11. HAYDEN.

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Janice.

Che è avvolta in un altro maglione a collo alto, crema questa volta, e un paio di pantaloni di pelle nera che mi fanno aumentare il battito cardiaco solo a guardarli.

«Che succede qua?», dico perché ancora non si sono accorte della mia presenza. E ho il sospetto che se non avessi parlato sarebbero ancora dentro la loro bolla felice.

«Ehi», replica lei, con un sorriso dolce. «Stavamo giocando alle principesse con questa meraviglia. Vero, piccola?», aggiunge posandole l'indice sul naso. Le risatine di Sophie che seguono mi scaldano il petto.

E io?

Beh, resto imbambolato per l'intera visione.

Ma siccome la mia bocca non si connette con il cervello prima di parlare, in risposta blatero una frase da vero stronzo.

«E perché sei da sola con mia nipote? Dov'è Hannah?».

Ho già detto che sono un coglione, vero?

E dall'espressione quasi ferita apparsa sul viso di Janice penso sia palese. Espressione che per fortuna dura poco perché la mia dea bionda sorride di nuovo e si solleva dal pavimento.

Tira con se Sophie, facendola avanzare verso la porta -dove sto io, tenendola per le manine.

Mi chino per prenderla in braccio e me la metto su un fianco. Le do un bacio sulla guancia per salutarla. «Ehi, piccolina».

La stringo forte a me perché a quanto pare non posso stare lontano dalla piccola per troppo tempo.

«Hannah doveva risolvere alcune cose in amministrazione e io passavo di qui. Voleva venire a cercarti, ma le ho detto che ero disponibile per qualche minuto. Giuro, sono qui da nemmeno dieci minuti», spiega, Janice, quando vede che ruoto la testa verso di lei.

L'ascolto senza interromperla.

«Stavamo solo giocando, niente di che», conclude poi, incrociando le braccia al petto.

Si morde il labbro, piano, come se fosse improvvisamente nervosa per la vicinanza dei nostri corpi. Ne seguo il movimento perché credetemi, lo sono anche io.

Ma ripeto, il mio cervello non si connette alla bocca prima di rispondere.

Forse sono ancora frustrato per la prima parte dell'allenamento per quello che dico.

«Okay...? E perché hai pensato che fosse una buona idea non venire a chiamarmi? Ero proprio qui in fondo al tunnel», sbotto.

Mi mordo la lingua prima di aggiungere altro. In risposta, come se non avessi detto niente di che, Janice respinge il tutto con un gesto della mano.

«Non è stato un grosso problema, Hayden. Non c'è bisogno di mettersi sulla difensiva. A volte accettare l'aiuto degli altri ci da un po' di spazio per respirare»

«E come sai che ho bisogno di aiuto?»

«Perché so riconoscere quando qualcuno sta affogando e ha bisogno di aria», replica semplicemente, e i suoi occhi profondi fermi sui miei mi dicono che è sincera.

A quella frase mi blocco e ne approfitto per osservare Sophie.

Le due code da cavallo, una per lato, che le ho fatto prima di venire al Center -grazie YouTube- sono ancora intatte.

Faccia, mani, gambe. Intatti. Tiro un sospiro di sollievo perché è tutto okay.

Sophie sta bene.

E io sono un coglione perché ho reagito di petto senza pensare e ho esagerato. Mi scrollo nelle spalle e mi schiarisco la gola prima di tornare su Janice.

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