Capitolo 5

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Quella mattina Daniele si alzò controvoglia, stremato dalla notte insonne. Non era riuscito a chiudere occhio, tormentato dai pensieri sul discorso che aveva avuto con Giulio il giorno precedente, senza riuscire a trovare una soluzione. Si lavò, si preparò in fretta e andò a scuola. I suoi genitori erano già usciti da un pezzo.

Il tragitto verso scuola fu insolito: l'autobus, che di solito arrivava in ritardo, si presentò qualche minuto in anticipo. Daniele salì e trovò un posto in fondo, accanto ad altri ragazzi che frequentavano la sua stessa scuola. Si infilò gli auricolari, cercando di liberare la mente dai pensieri che lo tormentavano. Le note di una canzone riempirono il silenzio: "Anche poi quando saremo stanchi, troveremo il modo per...".

Quando l'autobus arrivò alla sua fermata, Daniele si alzò meccanicamente, come se seguisse un copione ormai impresso nella sua memoria. Ogni giorno, da tre anni, ripeteva lo stesso percorso, due volte al giorno. Sia all'andata che al ritorno. Salì le scale della scuola con un senso di pesantezza, e quel giovedì sembrava ancora più lungo e faticoso del solito. Odiava i giovedì.

"Daniè," sussurrò Gabriele, richiamando la sua attenzione. Daniele si voltò verso di lui cercando di non farsi notare dalla professoressa di diritto, che stava spiegando un nuovo argomento probabilmente qualcosa sul governo, ma nessuno stava realmente ascoltando. "È uscita la formazione," disse Gabriele sottovoce.

La matita scivolò dalle mani di Daniele, cadendo sul banco. Il quaderno davanti a lui era per lo più vuoto, solo qualche appunto preso senza convinzione. Il cuore di Daniele saltò un battito. E se non fosse stato selezionato? E se il coach non l'avesse scelto? Avrebbe dovuto rimanere in quel tugurio di città per sempre?

"Mi dispiace, Daniè..." mormorò Gabriele. Daniele si girò di scatto, gli strappò il cellulare di mano e si alzò in piedi bruscamente. "Che cazzo stai dicendo?" esclamò, mentre lo schermo mostrava il messaggio del coach. Le sue mani tremavano mentre scorreva i nomi, uno dopo l'altro, senza trovare il proprio.

Poi finalmente lo vide: "Daniele, alzatore."

"Porca miseria ladra!" urlò, incapace di contenere la gioia. Tutta la classe si girò verso di lui, mentre la professoressa smise di spiegare, fissandolo con un misto di sorpresa e disapprovazione.

"Daniele! Vai fuori!" ordinò la professoressa, riportandolo alla realtà. Daniele scambiò un'occhiata fulminante con Gabriele, ma il sorriso non gli si tolse dalla faccia. Uscì dall'aula con un entusiasmo travolgente.

Passò l'ora successiva camminando su e giù per il corridoio, guardando distrattamente la punta dei suoi piedi e salutando i ragazzi che passavano per andare in bagno. Daniele era al settimo cielo.

Quando finalmente riuscì a trovare Giulio, lo trovò in infermeria, impegnato a scarabocchiare qualcosa sul quaderno, proprio come il giorno prima. "Giulio! Giocherò sabato! Tuo padre mi ha scelto!" esclamò Daniele, correndo verso di lui.

"Ma è fantastico, Dani! Davvero pensavi di non farcela?" chiese il ragazzo, chiudendo il quaderno e girandosi verso di lui, ma fu subito travolto dall'abbraccio entusiasta di Daniele. Giulio rimase immobile, le braccia lungo i fianchi, sorpreso dalla spontaneità dell'altro.

Daniele si ritrasse rapidamente. "Oh, scusa, non volevo darti fastidio. La prossima volta te lo chiederò prima, promesso. Devo andare!" E con queste parole, sparì dietro la porta tornando dalla sua squadra.

La prossima volta? Ci sarebbe stata una prossima volta? Giulio non ebbe neanche il tempo di pensarci, quando il cellulare vibrò per l'ennesima volta. "Ma che fine hai fatto?" aveva scritto un suo amico, inviando almeno una ventina di messaggi. "Sto arrivando," rispose Giulio, chiudendo lo zaino. Senza pensarci troppo, salì sulla panchina e aprì la finestra. Si diede uno slancio e scavalcò attraverso la finestra. Aveva due ore e mezza per tornare indietro. Giulio non era sicuro di farcela, ma avrebbe fatto di tutto.

Daniele finì l'allenamento e, come al solito, si mise ad aspettare Giulio dietro la palestra. Ma io ragazzo non si fece vivo, né nei primi dieci minuti né nella mezz'ora successiva. Daniele ne rimase profondamente deluso.

Chi cazzo era Giulio Furlani? La domanda gli ronzava in testa da giorni. Sapeva che era il figlio del coach Furlani, ma non c'era traccia di lui su nessun social. Prese il cellulare e scrisse velocemente nel gruppo dei "Fantastici Tre": "Ragazzi, sapete se il coach ha un figlio?" inviò il messaggio senza pensarci troppo.

"Certo, solo che non ricordo il suo nome. Dovrebbe avere la nostra età, più o meno," rispose uno degli amici. Daniele cercò di mettersi l'anima in pace, ma qualcosa non quadrava.

Il venerdì, Giulio non si fece vivo di nuovo. Ormai il sabato era dietro l'angolo, e i suoi genitori gli avevano già detto che non sarebbero potuti venire a vedere la partita, come al solito d'altronde. Daniele si chiese se Giulio... Scacciò quel pensiero dalla testa. Il ragazzo non si sarebbe presentato, come d'altronde? Non sapeva mica dove facevano l'incontro.

Potevano definirsi amici? In fondo, non si conoscevano davvero. Non si parlavano al di fuori di qualche frase scambiata al palazzetto. Poteva essere considerata un'amicizia? E cos'è la vera amicizia, poi? Daniele non sapeva neanche il suo numero di cellulare, quanti anni avesse, chi fossero i suoi amici, per lui era una vera e propria incognita...

Le cuffiette di Daniele martellavano nella sua testa da tutta la mattina. Era completamente disconnesso dal mondo. Salì sull'autobus quella mattina senza nemmeno controllare la destinazione. Il mezzo lo portava verso una palestra fuori città, un centro privato. L'amichevole si sarebbe svolta lì, non nella loro palestra sgangherata, senza magliette, senza sponsor... senza niente. Sull'autobus trovò Gabriele e Giò, entrambi selezionati per la partita. Giò, però, solo come riserva. Lucio aveva preso il suo posto.

"Oh, Daniè, che hai?" chiese Giò, mentre l'altro prese posto sul sedile accanto al suo.

"Sto bene, sono solo un po' stanco," rispose Daniele, cercando di dissimulare. Le cuffiette continuavano a sparare musica nelle sue orecchie, una canzone dopo l'altra. Arrivarono dopo mezz'ora di fermate. La palestra era enorme, un vero e proprio palazzetto, proprio come ci si immagina nei sogni. Daniele rimase sconcertato. Era questo che i soldi potevano comprare? La felicità a tutti gli effetti?

"Andiamo ragazzi, il coach ci aspetta dentro," disse Gabriele, mentre avanzava verso l'ingresso dell'edificio. La squadra avversaria si stava già allenando. Un gruppo correva, l'altro si esercitava a saltare e a lanciare la palla. Tra poco sarebbe toccato a loro. "Ragazzi, ma è fantascienza," commentò Dario, con la sua borsa a tracolla, mentre osservava l'ampio spiazzale. La loro squadra, nata quasi per gioco, stava per affrontare qualcosa di molto più grande di loro. Qualcosa di enorme. Daniele non sapeva ancora che quella sarebbe stata la sua prova di inizio, il suo primo vero scontro con un mondo diverso.

"Capitano!" urlò il coach Furlani verso Daniele. Il ragazzo sgranò gli occhi. Capitano? Lui? Cosa? I compagni di squadra lo incitarono ad andare incontro al coach.

Daniele gli corse incontro, un sorriso incredulo sul volto. "Capitano!" gridò anche l'allenatore della squadra avversaria, rivolgendosi a uno dei suoi giocatori. Daniele si girò verso i suoi compagni, che stavano iniziando a riscaldarsi, pieni di entusiasmo. Quando si voltò di nuovo, il coach della squadra avversaria gli si avvicinò. "Daniele il tuo allenatore mi ha detto grandi cose su di te, permettimi di presentarti Andrea Romino," disse il coach dell'altra squadra.

"Piacere, Daniele. Io sono Andrea," rispose il ragazzo, che sembrava a suo agio, sicuro di sé. Daniele si girò a guardarlo, e in un attimo tutto diventò chiaro. Andrea, o per meglio dire Giulio, non era il figlio del coach, non era lì per imparare a giocare. Era lì per spiarli, per studiare Daniele e la sua squadra. Ecco perché spariva, ecco perché non c'erano informazioni su di lui online. Tutto era stato orchestrato alla perfezione per ingannarlo, per prenderlo in giro, in tutto e per tutto.

Il mondo crollò intorno a Daniele, ma non lo diede a vedere. Stringendo la mano ad Andrea, sentì il fuoco dell'odio bruciargli dentro. "Il piacere è tutto mio, Andrea," disse, marcando il suo nome e mantenendo la voce ferma nonostante il tumulto interiore.

Daniele non sapeva molto di come girasse il mondo, ma in quel momento capì una cosa: avrebbe fatto di tutto per stracciare Andrea, anche a costo di sacrificare la gloria personale. La partita di sabato non sarebbe stata solo un'amichevole, ma una battaglia personale, e Daniele era determinato a vincerla, qualunque fosse il prezzo da pagare.

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Angolo autrice
C'è qualcuno che legge questa storia? Se si (dubito) cosa ne pensate? Da ora in avanti si entra nel vivo del libro. Spero vi possa piacere 🥲

E tu sei lontano, lontano da meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora