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                                                                                           Jasmine

Torno a casa e trovo i miei fratelli ad aspettarmi, Baba sarà ancora al ristorante. Infatti attaccato al frigo c'è un pezzo di carta con scritto: "Io torno fra mezz'ora, emergenza al ristorante. Sul tavolo c'è la Pastilla da mangiare, è già riscaldata.". Mangio velocemente ascoltando Farah (la mia sorellina) che parla della sua giornata a scuola. –Mi hanno riportato il compito di matematica, ho preso dieci. La maestra ha detto che l'anno prossimo alle medie sarò bravissima!-. Le dico che è stata fantastica, ma ho la mente altrove. Appena finiamo di mangiare sparecchio e mi chiudo in camera. Chiamo Nadia, la mia migliore amica.

-Ciao Nad, ho bisogno di un favore.-

-Che c'è? Fai in fretta che sono in game con Fede.- lei adora i videogiochi e quando può giocare con suo fratello più grande non le sembra vero.

-Mi vedo con Pietro e ho bisogno che mio padre pensi che stia da te.-

-Non dire altro. Avverto mia mamma e non ci sono problemi. Più che altro parlami di questo Pietro, è lo stesso della partita, vero?-

-Sì è lui, ma siamo solo amici.-

-Fidati, non sai quanti "solo amici" ho visto diventare molto di più. Ciao Jess.- è il soprannome che mi ha affibbiato in prima media.

-Ciao Nad.- e chiudo la chiamata.

Ce l'ho fatta, ho trovato la scusa per andare da Pietro e appena in tempo. Sento la porta che sbatte, papà è appena rientrato. Vado in cucina, guardo l'orologio: sono le tre, è meglio se inizio ad andare. –Baba, io esco.- afferro lo zaino, sento la mano di mio padre che mi afferra il polso e lo stringe: -Dove vai?-. 

Mi ritraggo e gli dico: -Vado per un paio d'ore da Nadia.-. Lui mi squadra da capo a piedi: -Va bene, ma torna presto che oggi torna tua madre.- mi tira uno schiaffo sul braccio –E questo è per ricordarti di non fare stupidaggini.-. Annuisco ed esco.

Scendo le scale del nostro condominio, è piuttosto vecchio e decadente, ma è qui che sono cresciuta perciò ci sono affezionata. Prendo la bici e mi dirigo verso la gelateria. Lego la bici poco lontano e mi incammino. È arrivato prima di me, lo vedo davanti all'ingresso e lo raggiungo.

La luce chiara del pomeriggio gli rischiara i capelli dorati e fa brillare i suoi occhi di ghiaccio. Appena mi vede mi viene incontro e mi saluta, entriamo dentro in silenzio. Prendiamo due gelati piccoli e quando provo a dare i soldi al cassiere, Pietro mi ferma: -Offro io.-. 

Sta prendendo molto sul serio questa cosa del farsi perdonare. Io prendo cioccolato fondente con panna e lui pistacchio. Scelta curiosa. Ci sediamo ad un tavolino vicino alla finestra e mi guarda dritto negli occhi. Assaggio un po' di gelato e il mio volto si scioglie in un sorriso per la bontà del cioccolato. 

Lui ride divertito dalla mia reazione, poi dice: -Scusa tanto per come mi sono comportato ieri. Mi dispiace tanto.- rimango in silenzio. Vedendo che non ho nulla da dire prosegue: -Ero stanco e mi vergognavo a dirti il perché. Così alla fine me ne sono uscito con la scusa della partita di basket. La verità è che avevo paura di dirti che sono stato tutta la notte a leggere.-. 

Faccio una faccia interrogativa: -E cosa c'è da vergognarsene?-. 

–Avevo paura che avresti iniziato a reputarmi noioso e non mi avresti più voluto avere come amico, ma ora so che non è così.-. Annuisco e finisco di mangiare il gelato, devo ammettere di esserci rimasta un po' male per il fatto che mi abbia definito "un'amica". 

–Però promettimi che d'ora in poi ci diremo sempre la verità.- lui accetta. Quando faccio per alzarmi lui mi viene vicino, non avevo notato quanto fosse più alto di me, e mi abbraccia. Profuma di vaniglia, è buono, i suoi muscoli si tendono e si rilassano sotto i miei palmi. Alla fine siamo costretti a scioglierci da quell'abbraccio e il suo sguardo cade sul mio polso.

-Cosa ti è successo?- chiede indicando i numerosi segni rossi e i lividi sulla pelle. –Niente- rispondo. –Sei sicura? Perché a me sembra che tu non lo sia e solo pochi minuti fa ci siamo raccomandati di dirci sempre la verità.-. 

Mi volto e dico: -Me li sono fatti ad atletica, niente di che.-. 

Il suo sguardo indagatore mi percorre tutto il corpo e alla fine mi chiede: -E come?-. Provo ad inventare una scusa ma non mi viene in mente nulla. –Lo sapevo, mi nascondi qualcosa.-. 

Aspetta che io racconti tutto. Alla fine le parole escono da sole: -Da quando ero piccola mio padre mi fa del male, una volta per i vestiti, una volta per il mio comportamento, ogni motivo è buono per mettermi le mani addosso. Il vero problema è che io mi ripeto che lui ha ragione, che il problema in realtà sono io. A volte faccio in modo che lui non tocchi mia sorella, facendolo scagliare sempre su di me. Certo, questi segni, i colpi e le cicatrici, fanno male, ma almeno so che se si sfoga su di me non farà male a nessun altro.-. 

Io smetto di parlare e lui mi guarda negli occhi, è l'unica persona a sapere questo oltre a me, i miei fratelli e mio padre. Sento i suoi occhi che mi perforano e abbasso lo sguardo. Mi abbraccia di nuovo, stavolta con più delicatezza, come se avesse paura di vedermi sgretolarsi davanti ai suoi occhi. 

Mi sussurra all'orecchio: -MI dispiace.-. Quando mi lascia io gli dico: -Fa niente. Pensiamo alle cose belle: ti andrebbe di venire alla mia gara di atletica domani?-. Lui mi fa cenno di sì con la testa e a me sembra di toccare il cielo con un dito. Purtroppo ha ancora uno sguardo triste.

Ci lasciamo con la promessa di rivederci il giorno dopo alla mia gara. Torno velocemente a casa in bicicletta, faccio abbastanza in fretta da non far insospettire mio padre. Entro in camera, sistemo i vestiti e la tuta di atletica per domani, non appena sento il campanello suonare e vado subito in sala con i miei fratelli ad aspettare mia madre. 

La porta si apre e ci accalchiamo tutti e otto davanti a lei abbracciandola. Mia madre Fatima è stupenda, ha ancora i vestiti bianchi da hostess che le mettono in risalto il colore scuro della pelle. Ha gli occhi verde scuro, con qualche punta di dorato che li illumina di una luce eterea. I capelli neri, solitamente ricci, sono perfettamente lisci e tagliati di fresco in un caschetto che le valorizza i tratti spigolosi del volto e gli zigomi alti.

Appoggia la valigia in un angolo e si sciacqua le mani, viene a sedersi a tavola di fianco a me. Mangiamo con le sue storie in sottofondo. Non la vedevamo da tre settimane e lei in tutto questo tempo è stata in più di quindici città in tutto il mondo. Una volta finita la cena andiamo a letto con la scusa di dover lasciare nostra madre riposare. 

Mia mamma mi raggiunge subito e chiude dietro di sé la porta. –Eccomi sono arrivata, ora puoi raccontarmi tutto.-. Si siede sul mio letto ed io mi appoggio a terra, è una nostra tradizione quella di farmi le treccine ogni volta che viene. 

–Allora, parto con il botto: ho conosciuto un ragazzo!- le sussurro, non vorrei che mio padre ci sentisse. 

–Davvero?!- inizia a farmi le trecce. –Si chiama Pietro, è biondo, ha gli occhi azzurri come il ghiaccio. È gentile, simpatico e soprattutto siamo amici.- continuiamo a parlare a lungo, almeno fino a quando non finisce di farmi le treccine. 

Guardo allo specchio il risultato, la testa è cosparsa di tante piccole e perfette treccine che mi arrivano fino alla vita. –Sei bellissima.- mi dice. Io preferisco i capelli lasciati al naturale anche se così mi piacciono davvero. 

Abbraccio forte mia mamma, vorrei dirle tutto delle cicatrici, dei colpi, della pressione che sento ogni secondo gravarmi sulle spalle, ma so che peggiorerei solamente la situazione. Rimarrebbe qui e non seguirebbe più i suoi sogni e questo mi lascerebbe per tutta la vita il rimorso di essere stata un peso per lei. Ci lasciamo ed andiamo entrambe a dormire.   

Sempre e solo noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora