Capitolo I ~Il Reietto~

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Passi pesanti risuonano nel silenzio, avanzando con determinazione attraverso una distesa di polvere grigiastra che si solleva sottile, offuscando ogni possibile punto di riferimento. Il territorio che la circonda è avvolto da un'atmosfera cupa e oppressiva, dove nulla sembra familiare.

Nella mente, come una tabula rasa, non c'è traccia di un passato da ricordare, solo un vuoto incolmabile.

Raccoglie i suoi capelli rossi e selvaggi in uno chignon, che spicca sul nobile incarnato del viso a cuore. I suoi occhi vispi, grandi e rari nel loro colore violaceo, aggiungono un tocco di fascino e mistero al suo sguardo. Più di qualche punto di lentiggine segna la sua pelle, mentre il naso all'insù svetta sopra labbra fini. Il suo fisico longilineo, con quel braccio lungo che si allarga delicatamente, ospita una mano guantata con una lamina affilata sulle nocche, pronta a ferire ma che ora accarezza gentilmente il suo cane. È un meticcio, femmina, di taglia notevole che supera il metro al garrese, una presenza leale che la segue ovunque senza mai abbandonarla.

L'animale indossa un'armatura insolita, ricavata da un segnale stradale di "Stop" adattato per proteggere il suo dorso e petto, fissato con una robusta catena a mo' di corpetto. Le protezioni della ragazza sono altrettanto uniche: spalline e pettorali costituiti da pentole di duro acciaio poste sopra una maglia a mezze maniche ingiallita. In vita, un cinturone di pellame intrecciato sorregge pantaloni verdi oliva logori e rattoppati, tranne lì dove un ginocchiello ricavato da ossa di cinghiale, tutela l'articolazione già malconcia della gamba sinistra preservandola da eventuali colpi. Ai piedi, stivali di cuoio consumati ma affidabili. Una spessa sciarpa di cotone sfilacciato avvolge il suo esile collo per tenerlo al riparo dagli elementi avversi. Infine, sotto lo scuro mantello con cappuccio, nasconde la sua arma di difesa: uno spadone forgiato coi pezzi di metallo di vecchi rottami, saldamente fissato tra le scapole, pronto per essere impugnato al primo bisogno d'azione.

La pioggia cade sempre più forte, spilli di marcio scagliati dal cielo fanno tintinnare le corazze, mentre la fanghiglia incolla ogni passo e rende difficile anche solo pensare a dove andare, poiché tutto intorno è avvolto da nero profondo. Ma un'inaspettata luce scende dall'alto, illuminando la zona sul promontorio dove un tempo troneggiava fiero il vecchio faro, ora ridotto a una sagoma semidistrutta, quasi un fantasma nel paesaggio desolato. Non è un fulmine a causare questo spettacolo, poiché quelli solitamente sfrecciano con tonalità porpora. Questa luce, invece, ha un bagliore azzurro chiaro, persistente nel suo ardere mentre si schianta velocemente al suolo.

Il cane corre in quella direzione, abbaiando nervosamente come se avesse fiutato l'odore del pericolo, mentre lei, turbata per l'accaduto, lo richiama con un fischio ansioso.

<<Caly, dove corri? Torna qui! Non ti azzardare a proseguire da sola. Sai bene che non devi allontanarti, ti metterai nei guai. Ritorna indietro... Caly! Calyyyyy! >>

Le sue grida squarciano il silenzio, ma nessun guaito risponde al richiamo. Nel frattempo, nei suoi occhi si riflette quel fuoco intenso, ora brilla di un blu reale, quasi come se volesse catturare la sua attenzione. Senza esitazione, si lancia verso di lui, meravigliata nel vedere che, nonostante la pioggia battente, quella fiamma sembra invincibile, di fatti anziché spegnersi, si alimenta senza consumare nulla intorno, un piccolo sole che illumina lo spazio tetro. Imbambolata e muta, lo fissa, sudando copiosamente come se fosse cera che si scioglie. Persino il cane, con la coda tra le zampe, prova timore, immobile, si quieta. All'improvviso, il fuoco si dissolve e la notte ritorna, mentre il diluvio imperversa con gocce d'inverno sottili e fredde.

Entrambe là, bagnate fradice, osservano con sgomento ciò che si è manifestato di fronte a loro: una figura maschile distesa, la cui pelle sembra d'argento annerito. Lunghe ciocche di capelli grigi emergono da sotto un elmo d' avorio, mentre gli occhi celesti, aperti ma assenti, fissano il vuoto. Mezzo nudo, con un corpo scolpito, costui giace a terra coi brividi. Uno straccio lurido nasconde le sue parti intime, e l'oscurità che gli si riflette addosso lo rende inquietante, come il peggiore degli spettri. Sulla schiena, due ferite si aprono come spaccature, simili a quelle di un uccello a cui hanno strappato le ali. Così, alla ragazza, sorge spontanea una domanda: cosa può mai aver commesso quell'essere per meritarsi tale punizione? Mossa dalla compassione, si avvicina con passo felpato e gli toglie il copricapo di ossa. Quando finalmente lo guarda in faccia, rimane colpita: un giovane troppo bello per essere umano. In quell'istante, tutto le diventa chiaro: di fronte a lei non c'è altro che un angelo caduto da Porta Paradiso.
In questo luogo cosí suggestivo dove si crede che i due mari si incontrino, la ragazza comprende improvvisamente che non può lasciare il povero disgraziato da solo, per giunta in quelle condizioni pietose, nonostante le loro differenze e i grandi divari. Raduna tutte le sue forze, iniziando dalla volontà, per trascinarlo in un rudere vicino. È certa che ogni incontro abbia un motivo e crede fermamente che nulla accada per caso.

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