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Quel venerdì mattina stranamente non sentì la sveglia e dovetti prepararmi di corsa. Appena aprì gli occhi, guardai il cellulare e quasi presi un infarto, avevo solo 20 minuti per prepararmi e scendere di casa.

Corsi per la casa facendo avanti e indietro più volte in tempi che definirei record. Indossai una maglietta nera semplice alla quale abbinai un paio di cargo di un grigio scurissimo.
Mi sciacquai il viso e mi contemplai allo specchio.
Ok, forse mi fissai allo specchio.
No, in verità stavo studiando la mia immagine.

Il viso pallido e gonfio mi dava sembianze cadaveriche e le sopracciglia folte andavano ognuna per conto proprio dandomi un aspetto molto disordinato. Sedetti alla mia scrivania e mi attrezzai dell'occorrente.

Sfumai un po' di correttore sulle occhiaie che fissai con la cipria, aggiunsi il mascara e una spolverata di blush per non sembrare un cadavere in decomposizione e sistemai le sopracciglia, al meglio che potrei, con un gel.

Feci lo zaino di fretta infilandoci un quaderno, l'astuccio e la merenda e
scesi al piano di sotto. Alla richiesta di mangiare qualcosa da parte di mia madre, rifiutai e non perché non ne avessi tempo. Mia madre allora mi rivolse uno sguardo rassicurante, come se leggesse la mia mente e comprendesse ogni particella del mio essere, mi donò uno dei suoi sorrisi.

Mi sono sempre domandata dove trova la forza di mostrarsi così, dove trova la forza di sorridere. Se non la conoscessi bene direi che sta piano piano superando i ricordi di mio padre e delle sue mani addosso.

Ma non è così, in realtà si mostra felice, tranquilla, serena, ma dentro non lo è per niente, la sua luce si è spenta anni fa, ma lei riesce a mostrarsi sempre brillante. Quando ci infilammo in macchina, mi avvisò che avrei avuto a breve la divisa e mi ritrovai a sorridere.
Non mi sarei sentita più diversa, in quel senso.

Non avrei più sopportato gli sguardi dei miei compagni o le battute degli insegnanti, che per la cronaca non facevano ridere neanche i muri.
Che poi alla fine è solo una divisa.
Possibile che abbia creato tutto questo caos?

Ma che problemi ho io la prima?
Abbandono questi pensieri mentre ancora assonnata guardo fuori dal finestrino.

*

Riuscii ad arrivare a scuola in perfetto orario, salutai mia madre, che mi diede un bacio sulla fronte, afferrai lo zaino e scesi dall'auto.
Avrei preferito fare strada da sola, ma nel cortile mi sentì chiamare da dietro e mi ritrovai a camminare con Isabela e Lucy.

Lucy mi sorrise e sforzandomi feci lo stesso, mentre Isabela era silenziosa, troppo silenziosa, come ieri. 
Non mi dispiaceva la loro presenza, affatto, per tanto tempo mi sono ritrovata sola e sentita fuori posto, ma ho anche bisogno dei miei spazi, soprattutto perché di prima mattina sono abbastanza nervosa.
Entrammo in aula.

Mi sedetti al mio banco e poco dopo arrivò anche Filip, sembrava chiuso in sé stesso più del solito e neanche mi salutò, io non mi arresi e continuai a fissarlo, aspettando comunque un cenno del capo, che però non arrivò.

Forse anche lui non si sentiva completamente a suo agio?
Forse i pensieri distruggevano anche lui più di quanto non desse a vedere?
Il professore di storia fece il suo ingresso poco dopo, alto com'era quasi quasi non passava dalla porta.

Si presentò e fece l'appello. Alzai la mano insicura quando chiamò il mio nome, sussurrando un "presente" che probabilmente nessuno aveva sentito. Era solo il secondo giorno di scuola, capivo che non potevo adattarmi a questo nuovo contesto sin da subito, ma ero stanca.  

Stanca di sopportare questo nodo allo stomaco quando ero in compagnia di qualcuno, che non era mia madre, ma che, al contrario, riusciva a suscitare in me le stesse emozioni che mi suscitava mio padre.

I am not the problemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora