E fu il calore di un momento

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<Ma no sta tranquillo, ti accompagno io a casa> Eric sta iniziando a sconvolgermi, effettivamente stare sull'autobus senza cuffie rischia di diventare un'esperienza insostenibile per me, però, salire sulla sua auto...

<Era un'affermazione, non una proposta, intanto devo uscire anch'io> La sua solita voce da stronzetto mi risuona nelle orecchie, non ho via di scampo dunque, vabbè fare un viaggio insieme non vuol dire per forza doversi parlare.

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<Vuoi stare in silenzio per tutto il tragitto?> In poco più di un quarto d'ora Eric è pronto per uscire, mi fa salire sulla sua macchina, forse un po' troppo costosa per un neopatentato, e ovviamente ha voglia di parlare 

<Parla te, io ti ascolto> Rispondo incerto, non so nemmeno perché mi voglia parlare, tutta questa situazione è molto strana.

<Eh va bene non parliamo, però almeno dimmi dove ti devo lasciare> Mi ero dimenticato il fatto che avrei dovuto dirgli il mio indirizzo, gli indico la strada finché non arriviamo, si ferma davanti al mio palazzo, lo squadra e poi guarda me, mi sento i suo occhi giudici addosso, se ne uscirà sicuramente  con qualche battutina

<Ci vediamo domani a scuola> Dice scomparendo poi in una fitta rete di macchine 

Ah, forse ho un'idea sbagliata di lui, c'è da ammettere che però solamente oggi si è comportato cosi, prima d'ora  non lo aveva mai fatto, era sempre stronzo, chissà cosa farà domani... 

Davanti al portone dell'edificio che sono costretto a chiamare "casa" non c'è nessuno, il silenzio regna sovrano, niente può toccarmi, il pensiero di ciò che troverò dentro all'appartamento non nego che mi spaventa, chissà forse oggi mio padre ha deciso di punto in bianco di tornare a casa ubriaco marcio, oppure ha avuto abbastanza dignità e ha deciso di smaltire la sbornia a casa di qualche amico. Non so nemmeno quale delle due possibilità mi faccia sentire meglio. Apro lentamente la porta, stanno per terminare quei pochi attimi di tranquillità, faccio un passo e il mio piede appoggia sul duro pavimento piastrellato, non ci sono rumori o suoni, nessun rantolo sofferente di un vecchio ubriacone che vomita abbracciando la tazza del cesso, certamente però non sento nemmeno il dolce canticchiare di mia madre che mi accoglieva ogni volta che tornavo a casa, quando ancora potevo definirla tale. 

Tutte le stanze sono sorprendentemente cosi come le ho lasciate prima di uscire, niente è spostato, non ha avuto nemmeno la decenza di controllare se il suo unico figlio fosse tornato da scuola. "Lo sai che tuo padre è un'uomo molto impegnato" continuava a ripetermi la mamma ogni volta che chiedevo dove fosse finito, magari già all'ora aveva problemi con il bere e quelle di mia madre erano solo storie raccontate da una donna esausta per rassicurare il suo bambino preoccupato, o forse era veramente un'uomo impegnato, stento a crederci però. 

Un sonoro colpo proveniente dalla porta d'ingresso mi allontana dai miei pensieri, cazzo è tornato. Un altro colpo, un terzo seguito poi da un quarto. 

<Aprimi brutto stronzo> Quella dannata voce sbiascicante mi ricorda di cosa mi aspetta, era quasi una settimana che riuscivo ad evitare di incontrarlo, lui tornava in tarda mattinata, io uscivo  all'alba, lui andava a lavorare quando io stavo in centro oppure a scuola, a volte mi nascondevo dietro i bidoni della spazzatura fuori dal palazzo finché non si levava di torno, poi rientravo.

