LIVIA- una casa

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Quei capelli.
Non avevo idea dove li avessi visti, non sapevo perché ne fossi così sicura, ma erano i capelli che sognavo ogni notte.
Perché, perché, perché?
Perché la mia mente doveva essere così...così?
Inizialmente, ero agitata. Cercavo di nasconderlo, ma il mio cuore batteva forte, i miei respiri erano affannosi, la mia mente era annebbiata.
Quasi gli mollai un pugno quando allungò la mano per togliere la piuma.
Mi maledissi mentalmente quando iniziai a parlare a vanvera sui libri che mi piacevano.
Stai zitta, è ovvio che non gli interessa. Stai zitta.
Daisy e Adam arrivarono, lasciando cadere la questione dei libri. Però mi sentii un po' meno agitata. Non mi aveva zittita, questa era una cosa buona. Nessuno mi aveva mai ascoltata parlare dei miei libri, tranne Anastasia. Lei rimaneva ad ascoltarmi per ore, sdraiate sull'erba nel giardino. Non vedevo l'ora di arrivare a casa e poterla chiamare.
Casa.
Mi sentii così bene... Non mi ero mai sentita libera, non mi ero mai sentita importante, non mi ero mai sentita a mio agio. In quel momento, mi sentivo come se niente potesse fermarmi, mi sentivo come se avessi tutto l'universo a mia disposizione, come se avessi le redini del mondo. Mi sentivo come se per la prima volta in tutta la mia vita fossi davvero io, come se fossi davvero libera di vivere e non solo di sopravvivere.
Ci rimettemmo in viaggio e dopo circa quindici minuti arrivammo in una graziosa casetta di mattoni. Rimasi incantata a vedere come i muri sembravano riflettere la luce del sole, creando uno spettacolo di luci e colori.
La casetta era in fondo ad una strada sterrata, immersa nel bosco ma non troppo lontana dalle strade della città. Il giardino era recintato da uno steccato di legno. Vidi delle galline girare libere tra l'erba, sentii un rumore di zoccoli e muggiti, quindi dedussi che ci fossero anche delle mucche e forse anche un cavallo. Mi guardai intorno e vidi molti fiori e alberi da frutta, dietro alla casa spuntavano dei filari di pomodori.
Era il paradiso. Mi sentii accolta da un senso di casa che mi riscaldò l'animo.
"Ti piace?" Mi chiese Daisy e io non potei fare altro che annuire, troppo ammaliata dalla bellezza che vedevo.
Ero cresciuta in mura grigie e tristi, vedevo gli animali solo dalla finestra e alla televisione, leggevo di affetto nei libri, mi immaginavo di avere una famiglia.
Per me era tutto nuovo, era come se tutte le mie fantasie  fossero diventate realtà.
Adam rise.
Guardai Octavian, che aveva lo sguardo fisso sulla casetta.
Okay, casetta non era esattamente il modo giusto di chiamare l'enorme abitazione che ci trovammo davanti. Sembrava avere due piani, più una soffitta. Il tetto era rosso e si illuminava sotto il sole rossastro del tramonto.
Daisy e Adam ci guidarono all'interno. "Le stanze sono tutte di sopra, avrete i bagni separati così siete comodi. Spostate i mobili come vi piace, chiedeteci pure se vi serve una mano." Disse Adam. Li seguii su per le scale, c'erano diverse porte; quella che dava sulla strada era la stanza di Octavian mentre quella verso il bosco era la mia.
Mia.
Non avevo mai avuto una stanza da chiamare mia, avevo sempre condiviso tutto: stanza, bagno, cucina. All'istituto ero abituata a dover finire di mangiare molto in fretta per avere il primo turno al bagno.
Le pareti della  mia nuova stanza erano di color sabbia tendente al rosato. Una grande finestra mostrava il retro del giardino e i grandi alberi del bosco, il letto era nella parte interna, mentre l'armadio e gli scaffali erano nella parte opposta. Sotto la finestra c'era una scrivania con una lampada da tavolo. Sulla parete opposta c'era una grande libreria.
Sorrisi. Era tutto perfetto.
Appoggiai la scatola con le mie cose sulla scrivania e la aprii, tirando fuori ciò che c'era dentro.
Inizia a sistemare i miei vestiti, misi le foto dentro un cassetto, nascosi le cose più rovinate in fondo all'armadio.

Una volta sistemata la stanza con cura, chiesi ad Adam se mi potesse prestare il suo cellulare per chiamare Anastasia, come promesso.
Lei ci mise qualche secondo a rispondere, in Italia era mattina e quindi probabilmente stava facendo colazione o si stava preparando per la giornata.
Quando mi rispose, quasi cacciai un urlo per la gioia. "Ehi! Ti sei già dimenticata di me?" Scherzai io e la sentii ridacchiare dall'altro lato. "Come potrei mai dimenticarmi di te? Qua è tutto così silenzioso senza le tue canzoni sparate a tutto volume." Sorrisi con una nota di malinconia. "Tutto tranquillo immagino. Io sono arrivata adesso nella casa nuova, tra poco ceneremo."
"Tutto nella norma, qui. Sto aspettando il turno per il bagno. Però raccontami di te, com'è la casa? E i genitori? Sei già andata a fare un giro?"
"La casa è fantastica, è molto vicina ad un bosco. Loro sono strepitosi. Penso che andremo a fare un giro domani, soprattutto perché io e Octavian dobbiamo comprare il materiale per la scuola?"
La sentii sbuffare. "E ora chi è Octavian?"
"Un ragazzo, è stato adottato con me. Viveva già in California, però ha anche origine italiane."
"Uh, la storia si fa interessante." Scherzò.
"Smettila, ci siamo conosciuti qualche ora fa, e poi sarà mio fratello."
Lei sospirò. "La dinastia Giulio Claudia si ricostruirà in un'altra generazione."
Sentii qualche rumore, probabilmente erano le altre bambine dell'istituto.
"Devo andare adesso, è il mio turno del bagno. Ti chiamo stasera?" Chiese Anastasia.
"Vuoi dire domani mattina?"
"Stupido fuso orario." Soffiò lei e io ridacchiai.
Ci salutammo e io riagganciai il telefono.
Mi lasciai cadere sul letto, sognante.
Chiusi gli occhi e per la prima volta mi sentii quasi al sicuro, senza l'ombra di terrore che mi portavo dietro all'istituto.
Riaprii gli occhi e vidi di sfuggito un luccichio sotto la scrivania, ma prima che potessi metterlo a fuoco era già sparito. Pensai fosse solamente il riflesso di qualcosa.
Mi rimisi seduta, con la schiena contro la spalliera del letto. Richiusi gli occhi, cercando di fare respiri profondi e memorizzare l'odore intorno a me; tutto sapeva di miele, cannella, margherite e pagine di libro.
Sospirai, chiedendomi quanto avrei impiegato a chiamare quelle persone famiglia.







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