Atto primo: La passione

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Riccadonna sbuffava trascinandosi da una stanza all'altra del palazzo. Aveva affrontato un lungo viaggio, fino a Venezia, per fare visita alla sorellina e questa non faceva che evitarla. Tre anni or sono, si era maritata e non aveva ancora avuto un figlio. La famiglia era preoccupata per la sua salute. Il disonore per infertilità poteva macchiarne il buon nome. Eppure Medea, che era sempre stata esile come un uccellino, pareva fin troppo vitale e sana. Aveva preso colore anche se lo nascondeva sotto il bianco del belletto, ed era evidente che, nonostante lo stretto bustino, le fosse impossibile cingersi tutta la vita con le sole mani. Sua madre si sarebbe scioccata nel vederla così.

«Medea!», la chiamava a gran voce. «Dobbiamo parlare. Dove sei?»

Sfinita, si fermò a riprendere fiato in uno dei saloni. Si approssimò alla finestra ed estrasse un fazzoletto per tamponarsi il sudore. Attraverso la porta aperta, le giunsero una risatina strozzata e un fievole gemito. Seguì i suoni in punta di piedi e li vide.

Medea seduta sul sofà e Jacopo Barozzi inginocchiato ai suoi piedi, che le cingeva la mano priva del guanto.

Dovette premersi il fazzoletto sulla bocca per non urlare. Ciononostante, continuò a spiarli. Il giovane duca impugnava un quaderno dalle pagine sgualcite che recitava a memoria. Medea gli regalava sorrisi scostumati.

Ogni tanto, lui si allungava per raggiungerne l'orecchio e sussurrarle parole che la facevano arrossire e le strappavano versetti degni di una sguattera; non certo di una donna di rango.

Un misto di pudore e di vergogna la spinsero a indietreggiare. Jacopo era il cognato più giovane. Si portò le mani al petto. Cosa avrebbe fatto suo padre se avesse saputo? Sconvolta, urtò un tavolino. Per non farlo cadere, si girò in un fruscio di stoffa e vi appoggiò lesta le mani. A due piedi di distanza, nascosto dalle pesanti tende di velluto, stava Roberto Barozzi: il duca.

Per un attimo, i loro sguardi si incrociarono, poi lui distolse le iridi dorate e le rivolse al giardino. Il corpo era abbandonato alla parete e tra le mani, coperto dai pizzi della camicia, reggeva un bicchiere colmo di liquido scuro. D'istinto, volse la testa verso la porta aperta, da cui si era appena allontanata, e poi di nuovo verso l'uomo.

«Sono giovani...» sussurrò Roberto, come a scusarli.

Riccadonna si paralizzò. Non sapeva che pensare. Il duca, pur essendo al secondo matrimonio, era un uomo piacevole e ancora nel fiore dell'età. Non da meno del fratello, solo più maturo. Arrossì. Come poteva avere pensieri impudichi sul marito della sorella? Quella situazione aveva qualcosa di grottesco. Le scappò un sorriso nervoso. Il duca la puntò con un sopracciglio alzato.

«M-mi scusi. Io... io...»

Barozzi scosse il capo. «Non sono un buon compagno. Il mio ruolo a corte mi tiene spesso lontano da casa.» La voce si ruppe: «Forse non lo sono mai stato...»

Riccadonna si sentì avvampare. L'amore era manifesto in lui. Invidiò la sorella e un calore rabbioso l'avvolse. Come poteva essere tanto insensata?

«No, voi non avete colpa signore. Mia sorella è una sconsiderata. Osare tanto e sotto lo stesso tetto!», le sfuggì.

Roberto l'esaminò dalla testa ai piedi. Riccadonna tremò dinanzi a quegli occhi tanto intensi. Avanzò nella sua direzione e lei retrocesse un passo. Trattenne il fiato, mentre lui strusciava il bicchiere vuoto sul tavolino.

«Sono stato avventato. Non avrei mai dovuto concedere a vostro padre di scegliere quale figlia darmi in moglie.»

Il suo sguardo si attardò in quello di Riccadonna per un tempo discutibile prima di ritrarsi.

Lorenzo Di MinicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora