ľultima cosa che voglio è stare qui ad aspettare che esca quella testa di cazzo. Ci sentiamo» concluse lui.
«Sì».
Lo seguì con lo sguardo finché non uscì dalla mia portata e, dopo aver sentito il rumore della porta di ingresso chiudersi, tornai ai miei pensieri, che però anche questa volta furono interrotti. Aaron uscì, ancora più arrabbiato di Brand, forse perché riportava più danni, e si diresse in infermeria, la porta accanto a quella della presidenza. Non mi degnò di uno sguardo e per questo gliene fui grato.
«Signor Flecher, entri» venni chiamato.
«Salve» dissi
«Si sieda». Mi accomodai e mi venne spiegato tutto quello che avevo già vissuto, ma raccontato dai miei compagni. Confermai la versione, identica alla realtà se non per un particolare. Non era stato accennato della ragazza. Lo dissi io:«È tutto vero, ma in realtà io mi sono scontrato con una ragazzina, non con Aaron»
«E chi sarebbe?»
«Non lo so, non la conosco, ma si è dileguata quando Brand e Aaron hanno iniziato a prendersi a botte»
«Grazie per le informazioni signor Flecher, lei, da ciò che mi è stato raccontato, non ha fatto niente, quindi non riceverà alcun tipo di punizione se non un avviso a casa e una raccomandazione: stia attento, è l'ultimo anno, lo sfrutti al meglio e non lo butti via»
«Lo farò senz'altro. Arrivederci» dissi e uscii.
C'era la scuola piena di adolescenti, appena usciti dalle loro classi. Decisi di andare in bagno a lavarmi la faccia e a rinfrescarmi un po'. Scesi dunque le scale, imboccai il corridoio che portava ai servizi e aprii la porta. Piombai sul lavandino. L'acqua iniziò a scorrere e mi bagnai il viso, sentendo finalmente il fresco che aspettavo. Chiusi poi il rubinetto, mi asciugai con i fazzoletti di carta del distributore e chiamai mia sorella per dirle tutto. Non avevo più voglia di restare a scuola, quindi imboccai la via per casa, raccontando alla mia fidata compagna ľavvenuto.

Hidden Love Like the sun on iceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora