Pareva che il cielo avesse preso fuoco, scie rosse e arancioni si intrecciavano e sfumavano in un bellissimo giallo ocra, fino ad arrivare, nei punti più alti, all'azzurro scuro che precede l'arrivo del buio.
"Rosso di sera, bel tempo si spera", avrebbe detto nonna Adele, che aveva sempre un proverbio pronto per ogni situazione.In una mano reggeva una borsa di plastica e ogni tanto lanciava uno sguardo indietro, dove il padre camminava con andatura più lenta e rigida fumando una sigaretta.
Dopo la visita, che si era rivelata piuttosto inutile, erano passati dal supermercato a prendere lo stretto indispensabile - pane, latte, pannolini, un bagnoschiuma e qualche mela - e poi in farmacia a comprare le medicine per il padre.«Sono stacca!» brontolava Chloè ogni 37 secondi esatti, strattonando la mano libera di Alec e scuotendo la testa con fare sconfortato.
« Manca poco al parcheggio, non fare la lagna, Calimera » le disse lui con fare affettuoso, passandole una mano tra i capelli scuri.
Lei sbuffò contrariata, ma per alcuni minuti, sufficienti ad arrivare alla macchina, non aprì più bocca.Scesero dalla Peugeot nera senza fretta, portarono le borse in casa e, quando Alec tornò fuori per chiudere il bagagliaio, si trovò davanti due grandi occhi verdi che conosceva bene.
Il taglio era allungato e le iridi erano un esplosione di verde oliva, verde scuro e frammenti di pagliuzze dorate che spesso facevano si che i suoi occhi venissero scambiati per marroni.
Gli occhi seguivano ogni suo movimento e, quando lui se ne accorse, una dolce voce articolò il suo nome «Alec!», disse la ragazza, fiondandosi tra le sue braccia.Era molto alta per la sua età (e per essere una ragazza), e gli arrivava all'altezza del naso.
Infilò la testa nell'incavo del suo collo, sprigionando attorno a lui il suo profumo.
Lui non era mai riuscito a capire bene di cosa profumasse.
C'era sicuramente della vaniglia, cosa che lei amava, ma si sentiva anche una componente dolciastra e un aroma che lui avrebbe definito goia.
Non "Acqua di Gioia", il profumo.
Era solo che Jas sapeva tanto di gioia, felicità.
Girava per la strada sorridendo a chiunque, e sapeva far tornare il buonumore semplicemente guardandola.
Emanava felicità da tutti i pori, non perché fosse felice, ma perché amava rendere felice chi la circondava.
Quando si staccarono dall'abbraccio, lei gli rivolse un sorriso a trentadue denti e gli chiese: « Come stai?», con il solito tono che lo metteva a suo agio.
Alec sapeva di poter essere completamente sincero con l'amica, ma non voleva toglierle dal viso quel meraviglioso sorriso.
«Va tutto bene, nanetta. E tu? Devi raccontarmi della tua vacanza in Australia!» rispose tranquillamente, restituendole un sorriso accennato.
«Austria, stordito!» ribadì lei, trattenendo una risata « Comunque è stato bellissimo, era tutto meraviglioso!
L'hotel (okay, so che era un campeggio, ma una ragazza dovrà pur sognare!), i paesaggi...e il cibo! Credo di aver mangiato più cotolette in queste due settimane che in tutta la mia vita...mi trovi ingrassata?».
Jasmine era sempre stata una ragazza slanciata, ma non del tutto magra.
Aveva sempre avuto i suoi chiletti in più, ma nulla che una taglia 42 non potesse risolvere.
Era ben proporzionata, e stava bene nelle sue misure.
«Sei sicura di aver mangiato, signorina Sonosaziagrazie? E, comunque, no, come dovresti fare ad ingrassare se mangi meno di mia sorella che, per la cronaca, ha 13 anni in meno di te?» ribatté lui.
« Pff, sai che mi sazio in fretta! » disse lei, tirandosi dietro all'orecchio un boccolo castano « Tu che hai fatto? Come sta tuo padre?» cambio argomento lei.
Fu l'ultima domanda a scuotere Alec, e Jas se ne accorse.
« Altra crisi?» chiese, comprensiva.
« È che...in un primo momento sembra che siano scomparse, si attenuano per un po' e poi BUM!, tornano più forti di prima.
È sempre più convinto che la colpa sia sua...» mugolò lui.
« Ma sappiamo benissimo che non è così, lui non ha colpa!» disse lei, fissandolo negli occhi.
Jas sapeva sempre capirlo e dargli quello di cui lui aveva bisogno, che si trattasse di una parola di conforto o un abbraccio.
E, come per magia, lui si sentì sollevato.«So io cosa ti ci vuole!» esclamò lei ad un punto, rompendo il silenzio che si era creato « Tu hai bisogno di uscire!» terminò la frase in tono convinto, guardandolo nell'attesa che lui ribattesse.
E lui non tardò a farlo: « Ma mio padre...e Chloè...non posso lasciarla sola!» controbatté, infatti, lui.
« Non pensi sia l'ora di chiamare una babysitter? » rispose lei prontamente, tirando fuori il cellulare dalla tasca e pigiando velocemente sullo schermo.
Il telefono vibrò dopo poco, e gli angoli della sua bocca sia alzarono.
« Sarah sarà qui tra dieci minuti, più o meno il tempo che mi ci vuole per darti una sistemata!» e così dicendo lo trascinò in casa, su per le scale e fino in camera sua, mettendosi a frugare nell'armadio.
Ne tirò fuori, dopo aver lanciato in aria un numero indefinito di magliette arrotolate, una polo bianca a righe blu e dei pantaloncini blu scuro.
«Vestiti!» comandò, uscendo dalla stanza e facendo sbattere la porta alle sue spalle.
Dopo pochi secondi bussò, e quando lui le disse che poteva entrare, lei si affacciò alla porta semiaperta «Dimenticavo» disse «datti una pettinata, che sembra che tu abbia un nido in testa!», poi afferrò la maniglia e la porta si chiuse di nuovo, senza che lui potesse rispondere.Uscirono di casa che erano già le nove inoltrate, e presero la stradina che portava verso il centro.
« Beh, hai conosciuto qualcuno là in Austral- emh, Austria?» buttò lì Alec, per colmare il silenzio.
«Oh, si, sono uscita con cinque o sei ragazzi del posto, tutti molto carini» commentò lei, sarcastica « Alec, ero in un campeggio di soli vecchi, con i miei nonni» ribadì.
« Avresti potuto fare amicizia con qualcuno, non credo proprio che non ci fossero dei ragazzi!» continuò lui.
« Oh, si, ho conosciuto molti vecchietti. E un bambino si è innamorato di me, in piscina. Ma, in ogni caso, lì parlano tutti strano, hanno una lingua incomprensibile» rise lei, ricordando l'accento degli austriaci.
E quella risata fece ridere anche lui, perché era la risata della sua migliore amica, dolce, cristallina e contagiosa.
E a lui bastava che lei fosse felice per stare bene.Quando si trovarono nei pressi del ristorante italiano, lui le diede una leggera pacca, sottointendendo la domanda "ceniamo qui?".
Quando lei annuì, i due entrarono nel locale "Da Salvatore".
Lì, un uomo basso e robusto sulla sessantina li squadrò da capo a piedi « Alessandro! Jasmina!» esclamò con forte accento napoletano, quando li riconobbe.
« Tavolo per due?» chiese poi, con tono malizioso.
« Si! » dissero i due in coro, abbassando lo sguardo.
Salvatore fece un cenno ad una cameriera dai lunghi capelli scuri intervallati da meches blu, che li condusse al piano superiore, dove furono accolti dall'aroma fragrante della pizza appena sfornata.
L'aria era un contrasto tra il caldo proveniente dal forno a legna, al piano inferiore, e l'aria condizionata sparata a palla sopra le loro teste, ma nel complesso c'era un clima piacevole.
Si accomodarono ad un piccolo tavolo rotondo in un angolo della sala, Jas sul divanetto rivestito di stoffa bordeaux contro il muro e Alec sulla sedia di fronte a lei.
Prima che portassero loro i menù parlarono dei vecchi tempi, quando, da bambini, quello era il loro ristorante preferito e ci trascinavano i genitori ad ogni festività o compleanno.
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Daddy?
General FictionSi può essere genitori senza aver mai avuto figli? Cos'è la tristezza? Due domande alla base di questa storia. Dal testo: "Sotto questa luce i suoi occhi assumono una sfumatura color petrolio, mentre le guance sono leggermente arrossate e ricoperte...