1.1 - ORIORUS E LAERTA I - Laerta

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Nel tempo degli eroi, la bella Nemeja dalle alte torri splendeva sulle rive del fiume Tauseos. Il giovane Re Maxor aveva conquistato la corona, strappandola dalle mani fredde degli assassini di suo padre. Amava le dolci colline che seguono il corso del fiume e lo abbracciano fino alle pendici delle Grandi Macae. Amava i boschi e le foreste, i ruscelli e i campi del suo regno. Amava il fiume e guardava il mare sognando avventure senza fine e gloria per la sua bella città.

Camminava un giorno in un campo sulle colline, poco lontano dal grande fiume. Dopo aver salutato il fattore e la sua famiglia, misurava da solo i passi, accarezzando le spighe mature, splendenti al sole dell'estate. Il buon Re si fermò, gli occhi si posarono su una figura, una contadinella dai capelli del colore del grano. Sola, mieteva le spighe, la fatica e il caldo non parevano turbarla. Il Re si avvicinò alla fanciulla e le chiese chi fosse. Lei rispose con il suo nome, Maxor perse il senno fissandone gli occhi, che ad ogni movimento cambiavano colore, dal blu del mare al verde dei prati di primavera, financo al marrone della terra. Il giovane guerriero mosse la mano, accarezzò con dolcezza il viso, lei gli sorrise e lo baciò. Lì in quel campo, il Re amò la fanciulla, sognando di farne la sua Regina. Un bacio sulla fronte, accarezzato e avvolto da quei capelli d'oro e il Re si addormentò. Quando riaprì gli occhi, la fanciulla, il cui nome non riusciva a rammentare, era scomparsa.

L'estate divenne autunno e l'autunno inverno. Le dita di gelo lasciarono Nemeja, la natura rinacque ancora una volta, Maxor continuava a regnare con giustizia a saggezza. Il giorno della grande festa della primavera, il Re si alzò all'alba ed entrò solo nel tempio della Dea Altha-Ianeaja, per pregare prima delle celebrazioni, chiedendo alla patrona dell'amore e della primavera di fargli incontrare di nuovo la fanciulla che non poteva dimenticare.

Un vagito lo distolse dalle invocazioni, sotto la statua della Dea si agitava una neonata dai capelli rossi come quelli del sovrano di Nemeja e gli occhi mutevoli dal verde, all'azzurro al marrone. Sentì vibrare nell'anima la voce della Dea, che gli rivelò di essere stata lei ad amarlo l'estate precedente, la bambina che avrebbe chiamato Laerta era frutto del loro amore, simbolo della rinuncia alla rabbia e alla guerra da parte di Maxor.

Il Re prese la bimba tra le braccia e corse fuori dal tempio, annunciando il portento ai sacerdoti e al popolo. Dieci giorni di festeggiamenti furono annunciati per celebrare quella miracolosa nascita. Grandi giochi vennero organizzati, il popolo gioiva per il Re e per la sua erede, figlia di una Dea.

Nell'arena di Nemeja, gli atleti si cimentarono in gare di forza e abilità. I lottatori mostrarono la loro prodezza, i lanciatori di giavellotto la loro precisione. Saltatori e corridori mostrarono al popolo la fibra delle loro gambe. In molti tra gli abitanti si unirono agli atleti provenienti dalla Agarnaia, fin da Agarneta, oltre le montagne, da Calatana, Seterneta, Olteala, dalle campagne e dai villaggi, fino alla Lyscaia e all'Illarea.

Non vi fu nessuno spettacolo più maestoso della grande corsa di carri che chiuse i festeggiamenti. Maxor in persona decise di partecipare alla gara. Due stalloni neri tirarono il suo cocchio, veloci come i piedi di Alth-Meresh, al suo fianco il fratello Dexor faceva vibrare i cuori delle fanciulle. Vinsero i fratelli Reali, Maxor volle donare l'alloro del trionfo al fratello, che chiese come premio un bacio dalla bella Julea, figlia minore del Re Kerekos di Seterneta.

Maxor alzò al cielo la figlia, la folla festante ammutolì per la bellezza della bimba. Il Re era raggiante, la figlia dell'amore avrebbe ereditato il suo trono, il fratello avrebbe unito nella pace Nemeja e Seterneta.

Gli uomini, però, non sono che fuscelli in balìa dei venti del fato e del capriccio degli Dei. La Dea oscura Ereth-Gelash, gelosa della nipote Altha-Ianaeja e desiderosa di rivalsa, avvelenò l'orecchio di Re Kerekos, portandogli odio nel cuore e rabbia nei confronti dell'innocente Dexor, la cui testa fece consegnare a Maxor quale dono il giorno del suo compleanno, quando l'autunno volge alla sua metà. L'odio avvampò di nuovo nel cuore del buon sovrano, e fu guerra tra le due potenti città.

