Lavinia

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Gli sguardi curiosi si mischiavano via via con le parole misteriose che lo stregone appendeva in un pentagramma astratto, suonandole come note che presagivano soltanto una sorta di suspense interminabile.
“Voglio raccontare di un evento passato con Zeke durante i nostri anni di liceo, come ieri. Ho tralasciato qualche dettaglio.” Esordì, dopo aver colto il cenno di ascolto dalle facce dei suoi amici.
“Di che parli?” Chiese subito l’interesse, anche Zeke era confuso come gli altri.
“Noi due abbiamo passato insieme dei momenti felici, forse tanti di più di quelli tristi. Ma c’è un giorno che io non potrei mai dimenticare, perché mi hai parlato così sinceramente e così spontaneamente, che è come se ciò che hai detto mi si fosse scolpito all’interno del mio registro mentale.” Fece comprendere al suo amico che si stava riferendo al giorno in cui Ezequiel Moore confessò ad Alexander Sallow di non avere la capacità di possedere poteri.
“E perché lo racconti agli altri?” Domandò con una leggera impulsività.
“Per due motivi molto semplici e banali. Qui dentro, tutti capirebbero come ti senti, lo hanno già fatto ieri. In secondo luogo, so che il posto che volevi visitare sin da bambino esiste.” Concluse, dettando una risposta chiara e concisa. Con un cenno di approvazione, abbassando lo sguardo più chiaramente, Zeke permise allo stregone di fargli da interprete, poiché lui provava una forte vergogna nel confessare i suoi punti deboli.
“Partiamo dal presupposto che Zeke non ha un potere, o meglio lo possiede.” Gli occhi dei suoi compagni erano rivolti verso l’erborista, forse perplessi ma giudicanti a parer di Ezequiel, che detestava assai essere sotto i riflettori, per questo evitava di parlare di sé.
“Il problema è che il suo potere è un malus. Tagliando corto, il potere di Zeke-” La frase di Zephyr venne interrotta da Ryota, che aveva capito tutto con scaltrezza.
“Che non può avere poteri.” Concluse la frase dello stregone, e l’attenzione si spostò verso di lui. Di questo piccolo dettaglio, Zeke è tuttora grato nei confronti del ragazzo.
“Come lo hai capito?” Chiese Alexander, convinto che solo lui sapesse.
“Abbiamo visto Zeke diventare quasi una pianta, se potesse ricevere un potere, proprio adesso, saprebbe manipolare la flora circostante. Quindi ho solo presupposto che avesse un potere che non gli permette di avere poteri, un paradosso insomma.” Con la sua parlantina saccente, Ryota spiegò agli altri come ci era arrivato, sconvolgendo i piani di Alexander.
“Ma quello che non so è il posto che Zeke vuole visitare.” Terminò.
“Perù.” Poi disse l’erborista, catturando l’attenzione di Lavinia.
La Ninfa ripeté sottovoce la parola detta dall’erborista, come se stesse ricordando qualcosa di sé.
“Sì, perché?” Le domandò lo stesso Zeke.
“Ho un vago ricordo di quel posto.” Ammise. Alexander inclinò la testa in avanti e le sue labbra sembravano muoversi da sole, come se la curiosità fuoriuscisse dal corpo con un semplice “Cosa?”
“Io non sono sempre stata così, composta di acqua intendo. Io sono solo la coscienza di un’altra persona fusa in un elemento naturale.” Le espressioni dei presenti al tavolo erano interessate e al contempo spaventate dalla storia della Ninfa, si misero tutti in posizione di ascolto, persino Makisae desiderava conoscere la verità su Lavinia.
“Voi mi conoscete come Lavinia, che è il mio vero nome, ma condivido la memoria con un’altra coscienza. Questa fa parte di un mondo totalmente diverso da quello che voi percepite, riguarda una storia molto più che religiosa. Però, prima di arrivarci, racconterò la mia.” Premise la Ninfa prima di cominciare.
Notando le facce sempre più interessate e silenziose, Lavinia decise di aprirsi dopo millenni a qualcuno.
“Quando era piccola, i miei genitori mi portarono in spiaggia. Un piccolo scorcio in Grecia, dove l’acqua era ancora pulita e l’aria ancor di più. Ricordo la sensazione della sabbia, sottile e pura, e ricordo il primo sfiorare dell’acqua sulla pelle. Avevo solo quattro anni, la mia immaginazione mi portava a pensare che ci fu qualcuno a controllare le onde e io sfidavo quel qualcuno. Finché a prendere il controllo sulle onde del mare ero proprio, i miei genitori si resero conto che ero una bimba speciale più che vivace, perché riuscivo a condurre l’acqua salata del mare a seconda dei miei movimenti. Generai un mulinello senza che me ne accorgessi e lì i danni si fecero più gravi, tutto veniva risucchiato all’interno di esso, a causa della fortissima corrente che avevo provocato. E lo stato d’animo non aiutava a placare. Chi è stato a calmare il mare? Poseidone in persona. Mi portò con sé al Monte Olimpo, dove mi imprigionò in un corpo d’acqua, dandomi una coscienza angelica per farmi sopravvivere. Da allora, da quando sono in queste condizioni, il mio compito è quello di proteggere il fiordo dalla profezia, ma ogni tanto vorrei tornare Lavinia o la persona appartenente alla coscienza.” Spiegava, gesticolando il meno possibile, ma con una percezione ben chiara della sua vita passata. Difficilmente Lavinia stava mentendo, in quel momento era la bocca della verità.
“E ricordando il Perù pensi che ci sia qualcosa che ti appartenga?” Chiese Ryota.
“Sì.” Rispose la Ninfa, sistemando i suoi capelli lungo le spalle.

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