4. JANICE.

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«Ahhh». Il gessetto appuntito che stringo tra le dita si spezza sulla carta quando per l'ennesima volta i lineamenti della figura che ho in mente non vengono perfetti come vorrei.

Strappo il foglio e lo butto alle mie spalle assieme a quelli abbandonati da ore in una pila sul pavimento. Sono al foglio numero sette di un pomeriggio trascorso sull'alcova sotto la finestra del mio nuovo appartamento.

Okay, non appartamento. La definizione giusta sarebbe: 'casa minuscola con bagno minuscolo'; divano letto e cucina in un unico ambiente.

Quando due settimane fa l'agente immobiliare mi ha mostrato il locale e gli interni già arredati ho accettato subito. Il motivo? Il piccolo spazio dove ho preso la residenza tre pomeriggi fa con finestra panoramica annessa e morbidi cuscini perlati. Il posto perfetto come angolo per disegnare o per ascoltare musica.

O per contemplare il ricordo degli occhi tormentati di un uomo che mi perseguita da più di due settimane.

No, Janice. Non andare lì.

Ad ogni modo, non posso lamentarmi troppo. Seicento dollari spese escluse. Avete visto il prezzo degli affitti a Chicago? Per me è no. E comunque è una situazione temporanea; non rimarrò per sempre in questa città.

E con il fatto che domani devo presentarmi al "United Center" per il mio primo giorno non mi ha dato molto margine di scelta. Era questo o un palazzo al sesto piano senza ascensore. No, grazie.

Sì, sono così pigra.

Tamburello le dita sul blocchetto sulle ginocchia in attesa che i miei neuroni si connettano e che questo maledetto "blocco dell'artista" mi abbandoni.

Tale blocco che mi perseguita da ben due mesi. Grazie al cielo non ha compromesso la qualità del mio lavoro. Locandine, loghi, pubblicità, grafiche, template. Tutto fila liscio come l'olio.

Ma quando si tratta di disegnare qualcosa per me? Quando ho bisogno di sfogare i miei pensieri su carta e liberare la mente? Niente. Nisba. Il nulla cosmico. E di certo la mia recente fissazione per il volto di Hayden, impresso saldamente nella mia mente, non aiuta.
Per niente.

Ho pensato varie volte -okay sperato- di rincontrarlo alle sedute, ma quella è stata la sola e unica volta che l'ho visto. Dopo il terzo incontro ho smesso di sperarci. E va bene così. Ci manca solo un uomo a complicare le cose. Niente distrazioni. Non sono qui per questo.

«Okay. Pausa». Frustrata, abbandonando i miei strumenti sui cuscini, mi dirigo verso il divano -letto- e recupero il telefono dal tavolino in legno che mi fa da comodino.

Apro la chat e digito un messaggio.

  IO: Domani primo giorno.

Augurami buona fortuna, sorellina.

JILL 🌸: Non ne hai bisogno, Jan. Ti voglio bene xx.

Albert dice, "buona fortuna, cognata" .  

NON iniziate, per favore.

IO: Io? È il tuo ragazzo che provoca.

JILL 🌸: Marito, vorrai dire.

IO: Illuso. Ancora non vi siete sposati.

Non cantare vittoria troppo presto.

JILL: 🌸 L'unica illusa qua sei tu, cognatina. Jill è mia.

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