<Cazzo muoviti> Sembra più lucido del solito. Mi dirigo verso la porta, giro la chiave, abbasso la maniglia, e intanto prego che tutto vada bene. La porta mi sbatte contro la guancia facendomi un male cane, e probabilmente tagliandomi. Mio padre rimane impassibile, come se non fosse successo nulla, anzi no, non è vero, è infastidito da qual che è successo. Si staglia su di me, siamo abbastanza vicini da permettermi di sentire quel dannato odore di alcool proveniente dalla sua bocca 

<Cosa stavi facendo dietro la cazzo di porta? Sono in grado di aprirla da solo> Non so se essere stupito o spaventato dalla sua lucidità, nell'ultimo periodo con lui  è difficile sapere ti sta arrivando un pugno o un semplice verso di disprezzo. 

<S-scusami> Blatero fissando il pavimento, decido che è il momento giusto per scappare da quella situazione, muovo un passo timoroso verso la mia camera, non mi dice nulla, ne faccio un altro, ancora silenzio, sono salvo.

<Dove pensi di andare> La sua mano callosa cinge la mia spalla e mi ributta indietro facendomi colpire il muro. Mi esce un verso di dolore  che cerco di mascherare il meglio possibile

<Tira fuori un po' di palle Teo, non voglio un frocio sotto questo tetto> Il braccio che ho sbattuto contro il muro inizia a pulsare, sento gli occhi gonfi di lacrime. Mi ha detto ciò che doveva, dirmi ora deve lasciarmi andare.

<Vattene cazzo> Mi rifugio di corsa nella mi camera, chiudo a chiave la porta, non si sa mai che gli venga voglia di parlarmi ancora. Lascio libere le lacrime, singhiozzo con la faccia schiacciata contro il cuscino, non deve sentirmi. Mi addormento cosi in una valle di lacrime. 

La mattina, quando mi alzo, lui è già uscito, fortunatamente. Merda. Guardandomi allo specchio noto un alone violaceo su tutta la guancia sinistra, oltre che un taglio poco sotto l'occhio, non sarà facile nasconderlo, nemmeno con il trucco, non posso però permettere a qualcuno di vedermi in queste condizioni, ormai non sento più nulla, qualcuno si aspetterebbe che crollassi per terra in lacrime alla vista di ciò che mio padre ha fatto, ma ho già sofferto per lui abbastanza per lui ieri, oggi è un nuovo giorno.

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<Hey Teo, vieni a fare colazione con noi prima di entrare> L'offerta proviene da una ragazza, Alessia se non sbaglio, ha dei lunghi capelli rossi e le lentiggini su tutto il volto, dietro di lei vedo Marika e un altro paio di ragazze che sono certo di aver già visto in classe ma di cui ignoro completamente il nome.

<Ehm, s-si certo> In realtà al momento avrei voglia solo di rinchiudermi in bagno fino all'uscita, ma questa fantastica società ci impone di fare amicizia con la gente quindi mi vedo obbligato a sembrare felice dell'invito. Ci sediamo in un bar vicino a scuola, frequentato da un sacco di studenti, non ho molta fame, riesco a bere giusto un cappuccino, intanto faccio finta di ascoltare le ragazze.

<Teo ma cos'hai sulla guancia ?> Marika avvicina una mano al mio volto e sfiora delicatamente la ferita della sera precedente, i miei occhi pieni di paura  incontrano i suoi, ha uno sguardo interrogativo.

<Ah era solo un grumo di correttore nulla di che> Si allontana da me e mi guarda con un sorriso dolce, deve aver capito qualcosa, ma almeno non ha voluto farlo notare a tutti i presenti, mi si scalda leggermente il cuore, mi ha  aiutato, di nuovo.

Una ragazza, che mi sembra chiamarsi Cassandra, si alza in piedi e prende parola <Ragazze> si ferma e si volta verso di me <e Teo>  guarda poi le altre <é ora di entrare>. Detto ciò inizia ad andare verso le porte, ormai spalancate, della scuola e tutte, incluso io, la seguiamo. 

Verranno a chiederti del nostro amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora