CAPITOLO 2

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Le stelle illuminavano il cammino

Questa notte, si sarebbe tenuta la festa annuale a palazzo.
Mia madre, la regina Sheldown era diventata la "diva" delle feste nell'assenza di mio padre e si proponeva ogni anno per organizzarla. Tutti le erano grati..... tranne io.
Mi fece cenno quando il quartetto iniziò a suonare e fui costretta a scendere le lunghe scalinate, seguita dai miei tre fratelli gemelli: William, Gord e Peter. (Potrei stilare una lunga pagina sul loro conto, ma non credo ne sentiremo più parlare).
Mia madre ha sempre voluto educarci affinché diventassimo dei veri e propri soldatini. I miei fratelli abboccarono all'amo, io no. Sono sempre stata la più ribelle e non ho alcun rimpianto; specialmente se mi voltassi a guardare in questo istante i miei fratelli, mi sorbirei i loro volti vuoti perché senza la regina sembrano degli uccellini alla ricerca di un nido.
L'allestimento era l'unico elemento invece, che non cambiava mai (Dico invece perché mia madre non trova pace e si presentava con un uomo nuovo il giorno prima e quello dopo ancora): Le braccia delle scalinate erano addobbate da piccoli fiocchi di neve che ricadevano; Le mura sono sempre del loro colore giallastro che pitturavano la stanza da quando ne ho memoria. Le finestre ai lati, davano vista sul grande giardino verde contornato da alberi con foglie ricoperte di neve. Da lontano, si scorgevano il resto degli abitanti. La parte che mi ha sempre affascinata però, era la cupola di vetro che prendeva posto sul soffitto, ideata da mio padre.
Nella notte di Natale tutta la famiglia si riuniva nella sala più e guardavamo in direzione della cupola per ammirare il cielo notturno, nell'attesa dell'arrivo di una stella cometa.
Si narrava, che chi avesse visto per primo la stella, avrebbe avuto un futuro brillate e una strada spianata d'innanzi a sé.
Dopo il giorno di Natale, quell'ala del palazzo era vietata, ma non c'era mai stato tempo in cui non mi allontanassi da Miss Margharet mentre giocavamo a nascondino. Rifugiandomi qui, a guardare le stelle che illuminavano il cammino.
Sapevo che quel posto avrebbe avuto sempre tempo per me.

Odiavo le feste. Tutti che mostravano il loro abito migliore pur di non far dire nulla sul loro conto dalla società.
Si presentavano per soddisfare gli interessi. Solo per quello.
Mi nascosi dietro una colonna. Non riuscivo più a sopportare la quantità di stoffe che avvolgevano il mio corpo e non sapevo più come sistemarlo per non farmi pungere da tutti quei merletti ricamati(erano bellissimi,non c'era nulla da aggiungere) che sembravano tante piccole formichine
Mi stirai l'abito di nuovo facendolo riposizionare lungo le mie forme. Attorno al polso dondolava il carnet ancora vuoto.
«Mi perdoni» mi girai nell'udire quella voce. Ma forse era meglio se non l'avessi fatto.
Un gentiluomo che si stava pulendo con la mano una quantità di sostanza gelatinosa che fuoriusciva dal naso, era davanti alla mia persona.
Feci un finto sorriso prendendo la stola tra le mani allontanandomi il più velocemente possibile.
Forse era per questo che il carnet era vuoto?
Possibile.
Più i miei piedi camminavano e più non sapevo dove ero finita.
Il mio sguardo era distratto fin quando non mi scontrai contro qualcosa.
Alzai il mento e mi resi conto che non era qualcosa, bensí, qualcuno.
Il quartetto riprese a suonare e fui scostata da alcune coppie che presero posto al centro della sala Mi ritrovai ben resto a far narte di loro seppur non avessi un accompagnatore e il carnet vuoto stropicciato.
I miei occhi si fermarono a guardare quella nuova persona.
Un «Posso?» usci dalle sue labbra. Non risposi ma prese lo stesso il carnet fra le mani scrivendo il suo nome.
Indossava una maschera da travestimento, nera. Fuoriuscivano solo i suoi occhi dello stesso ed identico colore.
Avevo freddo. Eppure le finestre erano chiuse.
Indossava un completo elegantissimo di un color marrone terra con le maniche leggermente a sbuffo che mi provocarono una risatina leggera.
Il suo sguardo ritornò su di me e chiusi le labbra. La risata cessò, finendo con lo strozzarmi per la saliva.
Mi porse una mano inginocchiandosi leggermente come il resto dei galantuomini che avevo visto fare.

Perché ero così goffa in queste circostanze...
La afferrai incerta sul da farsi e arrivammo sulla pista da ballo.
Sentivo tutti gli occhi su di me, specialmente quelli di mia madre alquanto stupita.
Come biasimarla
Perché mai avevo acconsentito a fare una cosa del genere?
Poi mi guardai davanti e capi.
Non parlammo per tutta la danza notai che era molto dotato, di sicuro più di me.
Probabilmente aveva ballato così tante danze che un confronto non poteva esserci
Ammirai il suo sguardo sicuro durante le prese e rimasi impietrita quando mi resi conto che la sua mano era ben legata. Questo gesto mi fece rabbrividire.
Eppure le finestre erano ancora chiuse.
Mi stava forse venendo un malore?
Quando il quartetto terminò di suonare, facemmo un inchino leggero.
Mi abbassai portandomi la veste con me, facendo scivolare la gamba destra.
Quando mi rialzai però, ero sola.
Il galantuomo dagli occhi neri era sparito.

SHELDOWN MIMÍ -l'ultima erede Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora