Capitolo 12

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Rimasi imbambolata per qualche secondo, con le braccia ancora tese e il respiro strozzato. Feci scivolare lentamente le mie mani sulle sue spalle e ricambiai il gesto. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dalle emozioni: conforto, sicurezza, pace, affetto. Strinsi forte la sua maglietta nera e poggiai il viso nell'incavo del suo collo. Sentii il calore del suo corpo e la sua pelle liscia sulla guancia.

 Come poteva, un abbraccio, trasmettere così tante sensazioni? Come poteva farti dimenticare i problemi e disconnetterti dal mondo?

 Le persone si abbracciano tutti i giorni per salutarsi o per felicità, per convenienza o per tristezza, ma spesso si tratta di abbracci vuoti e senza amore, abbracci dati tanto per farlo.

Invece quell'abbraccio fu diverso. 

 E forse quello fu il momento in cui capii che cos'è un vero abbraccio.

È il modo migliore per aiutare, perdonare, trasmettere emozioni.

 È il regalo più bello che tu possa ricevere o fare.

Ed è un qualcosa di straordinariamente magico.

- Grazie - sussurrai distaccandomi leggermente da lui per guardarlo in faccia. Eravamo vicinissimi, tanto da sentire il suo respiro sulla mia pelle. Schiuse le labbra per poi serrarle di nuovo, come se avesse voluto dire qualcosa.

- Dobbiamo andare - concluse accennando un sorriso e voltandosi per prendermi in spalla.

Misi le mani sulle sue spalle e lui fece passare le sue sotto le mie cosce, sollevandomi senza il minimo sforzo. Mi aggrappai al suo collo e appoggiai la testa sulla sua schiena.

Le immagini degli ultimi avvenimenti mi piombarono in mente, uno dopo l'altro.

L'abbraccio, i portali trasparenti, il simbolo, la continua disponibilità di Jared nell'aiutarmi,  gli enormi squarci nella corteccia dell'albero, la mia fuga da Luke, la strana sensazione di bruciore che provai alle ossa mentre correvo, la rabbia disumana contro tutto e contro Jared, gli occhi del lupo che mi fissavano e che mi tormentavano nei sogni. 

Paura, rabbia, curiosità, confusione, incredulità, diffidenza. 

Il mio corpo e la mia mente non erano altro che un enorme pentolone, pronto ad esplodere per la quantità e la diversità di emozioni che stava contenendo. Mi sentivo come se un enorme macigno mi stesse opprimendo, come se mi fossi trovata dentro ad un armadio che, pian piano, si rimpicciolisce, fino a schiacciarti e soffocarti definitivamente.

Tutta quella situazione era troppo per me. Ero costretta a fidarmi di persone a me sconosciute, ad affidare la mia stessa vita a loro e, ironia della sorte, fidarmi era la cosa che mi veniva peggio di tutte. La diffidenza era un tratto indelebile della mia personalità: temevo che se mi fossi fidata totalmente di qualcuno, quello, prima o poi, mi avrebbe tradita, ferita, abbandonata. L'unica persona della quale mi fidavo davvero era Luke, ma in quel momento avevo perso anche lui. Come se ciò non bastasse, avrei dovuto fidarmi in merito a questioni che riguardavano vampiri, lupi mannari e chissà quant'altro. La mia unica possibilità era non farmi domande, non pensare in modo razionale e fare tutto ciò che era in mio potere per aiutare Luke e Chris. Continuavo a ripetermelo. 

Dopotutto, ignorare e negare era una mia grande abilità. Spesso e volentieri, ignoravo ciò che provavo, ciò che vedevo, negavo i fatti, negavo i sentimenti, quando questi mi mettevano in difficoltà. Ero sempre in bilico tra il cercare e il respingere le persone: li cercavo perché amavo conoscere e incontrare nuove persone, avere degli amici con i quali divertirmi e ai quali volere bene. Li respingevo quando questi diventavano troppo importanti per me, quando l'eventualità di perderli diverrebbe troppo dolorosa, così come lo era stato perdere mio padre. Questo lato del mio carattere si era terribilmente accentuato dopo la morte di papà. 

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