«Inizi bene l'anno, eh Matth» disse Eleonor, la mia sorellina. Lei è da sempre il mio rifugio ed è essenziale. La chiamo ancora "sorellina", anche se so bene che ormai non la posso più considerare tale. È in terza superiore, però non andiamo nello stesso istituto dunque i momenti in cui ci vediamo sono esclusivamente dopo scuola.
«Lascia stare Lola» presi il cartone del latte dal frigo e me ne versai un generoso bicchiere. Lo bevvi, ancora sovrappensiero, e mia sorella scoppiò a ridere. «E adesso che hai?» devo ammettere che mi dà parecchio fastidio quando qualcuno ride di me, anche solo per scherzo «Niente sciocco, solo che hai i baffi di latte! È da quando sei piccolo che non riesci a bere il latte normalmente» e ricominciò a ridere. Mi pulii e le detti un bacio in fronte, piccolo vizio che le concedo da sempre. Quindi andai in camera e accesi il PC per studiare. Iniziai da storia, ma la mia mente volava ancora all'accaduto della mattina. Chiamai Brandon, potevo parlare solo con lui. Appena dopo due squilli vidi la sua figura coricata comodamente sul divano, con una lattina di Coca zero nella mano destra e il telecomando nella sinistra Il suo computer era sicuramente appoggiato al tavolino di vetro in salotto, difatti lo vedevo dal basso.
«Che c'è? È successo qualcosa?»
«No, è che stavo pensando alla rissa con Aaron»
«E?»
«Come "e?"hai già dimenticato tutto?»
«No, solo che non ci voglio pensare. Non voglio pensare a quella testa di cazzo che mi ha fatto beccare una sospensione. E tu perché ci stavi pensando?». Non sapevo se dirgli o meno della ragazzina.
«Non so, è che oggi è cominciato tutto perché mi sono scontrato con una ragazzina, non con Aaron. Perché alla preside avete detto così? E sai perché lei è scomparsa quando avete iniziato a prendervi a botte?»
«Ma, non ci avevo neanche pensato di dirlo alla preside. Inoltre sarà stata una cagasotto e avendo paura è scappata. Non so neanche perché fosse con quel coglione. Comunque non pensarci troppo, lasciala perdere. Adesso vado che voglio finire di guardare 'sto film.»
«Ok... ciao» riattaccai e mi sentii ancora più confuso di prima. Non sapevo cosa fare. A volte mi capitava di avere i "momenti bianchi", come li chiamo io, dove sono annoiato, non voglio fare niente ma mi sento pieno di energia per fare qualsiasi cosa. Strano, lo so. In quel momento volevo fare tutto e niente. Dovevo decidere però. Valutai le situazioni: studiare? Passo; leggere? Ma anche no; guardare la TV? Non mi va. Decisi di andare a correre. C'era freddo fuori quindi misi dei pantaloni grigi della tuta e una maglia termica nera della Nike. Scesi le scale e arrivato alla porta d'ingresso calzai le scarpe da ginnastica, misi telefono e auricolari nella tasca destra e mi avviai. Appena uscii venni travolto da un fresco vento autunnale, ma ciò non mi fermò. Dovevo liberare la mente a tutti i costi. I miei passi riempivano l'aria priva di suoni e il mio respiro affannato produceva piccole nuvole di vapore bianche. Ascoltai tutta la playlist dei Nirvana, ovviamente quella contenente le mie canzoni preferite, e mi fermai. Ero arrivato al parco, non molto distante da casa. Avevo sempre amato quel posto. Da piccolo ci passavo le mie giornate. Non era lontanissimo da casa mia, circa mezz'ora di macchina e tutti i weekend io e la mia famiglia ci andavamo a piedi per passare le giornate e fare dei picnic. Non era particolarmente frequentato, d'altronde vivevamo in quartiere periferico di Milano, molto bello e accogliente, ma privo della vitalità che si trova presso il Duomo. Mi sedetti su una panchina, quella vicina alle due altalene, chiusi gli occhi e portai la testa indietro, scaricando il peso di quella giornata. Il dolce cinguettio degli uccelli, l'aria che mi solcava il viso, il sole, timido perché autunno, mi riempivano la mente di accoglienti ricordi. Non pensavo più a ciò che dovevo affrontare ora, al mondo adolescenziale che mi costringeva a correre, alla vita che mi ritrovavo, piena di problemi. Ľunica cosa che aveva il permesso di riempirmi i pensieri era la vita di "ieri". Le corse con Lola per fare a gara a chi arrivasse prima allo scivolo, i ghiaccioli al chiosco vicino al parco, le ginocchia sbucciate che mi ritrovavo quasi tutte le domeniche. Era bello. Aprii gli occhi ma dovetti affrontare la fievole luce solare. Vidi tutto nero e quando finalmente misi a fuoco notai la silhouette di una ragazza. Non era il fisico che ci si aspetta, non quello di tutte le ragazze, ma bello, a modo suo. Aveva il seno piccolo e il bacino largo. Le gambe si adattavano alla forma della vita, non grossa, ma neppure piccola. I jeans neri lasciavano libere le piccole caviglie, mentre il maglione rosso, infilato all'interno dei pantaloni, copriva quasi completamente il collo. Era vestita in modo semplice, ordinato. Ľaggettivo, che calzava a pennello col suo outfit, non si poteva usare anche per ľacconciatura. I capelli color nocciola erano scompigliati, legati dietro con una matita, lasciando svolazzare qua e là qualche ciuffo ribelle. Il viso immacolato, privo di trucchi, era liscio e puntinato da piccoli nei, che la rendevano ancora più carina. Le labbra erano piccole, così come il naso e le orecchie, bensì non come gli occhi. Erano stupendi, grossi e contenenti una piccola sfera marrone caramello, curiosa e timida allo stesso tempo. Si potrebbe considerare una ragazza qualsiasi se non osservata attentamente, ma dopo una dettagliata analisi posso confermare che sia stupenda. A differenza sua in quel momento io dovevo avere la faccia di un emerito imbecille, fermo lì a guardarla... dovevo dire qualcosa.
«Ciao, posso aiutarti?»
«Posso sedermi?» disse indicandomi il posto vicino a me sulla panchina. Il parco era quasi vuoto, per quale motivo avrebbe dovuto sedersi qui?
«Sì» le feci segno di accomodarsi e lei aggraziata si appoggiò dapprima solo alla seduta e dopo anche allo schienale. Posò la custodia di un violino - suppongo - vicino ai suoi piedi e si avvicinò le unghie alle labbra. Iniziò a mangiarle nervosamente, era un po' strana...
«Ascolta, devo dirti una cosa» saltò su con questa affermazione e mi spaventò un po'.
«Scusa, ma ci conosciamo?» dovevo chiarire almeno questo.
«Ehm... forse... io ti conosco, ma tu non credo»
«Ok... posso quindi sapere chi sei?» ammetto che mi stavo particolarmente innervosendo.
«Scusa, è che sono in ansia, non so come dirtelo»
«Non volevo metterti in difficoltà. Ricominciamo. Io sono Matthew, Matth per gli amici» gli tesi la mano e lei la prese dicendo cordialmente e ridendo: «Io sono Silvie e vengo anche io al Da Vinci, solo che sono in quarta»
«Oh, non ti ho mai vista, scusa»
«Ammetto che cerco di stare un po' sulle mie...»
«Suoni?» indicai con lo sguardo la custodia che aveva appena appoggiato.
«Sì, il violino, da quando sono piccola»
«Wow»
«Già». Iniziò a regnare silenzio e imbarazzo quindi presi in mano la situazione andando al sodo.
«Allora, cosa mi volevi dire?»
Divenne rossa e tornò a mangiarsi quelle povere unghie, già martoriate. «Ehm... ecco... allora... Mi piace un ragazzo» sputò fuori «E ho bisogno del tuo aiuto. Puoi farlo? Non so come dirglielo»
«Non pensavo fosse questo quello che dovevi dirmi... comunque sarei contento di aiutare un'amica» le feci ľocchiolino «però perché hai chiesto proprio a me?»
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Hidden Love Like the sun on ice
RomanceMatthew è al quinto anno di superiori ed è pronto ad entrare nel mondo universitario, nella speranza di trovare qualcosa che lo motivi e lo spinga a continuare il suo cammino con gioia. Ha però ancora un anno davanti che si rivelerà difficile e pien...