Nessuno dei due sovrani era in grado di prevalere sull'altro, i loro eserciti si sfidavano nei campi di battaglia, vi furono eroi in entrambi gli schieramenti, che offrirono le loro vite per la gelosia crudele di una Dea malvagia. Ma Ereth-Gelash non era ancora placata. Scatenò così l'ultima fiamma della sua verde vendetta. Assunse l'aspetto di Altha-Ianaeja e di notte visitò le stanze e il letto di Maxor, sussurrandogli una malìa, convincendolo dell'unico modo per vincere la guerra e punire l'omicidio del fratello, offrire la figlioletta neonata al Dio della Guerra Alth-Marath.

Folle d'ira e traviato dalle parole incantate della Dea, il Re organizzò il sacrificio, per l'orrore del popolo. Fece innalzare una grande ara dinanzi al tempio di Alth-Marath, e vi depose la bimba vestita di bianco e oro.

Il pianto della neonata giunse fino alle sale di Althes-Ara, sulla Montagna Sacra, il Dio della Guerra, destato dalla sua amante, Dea della Pace, osservò con orrore il blasfemo sacrificio. Il Re alzò il pugnale e lo fece calare.

Il pianto cessò, il sangue imbrattò l'altare. Ma il Dio, mosso a pietà per la povera creatura, provvedette a salvarla. Mutato in un falco dalle piume bianche come la neve fresca dei primi giorni d'inverno, afferrò la bimba tra gli artigli e la portò via, ponendo al suo posto un maialino, che incontrò la lama crudele.

Volò fino alle Grandi Macae, volò e volò, finché non vide un filo di fumo, una casa nel bosco. Qui viveva il benevolo Mareor con la moglie Dorea. La moglie del buon boscaiolo non aveva dato figli al marito. Riempiva un secchio d'acqua nel ruscello, quando il falco si posò ai suoi piedi, deponendovi la bimba. Le disse il nome e l'origine della neonata e volò via. La donna la prese tra le braccia e l'amò come fosse sua fin dal primo sguardo. Lo stesso fece il marito, che crebbe la bimba come sua.

La famiglia di Mareor era felice, e per anni Laerta crebbe in bellezza, saggezza, pietà e bontà. Per miglia e miglia, tra le montagne, tutti conoscevano la bella figlia del boscaiolo. Ognuno non poteva far altro che essere benevolo con lei, colpiti dalla pace trasmessa da quegli occhi dal colore mutevole come le stagioni.

Eppure, persino un uomo buono e benevolo come Mareor aveva un nemico. Un uomo crudele viveva nella foresta, il suo nome era Graenus. Egli era benedetto dal Dio degli Inferi Ereth-Plodah, qualsiasi volta decidesse di scavare nelle sue ampie terre, trovava infatti oro o argento o pietre preziose. La sua ricchezza era nota fino ad Olteala. La sua casa nel cuore della foresta era costruita attorno ad una possente quercia, larga quanto dieci uomini. Il suo focolare era sempre acceso, le pietre antiche come le radici della terra.

Nell'autunno del diciottesimo anno d'età della bella Laerta, Mareor non riuscì a guadagnare abbastanza per sostenere la sua famiglia. Nonostante la moglie e la figlia lavorassero alacremente, tessendo e filando per guadagnare monete di rame e d'argento, questo non era sufficiente. Mareor dovette chiedere un prestito a usura al crudele Graenus, ma quando il freddo dell'inverno attanagliava i monti, non fu più in grado di pagare il debito.

Graenus venne da lui, con i cani feroci e i suoi uomini di fiducia. Mareor gli si parò innanzi e chiese pietà per la moglie e la figlia. Ma il crudele possidente non ne aveva nel cuore. Mareor venne battuto, sanguinò, la sua testa alzata per essere spiccata dal corpo. Dorea ghermita dai servi crudeli per essere venduta come schiava. Pianse e implorò, la bella Laerta, il suo cuore affranto. Si offrì in moglie all'uomo malvagio per saldare il debito del padre. Mareor rifiutò, disposto a perdere la vita per la figlia, ma le lacrime e le implorazioni della ragazza, che non desiderava la morte di un genitore e la sorte da schiava per la madre, lo convinsero a dare il suo assenso all'unione.

Il matrimonio dinanzi ai sacerdoti di Altha-Afhra non fu felice, i nastri colorati che unirono le mani e le vite di Laerta e Graenus non portarono gioia. La prima notte di nozze, Laerta divenne donna scoprendo non l'amore ma la violenza e la crudeltà. Così trascorse l'inverno e così visse lunghi giorni e terribili notti, nella tristezza e nell'infelicità.

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