OCTAVIAN- luce

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TW: autolesionismo, problemi di rabbia 

La casa era molto accogliente.
Rimasi particolarmente dagli animali che c'erano. Peter mi raccontava sempre di come amasse casa sua; viveva in una fattoria piena di animali, ma quando aveva sette anni i suoi genitori morirono quindi lo portarono all'istituto.
I mattoni sembravano illuminarsi di luce propria, quasi come non gli importasse nulla dell'enorme stella a cui noi umani dovevamo la vita.
Dalla mia stanza vedevo il giardino e la stradina che avevamo percorso per arrivare a casa. Il letto si trovava proprio sotto la finestra e io sorrisi alla consapevolezza che avrei passato molte notti a guardare il cielo stellato, come facevano gli antichi romani. A destra del letto c'era un comodino di legno con due cassetti. Ai piedi del letto si trovava una libreria vuota e subito di fianco una scrivania. Sul lato opposto c'era un armadio marrone chiaro. Dalla parte opposta al letto trovai degli scaffali vuoti.  Quando ci entrai, rimasi colpito dal forte odore di cannella e pagine di libro e io pensai che non ci fosse posto più perfetto per me.
Sistemai velocemente le mie cose, appendendo i maglioni e le camicie, piegando i pantaloni e allineai le poche foto che avevo dei miei genitori sul comodino.
Sorrisi, sentendomi a casa per la prima volta dopo anni.
Mi sedetti sul letto e chiusi gli occhi, concedendomi di assaporare la pace e il silenzio che non avevo mai sentito all'istituto.
Cercai di memorizzare tutto ciò che sentivo; la disposizione dei mobili intorno a me, l'odore impregnato sulle coperte, i suoni provenienti dal bosco, la luce dolce che entrava dalla finestra.
C'era calore, un calore che non ricordavo di aver mai provato. Era tutto diverso dall'istituto: lì sembrava tutto freddo anche in piena estate, qui tutto sembrava accogliente e sicuro.
Ero certo che avrei impiegato molto a sentirmi parte di quella calma.
Respirai a fondo l'aria pulita.
Contai i miei respiri, rimanendo sorpreso nello scoprire che erano molto più calmi e stabili rispetto a qualche ora prima.
Mi alzai in piedi. Mi sistemai il colletto della camicia e mi passai una mano tra i capelli.
Uscii dalla mia stanza, diretto in quella di Livia.
La trovai distesa a pancia in su sul pavimento, braccia e gambe divaricate a formare una stella. Aveva gli occhi chiusi e il respiro regolare, sembrava in pace coi sensi e quasi pensai che stesse dormendo per quanto il suo volto fosse rilassato.
Feci per lasciarla sola quando vidi un bagliore strano provenire da sotto la scrivania.
Feci un passo avanti e lei aprì gli occhi. "L'hai visto anche tu?" Sussurrò. "L'hai visto anche tu o sono pazza?" Lo chiese come se entrambe le alternative avessero la stessa probabilità di essere vere. Ad essere sincero, l'avevo visto anche io e nonostante tutto pensavo che lei fosse pazza, ma decisi di non dirglielo in faccia.
"Che cos'è?" Chiesi io, non del tutto sicuro se volevo davvero entrare nella questione la-fiamma-pazza-vede-oggetti-luccicanti-nella-casa-nuova. Sì, lo so. Lavorerò sulle mie skill per dare titoli alle cose.
"Non ne ho la più pallida idea. Non mi era mai capitato di vedere cose luccicare prima d'ora" Disse e io non seppi se interpretarlo come una cosa positiva o un segno del destino che mi diceva di scappare.
Mi avvicinai alla scrivania, mi inginocchiai sul pavimento e guardai dove prima avevo visto il bagliore. Niente. Stavo per rialzarmi quando notai un piccolo dettaglio; la vernice sembrava leggermente diversa da quella nel resto della camera e sembrava essere dipinta velocemente e senza cura in un punto preciso tra due mattoni. Allungai la mano per toccare quel punto. Senti l'aria spostarsi e vidi una testa castana spuntare da sotto la mia spalla. Guardai Livia mentre si accovacciava sotto la scrivania, osservando con i suoi grandi occhi dorati.
Battei le dita sul punto con la vernice diversa e sentii che faceva un rumore strano, quindi provai a fare la stessa cosa in un altro punto del muro e constatai che erano due suoni diversi; nel punto con la vernice sembrava quasi vuoto e negli altri punti era il classico suono che facevano i muri.
Livia mi imitò, picchiettando le nocche su diverse parti della parete. Ad ogni tocco sentivo il solito suono.
Stavo per dirle di smetterla e che probabilmente era un difetto della vecchia casa, quando, dopo che lei batté le nocche ancore una volta su un punto diverso, sentii il suono che faceva il punto con la vernice diversa.
Inclinai la testa, che fosse un caso?
Livia seguì la linea di mattoni da un punto all'altro e ci batté delicatamente la mano, facendo quel suono strano.
"Magari passa un tubo." Dissi io, cercando una spiegazione.
Lei scosse la testa. "No, questo non è il rumore che fanno i tubi. All'istituto eravamo pieni di tubi e nessuno ha mai fatto questo suono."
Prima che potessi replicare, sentii Daisy chiamarci dalla cucina per la cena.
Io mi alzai in piedi, offrendo una mano a Livia per tirarsi su. Lei mi ignorò, continuando a fissare il punto sotto la scrivania.
Io sospirai. "Dai, andiamo a mangiare. Continueremo l'indagine del rumore del muro più tardi."

Ci dirigemmo entrambi verso la sala da pranzo. Lei sembrava un po' nervosa, continuava a tormentarsi le mani, strappandosi le pellicine morte e mordendosi le unghie.
Ancora prima di entrare in cucina, fui accolto dall'odore di verdure grigliate e pane tostato. Sorrisi a Daisy quando varcai la soglia, salutai Adam che stava finendo di apparecchiare e mi sedetti nel primo posto libero. Livia rimase in piedi all'entrata, studiando con attenzione la tavola. Le feci cenno di sedersi vicino a me, lei titubò un secondo per poi accomodarsi sulla sedia di fianco a me. 
Le sorrisi, cercando di rassicurarla per qualsiasi problema le passasse per la testa. All'istituto avevo imparato che a volte il sorriso di qualcuno che non conosceva ciò che ti portavi dentro era tutto ciò che serviva, che quel calore dato per pura umanità era un gesto da non dare per scontato. Quando ero più piccolo avrei dato qualsiasi cosa purché le persone non mi guardassero con pietà ma con amore, con calore e con tenerezza dovute a ciò che io rappresentavo per loro. Volevo che mi dicessero che mi volevano bene nonostante fossi un piccolo uragano, volevo che mi guardassero e trovassero un semplice bambino, volevo che mi curassero le ferite, volevo che mi prendessero la mano e mi insegnassero a vivere. Volevo essere trattato normalmente, nonostante di me non sapesse nulla, nonostante agli occhi di tutti io non fossi normale, nonostante avessi bisogno di più cure degli altri, nonostante mi servisse del tempo in totale silenzio, nonostante mi bastasse un piccolo fastidio per esplodere totalmente, nonostante io non fossi il bambino perfetto che tutti volevano, perché io ero quello strano, quello che gli altri bambini indicavano e dicevano di stargli lontano, quello che gli insegnanti ignoravano, quello che tutti disprezzavano. 
Avevo imparato a convivere con la consapevolezza che c'era qualcosa che non andava in me, qualcosa di rotto, qualcosa che non funzionava bene. E io ci provavo a trovare un modo per aggiustare quegli ingranaggi che mi giravano in testa, io ci provavo ad ignorare il cigolio che facevano, io ci provavo a trovare qualcosa con cui sostituirli, ma io non ero un meccanico, io non sapevo guardarmi allo specchio e capire perché non funzionavo. A me non bastava chiudere gli occhi e contare fino a dieci per calmarmi. Io volevo stare seduto in una stanza vuota, con la sola luce della luna ad illuminare i fogli su cui riuscivo ad intingere i miei pensieri. Un flusso rosso e denso, senza un filo conduttore che mi usciva dei polpastrelli, dalle nocche, dai polsi. Non se ne accorgeva mai nessuno. Nessuno notava i miei occhi arrossati, le meni viola, i capelli scompigliati, i segni sui vestiti. Nessuno aveva mai fatto caso a quei piccoli dettagli che per me significavano il mondo, nessuno tranne Peter. Tutti hanno dei mostri dentro di noi e siamo responsabili per ciò che fanno quando li lasciamo uscire. Ma Peter era con me ogni volta che volevo strapparmi la pelle, ogni volta che volevo spezzarmi le ossa, ogni volta che volevo aprirmi il cranio, ogni volta che il mio corpo era troppo da sopportare; una prigione di carne, pelle ed ossa che si degrada lentamente dandoti l'illusione di avere abbastanza tempo. 

spazio io lol

giuro che era iniziata bene, poi ho iniziato ad ascoltare canzoni tristi e avete visto com'è andata. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 18 ⏰

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