L'incontro

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Ethan pov

"Ethan Bennet!"

il grido colmo di rabbia della professoressa di letteratura mi fece sussultare, così alzai di colpo la testa dal banco.

"Non hai seguito praticamente nulla di ciò che ho spiegato, evidentemente non hai dormito bene questa notte."

Era vero avevo la testa altrove, ma non gliel'avrei data vinta.

"Si che stavo seguendo, professoressa." mi rivolsi a lei con un'espressione risoluta.

"Ah, allora sono certa che saprai dirmi chi è l'autore del romanzo intitolato "1984" di cui abbiamo parlato poco fa, mentre eri impegnato a dormire."

Cercò di mettermi alla prova con attitudine provocatoria. Pessima scelta.

"George Orwell." le risposi immediatamente. Non avevo seguito, ma avevo letto quel romanzo circa due volte.

Un lampo di sorpresa attraversò il volto della professoressa che sbarrò gli occhi, non cessando quello sguardo di sfida.

"Devo dire che è un ottimo romanzo. Parla di un futuro dove il governo controlla tutto e tutti. Il protagonista, Winston, lavora a modificare i documenti storici per il governo, ma inizia a ribellarsi contro il regime. Alla fine, viene catturato e torturato fino a sottomettersi completamente."

Inclinai leggermente la schiena sulla sedia in modo tale che i piedi la sollevassero dal pavimento, mentre con le dita giocherellavo con una matita facendola girare con disinvoltura.

"Le può bastare?" dissi con una postura rilassata e un sorriso soddisfatto sul volto.

"Si, può bastare. Mettiti composto e non azzardarti più a farti trovare a dormire, o dovrò chiamare il signor Bennet."

"Buona fortuna, non risponde neanche a me a tratti."
dissi incrociando le braccia sul petto.

La professoressa ignorò completamente la mia affermazione e riprese a spiegare.

Nel frattempo Maxwell nel banco affianco al mio, mi guardava in modo compiaciuto. A volte sentivo come se mi ammirasse, ma non aveva nulla da ammirare. Lui aveva dei genitori che lo amavano e che avrebbero fatto di tutto per lui, gli bastava questo per constatare che la sua vita fosse meglio della mia. Tuttavia, ricambiai il sorriso.

Quando tornai a casa subito mi fiondai sul frigo, facendo quasi a botte con Emma per chi avrebbe preso l'ultima fetta di pizza rimasta dagli avanzi del giorno prima.

"Lascia che la mangi tua sorella. Sei il più grande, sii più maturo per una volta."

La voce di mio padre proveniente dal salotto mi fece contrarre gli occhi in una smorfia di fastidio. Non mi aveva neanche salutato.

Alzai gli occhi al cielo visibilmente irritato, lasciai la pizza ad Emma e mangiai un panino.

"Papà non mangi con noi?" domandò mia sorella mentre addentava la pizza.

"No tesoro non posso, tra poco devo uscire."

Un'espressione di amarezza si manifestò sul viso di mia sorella al suono di quelle parole.

Ma era possibile che dovesse sempre fare qualcosa altrove? Tra l'altro non ci diceva mai cosa faceva.

"Che devi fare a quest'ora?" chiesi diffidente.

"Cose di lavoro. Faccio un salto in azienda." disse sistemandosi la giacca allo specchio.

Mio padre era il direttore di una rinomata azienda di sicurezza, specializzato in sistemi di sorveglianza e tecnologie avanzate, o una cosa del genere. Essendo il direttore lui aveva la flessibilità di gestire lui i suoi orari, quindi non vedevo il motivo per il quale avesse sempre questo bisogno di scappare, nessuno glielo imponeva.

Don't hurt me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora