~3~ Almeno tu puoi sognare, e vedermi

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«Dazai? Dazai!» esclama una voce in lontananza, diventando più forte man mano che il proprietario mi si avvicina correndo «Dazai! Vieni via! È pericoloso!»

Non mi interessa. So che è tardi, me lo sento proprio dentro, ma non voglio crederci. Voglio continuare a credere nell'illusione che Chuuya non sia già stato portato allo stremo da Arahabaki, e che ci sia ancora la possibilità per me di fermarlo.

Continuo a correre verso quella figura minuta che sta emanando una potentissima aurea color nero e porpora, lanciando tutt'intorno a sé sfere di particelle gravitazionali, distruggendo qualunque cosa veda. Sento altre voci aggiungersi ai richiami di Kunikida, ma la confusione mi impedisce di distinguere i proprietari, e allora le ignoro.

Ancora pochi passi, e finalmente l'ho raggiunto. Afferro con la punta delle dita il retro della sua giacca e tiro verso di me, fermando la sua camminata distruttiva, e poi abbracciandolo forte, annullando così il controllo di Corruzione su di lui. Stremato, crolla tra le mie braccia, e io mi accascio a terra, facendolo sedere sulle mie ginocchia, e tenendolo in posizione semi seduta, il capo posato contro il mio petto.

Ansima faticosamente, cercando di prendere fiato, e sento tutti i suoi muscoli pian piano rilassarsi dopo lo sforzo immane, mentre il sangue scorre copioso da innumerevoli ferite, riversandosi sui miei vestiti e le mie mani tremanti.

«Chuuya?...» domando teso, sperando in una risposta, in una conferma che vada tutto bene, nonostante io sappia benissimo che ogni mia speranza sia ormai vana.

Per mia sorpresa, lui solleva debolmente il capo, facendo incontrare i nostri occhi. Ho sempre amato la sua eterocromia, nonostante da ragazzi l'abbia tormentato per ciò, ma i suoi occhi, uno del colore della giada e l'altro del celo limpido, mi hanno sempre affascinato, e mi hanno fatto capire quanto fosse sciocco nascondere il mio occhio destro, anch'esso di colore diverso, una sorta di rosso scuro che mi ha sempre fatto vergognare, a tal punto da coprirlo con una benda prima e con una lente a contatto colorata poi. 

Sento le sue dita sfiorare per un istante la mia guancia, e mi rendo conto di quanto le sue mani siano gelide. Ormai non c'è più niente da fare. Mi rivolge un ultimo bellissimo sorriso, prima di far ricadere il braccio alzato ad accarezzarmi, e perdere la vividità nei suoi occhi, lasciandomi per sempre.

Quando finalmente, i miei colleghi dell'Agenzia ci raggiungono, portando la dottoressa Yosano con loro, Nakahara Chuuya è morto, una scintilla spenta a soli 23 anni.

Qualcuno cerca di portarmi via da lì, ma io non riesco a mollare il cadavere del mio fidanzato, e al tempo stesso la mia mente è estremamente limpida e calma, tanto che non impazzisco, non piango, non imploro Yosano di salvarlo, non urlo di lasciarmi stare, non spiego niente.

Tutto ciò che riesco a vedere, è quel corpo minuto ricoperto di sangue.

Ed è con l'immagine del suo sangue sulle mie mani, che mi sveglio nel bel mezzo della notte, in un bagno di sudore e con una gran sete. 

Mi metto piano a sedere, cercando di far tornare il mio respiro e battito cardiaco a parametri normali, e sbircio il quadrante della sveglia luminosa sul tavolino accanto al mio futon: le 2.33 mostrate sembrano quasi distorcersi alla mia vista, e sposto subito lo sguardo altrove, che ricade sul cappello di Chuuya appeso assieme alla mia giacca sul mio unico appendiabiti. 

Mi districo dalle coperte e cerco di alzarmi, combattendo contro il senso di vertigini, e barcollo al buio fino alla porta chiusa. La apro, e una ventata d'aria fresca prodotta dal condizionatore mi prende in pieno. Per un attimo mi sembra quasi di stare al Polo Nord, ma poi il mio corpo si abitua alla temperatura, e mi decido ad uscire in corridoio e raggiungere a passo deciso la cucina. Accendo la luce traballina e prendo il bicchiere lasciato sul tavolo la sera prima, riempiendolo poi con il getto d'acqua fresca del rubinetto, e mandando giù in pochi sorsi. 

Poso la tazza accanto al lavandino, e torno di nuovo in corridoio, spegnendo la luce della cucina ed accendendo stavolta quella del bagno. Mi guardo allo specchio, e noto di essere in condizioni disastrose. Faccio scorrere l'acqua finché non mi arriva gelida tra le mani a coppa, e mi sciacquo il volto colmo di sudore. Nel farlo, mi rendo conto di non avere più sonno, e decido quindi di vestirmi, prendere il cappello di Chuuya, il mio mazzo di chiavi, ed uscire nel fresco della notte.

Cammino lungo le strade di Yokohama, sorpreso dalla rapidità con la quale la città sta venendo ricostruita dopo i danni subiti dallo scontro con le forze di Fyodor. Ci sono molti edifici diversi, alcuni negozi si sono spostati, altri miracolosamente salvati. Al margine della strada con alcune auto passeggere, si alternano posti nuovi di zecca ed abitazioni abbandonate, il vecchio ed il nuovo, il passato e il presente.

Sembra proprio che l'unico a non riuscire a lasciar andare il passato e ricominciare sia proprio io.

Vago per un po' a caso, finché non mi rendo conto di dove voglio veramente andare. Il cappello di Chuuya calcato sulla mia testa, mi dirigo verso casa sua, una villa a confronto del mio squallido appartamento, ma suppongo che non sia affatto strano, vista l'alta paga della mafia.

La porta è chiusa a chiave, e mi è stato riferito che nessuno ci è entrato dopo la sua morte, ma fortunatamente ero riuscito a convincerlo a farmi fare una copia delle sue chiavi, nell'idea di venire a vivere qui insieme. Entro piano, togliendomi le scarpe.

«Osamu! Perché cazzo sei tornato a casa così tardi?»

Mi volto di scatto, facendo scattare con un rapido gesto l'interruttore e accendendo così una lampada sul soffitto, che va ad illuminare il corridoio silenzioso e vuoto.

Ormai qui non c'è più nessuno.

«Sono a casa Chuuya...» sussurro, entrando in salotto, e per un attimo mi sembra di immaginarlo ancora seduto a mo' di Cleopatra sul divano, un calice di vino in mano, a guardare la televisione o ammirare il tramonto o le stelle in cielo. 

Vado poi in cucina, dove trovo sul tavolo un pezzo di pane mezzo masticato e ormai ammuffito, con un piatto di zuppa fredda e andata a male. Mentre la scolo nel lavandino e lavo il piatto, mi rendo conto che quello dev'essere stato il suo ultimo pasto prima di venire chiamato da Mori per andare a salvarmi, e aver dovuto quindi lasciare tutto così. Apro la finestra per far girare un po' l'aria, e getto il pane tra l'erba del giardino, per formiche e uccellini.

Dopo una rapida occhiata alla rimessa, dove giace la moto rossa lasciatagli dal suo amico, Albatross mi sembra, arrivo finalmente nella camera da letto, che negli ultimi tempi eravamo soliti condividere, quelle volte che venivo a trovarlo.

Accendo la luce, e resto impalato sulla soglia.

Risate e litigi giungono alle mie orecchie, mentre con la memoria vago a quando dormivamo insieme, ai baci della buonanotte, alle dormite l'uno nelle braccia dell'altro, alla nostra prima volta...

Eravamo così felici insieme, e non credo avremo mai potuto immaginare che sarebbe finita così.

O forse sì?

In fondo, io sono pur sempre un maniaco del suicidio, chissà se Chuuya si sia mai chiesto se l'avrei abbandonato, se la morte avrebbe deciso di accogliermi. Di sicuro non sapeva che finalmente avevo trovato la mia ragione per vivere, ma che adesso ne sono di nuovo privo.

Sospiro, e mi butto sul letto occidentale, sprofondando la testa nei cuscini. 

Forse ora mi è tornato un po' il sonno.

Però ho paura di addormentarmi, ho paura di vedere di nuovo la sua figura stremata, i suoi occhi vitrei, il suo sangue sulle mie mani...

Con la coda dell'occhio sbircio il suo comodino perfettamente ordinato, con una semplice lampada da lettura, una sveglia, un biglietto, un... Aspetta, un biglietto?

Balzo rapido a sedere e afferro il pezzetto di carta, sul quale sono scritte poche parole in inchiostro blu fiammante.

"Almeno tu poi sognare. Puoi vedermi, anche se solo nei sogni."

Riconosco la scrittura. È la stessa del "Non piangere" sul retro della foto nei documenti all'Agenzia. Mi sento estremamente confuso. Sono sicuro che sia stato Chuuya a scrivere questo biglietto, dato che parla di sogni e non essendo lui in grado di sognare, ma come avrebbe fatto a scrivere anche quello della foto? E soprattutto, perché avrebbe dovuto farlo?

Pieno di domande e dubbi, mi ributto all'indietro, affondando nei cuscini, e addormentandomi quasi all'istante, la luce ancora accesa.

Love notes~Soukoku~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora