«Buongiorno, dormito bene?» chiese mia mamma appena aprimmo la porta della camera. Silvie sobbalzò dalla spavento e io mi arrabbiai molto «Sei una stalker mamma? Cosa ci facevi davanti alla mia porta?»
«Matth stai calmo, stavo passando di qua per portare in camera di tua sorella i panni lavati»
«Chissà perché proprio mentre stiamo uscendo...» dissi con finta ironia.
«Matth, ascolta tua mamma. Non ľha fatto apposta. Su andiamo giù» Silvie mi rassicurò mi prese la mano. Arrivati in cucina notai mia sorella. Cazzo! Se Eleonor avesse visto Silvie la sua reazione sarebbe stata peggiore di quella di mia mamma. Non potevo farci niente. «Buongiorno» esordii arrivando sulla soglia della cucina.
«Ciao Matth, com... Ma non mi hai detto che avevamo un ospite! Oddio, ciao, io sono Eleonor, ma puoi chiamarmi Ele, Nola, Lola... come ti pare. Sei la fidanzata di Matth immagino»
«Siamo solo amici Lola»
«Certo, certo» disse sbrigativa senza degnarmi di uno sguardo, ma rivolgendolo alla mia amica.
«Ehm, io sono Silvie, piacere» le tese la mano e cercò di nascondere il volto rosso d'imbarazzo nelle ciocche scompigliate di capelli.
«Da quanto state insieme? Hai avuto la bellissima idea di presentarla ieri mentre io non c'ero?» si rivolse a me dopo aver ricambiato la stretta.
«Ma è così difficile capire che siamo solo amici?»
«Sì dato che avete dormito nella stessa stanza e siete scesi con le mani intrecciate»
«Scusa ma te come lo sai che abbiamo dormito insieme?»
«Si vede». Mi stavo arrabbiando e Silvie sembrava particolarmente a disagio. Si unii anche mio papà che però, sorprendendomi, non fece tutte le domande di mia sorella.
«Ciao a tutti!». Si avvicinò alla macchina del caffè e chiese :«Per quanti?». Un coro di "io" lo portò a farne cinque. Ci sedemmo al tavolo. «Allora, come si chiama la tua amica?» chiese il papà rivolgendosi a me.
«Piacere, sono Silvie
«Ciao Silvie, io sono Anton Flecher. Hai dormito qui stanotte?»
«Sì»
«Non sapevo foste amici... non mi hai mai parlato di lei»
«Effettivamente ľho conosciuta ieri...». Mia sorella sbiancò e sul volto dei miei genitori si dipense disapprovazione per ciò che avevo fatto. La colazione passò in totale silenzio e imbarazzo, quindi quando la finii presi nuovamente per mano Silvie e la trascinai di sopra. «Mi dispiace»
«Per cosa?»
«Come "per cosa", Silvie? Per la figura di merda che ti ho fatto fare! La mia famiglia sembra non voler capire che siamo solo amici...»
«Forse perché ci siamo mascherati da altre persone»
«Cosa intendi?»
«Intendo che viviamo in un mondo di merda! Fa tutto schifo! Nessuno può essere chi è davvero! Siamo sempre etichettati con nomignoli che non rappresentano la vera persona che siamo, ma quella che ci fanno essere gli altri. Dobbiamo indossare una maschera, sennò veniamo giudicati. E essere giudicati fa male! Portiamo un peso dalla nascita, tutti. Quando capiamo il mondo e comprendiamo le persone che ci circondano possiamo fare due cose: o mettere una maschera e soffrire o ammazzarci e chiudere tutto!». Era arrabbiata e stava per scoppiare a piangere.
«Non dirle queste cose Silvie»
«No Matth, io le dico! Eccome se le dico! Non è colpa dei tuoi genitori, anzi loro sono anche troppo carini, la colpa è mia e io non ce la faccio più a sopportare questo peso. Mi sento sempre su un palco, pronta a essere giudicata dal pubblico. Io non ce la faccio più. E sai una cosa? Io sono ancora qui perché c'è qualcuno che ci tiene a me e io nonostante tutto provo ad amare». Scoppiò a piangere.
«Tesoro vieni», mi sedetti sul letto e la presi sulle ginocchia portandole la testa al mio petto con fare protettivo. Pianse per dieci minuti buoni mentre io le accarezzavo dolcemente la testa, dandole di tanto in tanto un bacio. Ad un certo punto si tirò su e si ricompose chiedendomi scusa. «Ma per cosa?»
«Non avrei dovuto dirti tutte queste cose. Dimentica tutto»
«Assolutamente no! Tu me le hai dette perché dovevi sfogarti e non ce la facevi più. Io non dimentico un bel niente! E ricorda che se hai bisogno io ci sono sempre. Sia per consigli su ragazzi che per pianti incondizionati» risi un po'.
«Ti voglio bene Matth. Non so come farei senza di te»
«Anche io te ne voglio, e tanto. Sei la mia piccola Stellina». Lei arrossì e io la diedi un bacio in fronte. Le scese una lacrima.
«Dobbiamo andare a scuola. Devo anche passare a casa a prendere i libri» disse dopo pochi minuti.
«Sai... io non ho studiato niente per oggi e in più non ho voglia di andare a scuola... ti va se andiamo a fare un giro?»
«Stai dicendo che vuoi marinare la scuola?»
«Si può anche dire così. Ma io preferisco dire che mi prendo un "giorno sabbatico"»
«Sei proprio stupido. Te ľhanno mai detto?» chiese ridendo.
«No, contento di saperlo. Quindi accetti? Vedi di dire di sì. Dopo la consolazione mi devi un favore»
«Ecco adesso mi fai sentire in colpa». Mise su un finto broncio e incrociò le braccia. Scoppiammo entrambi a ridere. «Dove vogliamo andare?»
«In un posticino...»
«Non vuoi dirmi dove, ho capito»
«Esatto»
«Allora andiamo! Cosa devo prendere su?»
«Niente»
«Come niente?»
«Prenderò io le cose per te dal reparto vestiti di mia sorella»
«Va bene. Possiamo passare a casa mia un secondo?»
«Sì. Preparo le robe e andiamo». Andai in camera di mia sorella e le chiesi ciò di cui avevo bisogno. Mi diede tutto quello che le avevo chiesto senza troppe domande, infilai le cose nello zaino, andai in cucina e preparai quattro panini: due con mozzarella e prosciutto cotto e due con bresaola e rucola. Presi poi due mele, due borracce piene ďacqua, due birre che misi in una borsa frigo e quattro barrette di cioccolato in caso avessimo un calo di zuccheri. «Scusa ma dove hai intenzione di andare con tutta quella roba?» Mi chiese mia mamma. «Sì Matth, ne serve davvero così tanto di cibo?» la seguì a ruota Silvie. «Sì, serve tutto. Andiamo a fare un giro un po' lontano». «Torna per cena!».
Caricai sulla macchina la borsa frigo, lo zaino con il cibo, un altro zaino coi vestiti e con altre cose in caso ne avessimo bisogno. «Portami a casa tua». Silvie mi indicò la strada. Arrivati scese e dopo un quarto ďora tornò con uno zaino piccolo con "lo stretto necessario", come ha detto lei. Partimmo e presi ľautostrada alle 9:30. Poco dopo si addormentò e feci tutto il viaggio in totale silenzio, senza la musica perché avevo paura di svegliarla.*
Alle 11 si svegliò e vedi nei suoi occhi pura gioia. «Andiamo al mare!». Risi. «Sì, andiamo al mare»
«Quanto manca? Dove andiamo di preciso?»
«Mancano circa venti minuti e precisamente andiamo a Genova. Conosco una bellissima spiaggia molto silenziosa che ti piacerà sicuramente»
«Io ti voglio troppo bene!»
«Anche io». Gli ultimi minuti passarono in fretta. Parlammo tantissimo, ci scambiamo idee sulla musica e ci lamentammo dei professori, dei compiti, di alcuni compagni.
Accostai la macchina al marciapiede parcheggiando. Scendemmo e, prese le mille borse, la accompagnai sulla strada per la spiaggia. Nel tragitto passammo davanti a una pasticceria con una vetrina ricolma di dolci dall'aria invitante. «Ci fermiamo vero?» disse Silvie golosa.
