OCTAVIAN- un nuovo fuoco

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Era passato troppo tempo.
Quanto? Una settimana.
Mi sedetti sul letto del mio istituto.
Avevano detto che sarebbero tornati a prendermi dopo una settimana.
Forse sono stato stupido io a credergli.
Peter entrò nella mia stanza. "Octavian, ci sono quelli che ti volevano adottare. C'è una ragazza con loro." Scrollò le spalle. "Ti conviene andare o il signor Brown ti spella vivo."
Sospirai. "Arrivo, vai di sotto."
"Sei sicuro? Posso aiutarti a-" Tentò Peter.
"Ho detto vai di sotto." Ringhiai io.
Peter sembrò titubante, quasi preoccupato. Ma poi mi diede un'ultima occhiata e se ne andò.
Strinsi i pugni lungo i fianchi.
Respira. Datti una calmata.
Feci più respiri profondi, provando a stabilizzare il battito cardiaco.
Non capivo cosa mi stesse passando per la testa.
I miei pensieri galoppavano a mille, un miscuglio di dubbi e ansie senza fondamenta stavano costruendo un castello di insicurezze nella mia mente e sapevo benissimo che quando un edificio costruito su un terreno instabile cadeva distruggeva tutto ciò si trovava intorno.
Chiusi gli occhi.
Mi maledissi mentalmente per aver alzato la voce a Peter. Non se lo meritava, era solamente un ragazzino che cercava di essere gentile con me.
Eppure io mi comportavo come se lui fosse la causa di tutti i mali.
Era come un fratellino per me.
Riaprii gli occhi. Guardai la scatola con le mie poche cose ai piedi del letto.
Non sapevo se fossi pronto ad andarmene.
Avevo passato la vita ad immaginare di vivere da solo, di poter prendere le decisioni per me stesso, di lasciar quelle mura ammuffite nel passato.
Eppure, ora che avevo l'opportunità di scappare non mi sentivo tanto sicuro.
Che cosa mi stavo lasciando alle spalle? Che cosa mi sarei trovato davanti?
Se non gli fossi piaciuto mi avrebbero riportato indietro?
Non rovinare tutto.
Tirai un pugno alla testiera del letto.
Respira.
Mi alzai in piedi. Lasciai vagare lo sguardo nella stanza che condividevo con gli altri ragazzi, memorizzando ogni dettaglio, chiedendomi se mai ci sarei tornato di nuovo.
Mi guardai allo specchio sporco, sistemandomi il colletto della camicia slabbrata.
Presi la scatola con le mie cose e mi incamminai verso la sala comune dell'istituto.
Il signor Brown era lì ad aspettarmi, con la sua barba tagliata male e le croste di formaggio sulla camicia.
Gli feci una smorfia, lui era intento a fissare qualcosa sullo schermo.
Distolsi lo sguardo; Peter era lì, cercando di nascondere le lacrime che aveva negli occhi.
Spostai il peso della scatola su un solo braccio, mentre con l'altro gli feci cenno di avvicinarsi.
Lui si fiondò subito in un abbraccio.
"Tornerò, non mi stai perdendo." Gli sussurrai all'orecchio.
"Promettimelo. Promettimi che mi chiamerai tutte le sere. Promettimi che non ti dimenticherai di me." Mi disse, sentivo le vibrazioni della sua voce nel mio petto.
"Come potrei mai dimenticarmi del mio fratellino?" Gli sorrisi.
"Promettimelo."
"Te lo prometto."
Gli accarezzai la schiena, lasciando che si calmasse.
Sembrava così fragile in quel momento, ma io sapevo che dietro quelle lacrime c'era un ragazzino che presto sarebbe diventato molto più forte di quanto potesse immaginare.
"Andrà tutto bene, okay?" Gli dissi, anche se non ne ero così sicuro.
Lui si asciugò le lacrime e mi sorrise. "Ti aspettano fuori."
Lo abbracciai un'ultima volta e uscii dall'istituto, chiedendomi quanto tempo ci avrei impiegato a rovinare questa favola perfetta.

