Capitolo otto. A little happiness.

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Buongiorno!
Io sbucò fuori così, dopo 1 mese e mezzo(?).
Che dire? Non avevo voglia e ispirazione, quindi...mi sono messa a scrivere ieri, e ho scritto il capitolo tutto d'un fiato, e penso che sia merito dell'aria di mare, che mi ha fatto venire qualche idea...ed eccomi qui!
Non ho nulla da aggiungere, buona lettura ☺️

Rientrato in casa, Alec si diresse verso la sua stanza, passando giusto in cucina per fare un saluto alla madre, che era seduta al tavolo, concentrata su delle carte.
I suoi capelli erano raccolti in una crocchia ordinata e fissati sopra la testa con delle bacchette, e lui si domandò quali altri strani marchingegni le donne adoperassero per legarseli, e perché non utilizzassero un semplice elastico.
Lei si limitò a lanciargli uno sguardo fugace e a fargli un gesto con la mano, dopo di che tornò a fissare i fogli, con espressione corrucciata.

Si chiuse la porta alle spalle e si buttò sul letto.
Dopo cinque minuti buoni si decise a svestirsi e ad infilarsi una maglietta consunta e dei pantaloni che aveva usato una volta per verniciare, e quindi inutilizzabili, se non come pigiama, e si mise sotto il lenzuolo.
Nonostante il caldo, non riusciva a farne a meno, sempre più convinto che sotto questo fosse al sicuro da mostri o potenziali assassini che fossero giunti nella sua camera da letto.

Il risveglio fu più piacevole del solito, grazie al fatto che la sera prima si era ricordato di chiudere le tende, e che di conseguenza non fu svegliato dal sole.
L'orologio segnava le nove e undici, e lui si prese il tempo di farsi una scaletta della giornata.
Quel giorno avrebbe voluto che il suo programma fosse:

Ore 10.00-11.00: non fare nulla.
Ore 12.00: cucinare qualcosa di commestibile.
Ore 13.00: mangiare qualcosa di commestibile.
Ore 14.00-15.00: non fare nulla.
Ore 16.00: mangiare qualcosa di commestibile, preferibilmente al cioccolato.
Ore 17.00-18.00: non fare nulla.
Ore 19.00: cucinare qualcosa di commestibile.
Ore 20.00: mangiare qualcosa di commestibile.
21.00-22.00: ritirarsi in camera a dormire/ a non fare nulla, ma sul letto.

Ma purtroppo, la giornata era ricca di impegni.
Avrebbe dovuto svegliare Ella, farle fare colazione mentre anche lui addentava qualcosa, lavarla e uscire con lei.
Alle 11 aveva un colloquio di lavoro, e doveva ancora trovare qualcuno che tenesse a bada la sorellina per un'ora, per poi passare a prenderla e andare a casa a cucinare.

Sei ore dopo, rientrò in casa e si lanciò sul divano.
Il colloquio, che era per un lavoro part-time in un bar, era andato in maniera disastrosa.
Aveva confuso la sua cartellina azzurra, contenente il curriculum e i suoi documenti, con quella blu delle bollette, e il datore di lavoro non si era dimostrato molto comprensivo.
Forse è meglio così, pensò, salendo in auto, Avere un tipo del genere come capo non dev'essere il massimo! scosse la testa, ricordando come l'uomo l'avesse malamente cacciato dal locale, nonostante lui si fosse più volte scusato.

«Cucù, Aec!» cinguettò Ella, che non aveva ancora imparato a pronunciare la lettera L, aggrappata al pianale dell'isola della cucina, spiccando un saltino nel tentativo di sbirciare cose stesse cucinando il fratello.
La zazzera dorata di lui si sollevò, mostrandole le sue labbra sottili, dischiuse in un tenero sorriso, che le sillabarono un "Cucù Ella!" di rimando.
Nonna "Checca" l'aveva riportata a casa tre quarti d'ora prima, addormentata, ma la pace era durata poco: come se avesse riconosciuto l'odore di casa sua, appena varcata la soglia la bambina aveva spalancato gli occhi e aveva preso a correre a destra e a manca, radunando le sue paperelle di gomma e salutandole una ad una ( e, Alec si rese conto, si chiamavano tutte "Qua") con un bacino sul becco.

«Coa fai?»
«La pappa per stasera, stellina» disse lui, senza staccare lo sguardo dalle cipolle che stava tagliando, più che altro per non mostrare alla sorella le lacrime che si erano impadronite del suo viso. Gli ricoprivano le guance in una maniera quasi assurda ogni volta che affettava le cipolle, accompagnate da un colorito che ricordava quello di un peperone «La mamma torna tardi, così mangeremo solo io e te stasera, e a lei lasceremo un piatto pronto nel forno».
« E Edwa?» domandò, scrutandolo dal basso, con i grandi occhi spalancati a fissarlo.
«Ella, si dice Edward, E-D-W-A-R-D» rispose lui, insistendo sulla pronuncia del nome.
In realtà lo preoccupava abbastanza che la bimba chiamasse il padre per nome, e non papà, ma la cosa non lo sorprendeva troppo: a causa della sua situazione, era stato molto assente, ed era chiaro che lei non l'avesse associato ad una figura paterna come avrebbe dovuto «Lui questa sera non tornerà, lo rivedremo domattina» sentenziò, omettendo il motivo della sua assenza. La clinica aveva chiamato quel pomeriggio, e aveva richiesto un ricovero per controllare la situazione del padre: a quanto dicevano, la sua depressione stava avanzando sempre di più.
«Okay» pigolò la piccola, che per il momento aveva terminato le domande.
«Che ne dici di andare a giocare un po' con i cubi, in salotto?» le domandò Alec, asciugandosi il viso.
Lei scosse la testa, poi con una risatina si dileguò, rientrando in cucina poco dopo con il suo amatissimo xilofono sotto braccio.
Chloè si mise a battere senza ritmo le bacchette sui tasti, e Alec si convinse che sarebbe stato meglio assistere a un coro di cornacchie che essere il "fortunato" spettatore di quel concerto improvvisato, ma vedere con l'espressione divertita della bambina gli fece sparire quel pensiero dalla testa.
La sua felicità era tutto ciò che desiderava.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 01, 2015 ⏰

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