«Ovvio». Entrammo e ci accomodammo ad un tavolino in un angolo appartato. Lo stile del locale era proprio bello. Sembrava una di quei vecchi pub, ma con un tocco moderno. Le poltrone magenta erano poste ai lati dei tavoli quadrati, mentre le sedie grige circondavano i tavolini rotondi con il piano marmoreo. Il bancone era pieno di pasticcini e croissant ripieni fino all'orlo e al soffitto erano appese stupende lampade a LED che conferivano un aria calda, che metteva a proprio agio. Poco dopo esserci seduti arrivò una cameriera, con una maglietta nera con la scritta "Sunrise" e lo stemma del negozio e con un grembiule del medesimo colore della pelle delle poltroncine. «Cosa posso portarvi?»
«Per me una pasta col pistacchio e un cappuccino col cacao» disse Silvie e io seguendola:«Per me una brioche alla crema e un caffè americano, per favore»
«Subito». Si girò sventolando la chioma nera legata in una coda e tornò alla sua postazione. Arrivò tutto in poco tempo e a mezzogiorno eravamo già in spiaggia. La sabbia era calda, il mare calmo, il sole luminoso. Presi uno dei tanti zaini e lo aprì estraendone due salviettoni. Li misi a terra e mi ci sedetti sopra. Le dissi di fare lo stesso e si accomodò vicino a me. Guardammo le onde infrangersi sulla battigia e ascoltammo per un po' lo scroscio perpetuo dell'acqua contro gli scogli, inspirando ľaria salmastra. Non c'era freddo, anzi la temperatura calda mi fece andare in una piccola cabina poco lontana da dove eravamo seduti. Presi su lo zaino e mi cambiai mettendo il costume. Quando uscii Silvie disse:«Vuoi fare il bagno?!»
«Esatto, metti anche te il costume»
«Ma non ľho preso su, non mi hai detto che sarebbe servito»
«È nella borsa vicino a te. È di mia sorella ma a lei non va bene e credo che a te starebbe benone». La prese e come me si cambiò. Quando uscii la vidi con addosso un bellissimo due pezzi fucsia che stava benissimo con la sua pelle color oliva. Non lasciava vedere niente e mi parve di vederla a suo agio. «Ti piace?»
«Sì,»disse arrossendo«e a te?»
«A me molto, sei stupenda, ma perché me lo chiedi?». Arrossì ulteriormente e si giustificò con un banale "tanto per sapere".
Entrammo in acqua e nuotammo dunque un po', grazie al tempo che lo permetteva. Erano quasi le due quando uscimmo ad usciugarci, quindi presi dalla borsa frigo le birre e scartai i panini. Mangiammo e parlammo tantissimo, conoscendoci ogni secondo di più. Non so cosa c'era tra me e quella ragazza, ma qualcosa ci legava, ci rendeva simili. Tutto avvenuto dopo un banale incontro, un incontro speciale. Mi sembrava di conoscerla molto più a fondo di quanto conoscessi me stesso, di aver sempre avuto bisogno di un'amica come lei. Ed è in quel momento che pensai davvero a me e a lei, a noi. Chi era lei per me? C'era qualcosa oltre all'amicizia? Non sapevo cosa significava il termine "amore". Non avevo mai detto "ti amo" a nessuno. Ero ancora inesperto, ma ero certo che era qualcosa di grande. "Amore" è solo una parola per descrivere un concetto indescrivibile. Audaci coloro che hanno provato a dare un nome all'immenso; dunque si può pensare di conoscere qualcuno da tutta la vita? Sì. Ma questo vuol dire amarlo? Io la amo? In quel periodo la mia vita era un punto interrogativo, non sapevo chi erano gli altri, chi ero io, ma sapevo anche troppo bene chi era lei. Per questo ľavevo portata al mare? Per la semplice voglia di passare del tempo con lei o per perché necessitavo non separarmi dalla mia "amica"? Non sapevo a cosa pensare. Le emozioni sono difficili ma giunsi ad una conclusione: non ero sicuro di amarla, ma per me era sicuramente una figura fondamentale.*
Grazie a tutti voi, che siete arrivati in fondo a questo capitolo. Se vi è piaciuto ricordate di mettere una stellina e di commentare per qualsiasi vostro dubbio o anche solo se avete voglia di appuntare qualcosa. Spero abbiate apprezzato queste parti iniziali e spero continuiate a leggere,
Sun
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Hidden Love Like the sun on ice
RomanceMatthew è al quinto anno di superiori ed è pronto ad entrare nel mondo universitario, nella speranza di trovare qualcosa che lo motivi e lo spinga a continuare il suo cammino con gioia. Ha però ancora un anno davanti che si rivelerà difficile e pien...