Adam e Daisy mi aspettavano fuori dal cancello, insieme ad una ragazza.
La guardai con attenzione. Aveva i capelli rosso fuoco che risplendevano alla luce del sole, era piuttosto bassa ed era troppo magra per essere in salute.
Indossava una t-shirt oversize dei Ghost e dei jeans cargo rovinati dal tempo.
Quando si girò, mi persi completamente.
Quegli occhi, due grandi occhi dorati che sembravano nascondere l'infinità dell'universo, due grandi occhi che sembravano nascondere ogni segreto esistente, due grandi occhi dorati che sognavo ogni notte.
Non poteva essere lei.
Eppure, aveva un'aria di casa, nonostante sembrasse vagare in una nuvola immaginaria.
Sembrava...calda, ma non quel calore dell'estate... più un calore sbagliato ma allo stesso tempo giusto, il calore del fuoco, puro caos che sembrava così accogliente e pericoloso...
Lei sembrò sussultare quando mi vide, ma si ricompose quasi subito.
Sentii Adam dire qualcosa, ma io ero rimasto a guardare la ragazza per capire cosa mi stava dicendo e dovetti chiedergli di ripeterlo.
Adam mi sorrise. "Ti ho chiesto se hai preso tutto. Come stai? Sembri un po' giù." MI guardò con aria preoccupata.
Io scrollai le spalle, cercando di sembrare il più tranquillo possibile. "Sì, va tutto benissimo. Sono solo un po' stanco." Dissi con una voce che sembrava più scocciata di quanto volessi.
Daisy si intromise. "Allora è meglio andare subito a casa così puoi riposare. Su, su, è ora di andare." Mi sorrise, un sorriso caldo e rassicurante. Si girò verso la ragazza, la spinse delicatamente in avanti. "Lei è Livia, viene dall'Italia ma ha anche origini canadesi, giusto, cara?"
Mi venne quasi da ridere. Livia, sul serio? Livia e Ottaviano Augusto, ci mancava solo un matrimonio combinato.
La ragazza, Livia, annuì. Sorrise, forse era un sorriso forzato o forse era genuino, però intravidi qualcosa, qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco. "Piacere." Disse lei, aveva una voce dolce e innocente ma nascondeva una sfumatura di angoscia in quelle note.
"Sono Octavian." Dissi io e ancora una volta la mio voce mi fece sembrare più scocciato di quanto non fossi. "Piacere."
Adam sorrise. "Sono sicuro che andrete molto d'accordo. Andiamo a casa così potete sistemare le vostre cose."  Prese la scatola che avevo tra le mani e la mise in auto.
Daisy mi strinse la spalla. "Andrà tutto bene, vedrai." Mi sorrise. "Non dirle niente, a Livia. Sto imparando a controllarlo, non ha bisogno di saperlo." Sussurrai io, il sorriso di Daisy vacillò leggermente. "LO so che ora riesci a controllarlo, ma è meglio che lei sappia. Non voglio che-" "Ho detto di no." La interruppi io. "Se mai dovesse avere bisogno di saperlo, glielo dirò. Ma fino ad allora, lei non lo deve sapere." Daisy annuì, mi lasciò andare la spalla e si diresse verso l'auto, dove Adam e Livia erano già seduti e pronti a partire.
Mi sedetti nel sedile posteriore, insieme a Livia. Daisy si sedette davanti insieme ad Adam.
"Dovremmo metterci circa trenta minuti ad arrivare a casa, dobbiamo fermarci per comprare qualcosa di veloce da cucinare questa sera, avete preferenze?" Chiese Adam.
Livia si irrigidì leggermente, quasi impercettibilmente. Decisi di ignorarla. "Qualsiasi cosa, tranne quegli hamburger americani che non sopporto proprio." Dissi io.
Livia si sporse lievemente in avanti. "Mi va bene tutto, ma io non mangio carne e pesce." Mi girai a guardarla. "Sei vegetariana?" Lei annuì
Daisy battè le mani un paio di volte, un'abitudine che non ero ancora riuscito ad inquadrare del tutto. Adam mise in moto l'auto.

Dopo circa un quarto d'ora, ci fermammo ad un market. Adam ci chiese se volevamo andare con loro, ma Livia declinò dicendo che non le piaceva fare la spesa e io dissi semplicemente di essere stanco.
Rimanemmo solo io e lei in auto. Appoggiai la testa al finestrino, osservando le persone che passeggiare per le strade.
Ero sempre stato bravo a notare i dettagli; nell'istituto passavo ore affacciato alla finestra ad osservare. Mi dava un senso di pace che non riuscivo a spiegare. Mi piaceva ipotizzare ciò che pensavano gli altri, inventare storie, speravo che ogni persona che passava sotto la mia finestra avrebbe alzato lo sguardo, mi avrebbe visto, sarebbe entrato nell'istituto e avrebbe detto;"Voglio lui, farà parte della mia famiglia."
Non era mai successo.
Almeno non fin quando Adam e Daisy si presentarono all'istituto, dicendo di voler adottare un bambino o un ragazzino, una settimana fa.
Io ero perso a leggere nel giardino, loro avevano incontrato Peter e lui li guidò da me. Gli disse che i miei occhi ricordavano il ghiaccio e che Adam, essendo un insegnante di storia, sarebbe impazzito a sentire il mio nome, Octavian Augustus.
Livia si mosse di fianco a me, giocando con il lembo della t-shirt dei Ghost che indossava.
Io notai che aveva una piccola piuma sulla spalla. "Stai ferma." Dissi e forse sembrò un po' una minaccia. Allungai la mano e le tolsi la piuma. "Non so se voglio farmi domande oppure no." La guardai con un sopracciglio alzato.
Lei arrossì lievemente. "Forse viene dall'aeroporto, siamo entrati in un negozio che vendeva delle sciarpe con le piume." Mormorò e io notai come sporgeva leggermente il labbro inferiore all'infuori mentre parlava. 
Buttai la piuma fuori dal finestrino. Lei si strinse nella felpa.
"Ascolti i Ghost?" Le chiesi e lei sembrò illuminarsi, come se avessi acceso una piccola fiamma che sarebbe presto diventato un incendio.
Annuì. "Sì, li ascolto da quando ero bambina, anche se la signorina Amber ci diceva che era tutta roba satanica che ci avrebbe fatto finire all'inferno con i demoni che ci pizzicavano i piedi mentre dormivamo." Rise, un suono delicato e malinconico. Mi ritrovai a sorriderle di rimando. "Deduco che la signorina Amber sia la direttrice del tuo istituto. Livia annuì.
"E tu hai continuato ad ascoltare i Ghost anche dopo la minaccia di finire all'inferno?" Solitamente quando qualcuno diceva questo tipo di cose in un istituto, tutti i bambini ci credevano, io compreso.
Le annuì di nuovo. "Sì, non so perchè ma quella era una delle regole che non avevo paura di infrangere. Come la regola di non leggere libri che non erano approvati dalle suore." Rise di nuovo.
"Che tipo di libri leggi?" Chiesi io e, ora posso dirvelo cari ragazzi, non chiedete mai ad una ragazza che legge di raccontarvi dei suoi libri a meno che non siate pronti a scoprire la parte oscura delle lettrici. Io vi ho avvisati.
Ma nessuno mi aveva dato questo  prezioso consiglio, quindi lo chiesi comunque e me ne pentii non appena vidi lo sguardo che aveva Livia, con un sorrisetto malizioso disegnato sulle labbra. "Leggo molti fantasy, ma preferisco i distopici anche se non ne trovo molti. Poi leggo i romance più famosi." Andò avanti a parlarmi dei suoi libri fin quando Adam e Daisy non tornarono, e io ascoltai ogni singola parola, perché sono un bravo ragazzo che non vuole morire per mano di una lettrice pazza.

SOGNI DI UN IMPERODove le storie prendono vita. Scoprilo ora