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Sin da quando era piccola ha sempre sognato una famiglia normale, una famiglia in cui i genitori si amavano e lei era considerata un gioiello. Il suo primo ricordo risale a quando aveva appena quattro anni. Stava giocando con le bambole quando i genitori iniziarono a discutere a voce molto alta. Tra offese varie e pugni sul tavolo, una frase la perforò. Si incise sulla sua mente e non se ne andò più via.
«O divorziamo o dobbiamo dare Clarissa in adozione».
Al sentire di questa frase suo padre diede alla madre uno schiaffo così forte che cadde a terra. Ricorda ancora il suo urlo di dolore e il segno della schiaffo ancora sulla sua guancia. Clarissa si mise a piangere così forte che fermò i genitori.
«Basta, basta, basta» erano le uniche parole che riusciva a dire tra i suoi singhiozzi.
Se ci ripensa adesso, le vengono i brividi, pensare che una bambina così piccola aveva riuscito a fermare una forma di violenza tanto forte la angosciava. Se solo si fossero separati anni fa, nessuno avrebbe sofferto, ma secondo loro se non fossero restati insieme Clarissa non sarebbe stata felice; in realtà lei ritroverebbe la felicità solo se i genitori si separassero. Sono così tanto presi dall'urlare che a volte si dimenticano di avere una figlia. Per esempio ognuno mangia per conto suo, lei si prepara il cibo da sola e mangia senza i suoi genitori.
Una mattina, come al solito, esce di casa per andare a scuola, senza che nessuno la saluti. Camminando di solito incontra sempre una sua amica, ma oggi non c'era.
"Chissà dov'è?" pensò.
Proseguì da sola stringendosi forti i pugni per la paura. Arrivata davanti al cancello, sentì urlare il suo nome molte volte. Quando si girò c'erano tanti, tantissimi ragazzi e ragazze che la stavano prendendo in giro.
«Clarissa ma ti danno da mangiare oppure i tuoi genitori sono troppo presi a litigare?» le urlavano ridendo.
Tra queste persone c'era la sua amica che la accompagnava ogni mattina a scuola. La sua testa iniziò a girare fortissimo.
"Non ho fatto nulla di male perché la gente mi odia?" pensò.
Una lacrima quasi trasparente le rigò la guancia destra. All'improvviso il suo corpo crollò. Vide il vuoto.
Riaprì gli occhi verde smeraldo e fu accecata dalla luce bianca dell'ospedale.
"Come ci sono finita qua? Non dovevo essere a scuola?" pensò.
«Medici medici si è svegliata!!!» disse una voce maschile quasi gridando.
Si girò per vedere da dove provenisse quella voce, ma entrarono i dottori che lo fecero uscire. L'unica cosa che riuscì a vedere fu la sua felpa grigia con uno stemma a forma di teschio viola dietro ad essa.
«Ciao! come ti chiami?» le domandò una dottoressa dall'aria molto tranquilla e calma, con dei capelli ricci e neri che le coprivano il collo.
«Cla-clarissa»
«Che bel nome! lo sai che anche mia figlia si chiama così?» non rispose.
«Visto che sei svenuta ti dobbiamo solo misurare la pressione arteriosa, ci stai?» Annuì lievemente.
Finito questo esame uscì dall'ospedale con in mano i risultati in cui c'era scritto che stava bene. Voleva scoprire a tutti costi chi era quella persona che l'aveva portata in ospedale. Però quella felpa stava già uscendo e lei non lo vide più.
"Scoprirò chi è questo ragazzo, fosse l'ultima cosa che faccio!" pensò, e chiamò sua madre per farsi venire a riprendere.

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