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Quattro mesi sono tanti, tantissimi. Parlare con lui quasi ogni giorno per quattro mesi, ridere, scherzare, fantasticare, immaginare con lui qualsiasi cosa per quattro mesi e ora non averlo più è davvero un colpo pesante per me. E lo so che doveva andare così fin dall'inizio, so che ha ragione lui e non dovevo permettere a questa storia di durare quattro mesi senza dirgli la verità, lo so bene, ma per una volta sono stata egoista e ho voluto godermi fino alla fine una delle poche cose belle che la vita mi ha messo davanti.
Lui ci starà male, lo so e mi dispiace, sono stata egoista l'ho già detto, ma non volevo rinunciare a lui prima che scoprisse la verità. E ora mi ritrovo qui a fissare ad intermittenza il soffitto e la sua chat vuota su Whatsapp, come se questo potesse avvicinarlo a me in qualche modo.
Se chiudo gli occhi, però, le immagini di noi due sulla scogliera l'ultima volta che ci siamo stati mi fanno mancare l'aria. I suoi occhi quando gli ho detto che sto per prendere i voti, la sua espressione sorpresa e delusa non la dimenticherò mai. E la dolcezza con cui mi ha detto che gli piaccio, che lui da me vuole più di quello che io ho mai immaginato possibile da fare, mi ha fatta a pezzi. E quando gli ho detto che per me è stato un gioco immaginarci con dei figli e fantasticare sui loro nomi gli ho fatto male e non perché lui davvero si vede già sposato con me e con tre figli ma per il fatto che gli ho detto che per me era solo un gioco. Che poi se devo dirla tutta, non è stato per niente un gioco. Se avessi la possibilità di avere una figlia vorrei davvero chiamarla come mia madre ma per me è talmente impossibile e fuori da ogni mia immaginazione che quando gliene ho parlato mi sembrava di stare davvero volando con la fantasia. Di mia madre, però, non ho mai raccontato a nessuno, nemmeno Emilia sa di questa cosa del suo nome. Io Khvicha non l'ho mai preso in giro, tutto quello che ho fatto e ho detto con lui sono cose vere che davvero sento ma non potevo andare oltre. O almeno questo è quello che ho sempre pensato della nostra storia. Ora invece, che non lo vedo e non lo sento da due settimane, sto cambiando idea. Sono pazza, lo so, ma negli ultimi giorni mi girano per la testa dei pensieri e delle idee strane.
Sto facendo di tutto per allontanarli dalla mia mente ieri ho addirittura rifiutato di vedere la partita del Napoli con Suor Consiglia per non vederlo e non farmi venire idee stravaganti. Idee che già affollano la mia testa e che sto cercando di tenere a bada.
Che idee? Chiudo gli occhi e mi immagino di vivere questi sei mesi di libertà che mi mancano alla clausura con lui, in ogni modo possibile. Di vivere questi sei mesi come se fossero gli ultimi della mia vita, di uscire con lui a cena, di andare agli aperitivi, a ballare, di baciarlo e accarezzare i suoi capelli morbidi. Sono giorni che non faccio che pensare a queste cose e chiedo a Dio in preghiera la forza di rifuggire da queste idee impure. Ma non riesco a smettere, forse Dio su di me non ha più tanto potere, mi sono fatta trascinare troppo dalla storia con Khvicha che ora è lui la mia priorità e non l'Onnipotente che è nei cieli.
Mi sento combattuta, il mio corpo e il mio cuore mi dicono una cosa, la testa e quel poco di razionalità che ancora mi resta mi dicono di fare l'opposto. E nel frattempo i giorni scorrono veloci e io mi sono spenta di nuovo, come se ad un girasole togli il suo sole. E poi ci sarebbe anche da considerare Khvicha e il fatto che mi odia, sicuramente. Se mi presentassi da lui sono sicura che non mi rivolgerebbe nemmeno la parola per quanto l'ho deluso. Ed è anche per questo che non faccio niente, non mi muovo, non agisco. In pratica torno la me che sono stata per ventuno anni prima di conoscere quel raggio di sole di nome Khvicha. Sì perché io mi chiamerò anche Sole, ma l'unico che ha saputo illuminare le mie giornate è stato lui.

Passano altri tre giorni prima che io decida di fare qualcosa, anche solo di progettare qualcosa per farlo ritornare nella mia vita. Perché io sono così, prima di fare qualcosa lo immagino e lo programmo nella mia testa e lo ripeto così tante volte che poi so a memoria cosa fare dire.

«Dove vai?» mi domanda Emilia quando una sera mi vede che sto per uscire dalla stanza.
«Vado a prendere un po' d'aria, mi gira lo stomaco» le dico e lei annuisce con un'espressione dispiaciuta. Esco dalla camera e vado nel cortile, sedendomi su una panchina e prendendo il cellulare dalla tasca. Ho trovato su internet il modo di chiamare qualcuno con l'anonimo ed è proprio quello che ho intenzione di fare ora: voglio risentire la sua voce. Faccio il prefisso per l'anonimo e poi digito il suo numero che ho imparato a memoria per tutte le volte che ho pensato di chiamarlo. Schiaccio il tasto dell'avvio della chiamata e dopo due squilli risponde.

«Pronto?» dice e il mio cuore inizia a ribellarsi in petto. «Pronto? Hello? Chi sei?» continua e poi quando non riceve risposta sospira e conclude la conversazione. «Come hai il mio numero? Chi sei?» dice e poi sento delle voci in sottofondo che gli dicono di riagganciare e lui lo fa.

La sua voce è una delle cose più belle e rilassanti che io abbia mai sentito. Mi emoziono a sentirlo e mi porto il cellulare al cuore come se potessi stringere lui e non solo un pezzo di metallo. Resto lì in cortile per un'altra decina di minuti, poi torno in camera. Ci metto un bel po' per addormentarmi e la mattina alle sei sono già sveglia. Aspetto che si facciano le sette e richiamo con l'anonimo. Quello è l'orario in cui si sveglia ogni mattina da come mi raccontava, così non rischio di svegliarlo.

«Chi è?» forse l'ho svegliato perché ha la voce impastata e non è squillante come al solito. «Posso sapere chi sei? Ti conosco?» continua a chiedere e il mio respiro si fa più pesante seguendo il battito del mio cuore.
Non so nemmeno perché sto facendo questa cosa che ora col senno di poi mi sembra ridicola.
«C'è un bel sole fuori, perché non scendi giù al mare invece di rompere le scatole a me con l'anonimo?»

Ha capito che sono io.

Riattacco non appena sento quella frase e per poco non mi prende un attacco di panico. Poso il cellulare e vado a buttarmi sotto la doccia. Ho sbagliato per l'ennesima volta con lui. Cosa diamine volevo che accadesse facendo queste telefonate? Che mi scoprisse e mi ritenesse ancora più stupida e ridicola di quello che già pensava io fossi? Sono una cretina, una stupida cretina. E ora devo rimediare.
Esco dalla doccia, mi vesto e prendo la mia borsa.

«Dove vai? Non vieni a lezione?»
«Mi fa male un dente voglio andare da un dentista, dillo anche alle suore. Torno tra un paio d'ore» dico e non mi preoccupo nemmeno di capire se Emilia si è bevuta questa mia bugia perché scappo via. Khvicha una volta mi ha descritto dove abita ed è lì che sto andando ora. A piedi saranno una decina di minuti, niente di impossibile. Arrivo fuori al suo parco e busso al suo citofono ma mi risponde un uomo che non è lui.

«Salve sono il portiere del parco, chi cerca?»
«Salve, Khvicha Kvaratskhelia» dico con la voce che mi trema e gli sento fare una risata.
«Tesoro, se vuoi vederlo vai allo stadio, ok?»
«Non sono una tifosa, io lo conosco. Gli dica che lo cerca Sole e mi faccia sapere.»
Si prende una pausa e poi risponde.
«Un attimo» mi mette in attesa e dopo un minuto scarso è di nuovo da me. «Entri, scala C.» mi apre il cancello pedonale e raggiungo la scala. Lo vedo nella guardiola e lo avvicino.
«È qui a citofono che la sta aspettando» mi dice l'uomo dai capelli neri e folti e degli occhiali grandi appoggiati sul naso. Annuisco e lo raggiungo. Con le mani che mi tremano afferro la cornetta del citofono e me la porto all'orecchio.
«Khvicha?» mormoro mentre sento il suo respiro diventare irregolare.
«Vuoi salire?»
«Possiamo andare al bar a fare colazione? Sono digiuna, non so tu.»
«Aspettami scendo.»
Stacca e io faccio un respiro profondo restituendo la cornetta al portiere.

Non so cosa aspettarmi da quest'incontro ma so che rivoglio Khvicha nella mia vita, sempre se lui mi rivorrà nella sua.

***
Cosa succederà ora?

Destinati | Khvicha KvaratskheliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora