Quel giorno a scuola fu un vero e proprio macello. Era il momento dell'assemblea d'istituto, dove tutte le classi si trovavano in un unico e enorme stanzone dell'edificio. Come ogni anno, dividevano il biennio dal triennio. Gabriele stava ascoltando i rappresentanti parlare della gita di istruzione, che non era stata ancora decisa. Nel frattempo, Daniele, stava giocando a un gioco sul cellulare, mentre l'amico scriveva nella chat di gruppo con Giò che frequentava una sezione diversa dalla loro.
"Giò chiede se andrai al viaggio," disse Gabriele, storcendo il naso. Daniele non voleva che i suoi amici rinunciassero a partecipare per colpa sua; i suoi genitori non gli avrebbero mai permesso di andare. Di solito quei viaggi costavano un sacco di soldi senza un motivo apparente e certamente i suoi genitori non avrebbero mai acconsentito. "Può darsi, non lo so" rispose lui di rimando. Gabriele capì la situazione e scrisse dei messaggi nel gruppo, che Daniele non lesse perché era concentrato sul gioco.
L'assemblea di settembre finì tra il caos generale della gente che urlava proposte impossibili e così tutti si alzarono per tornare in classe. Di solito l'assemblea durava due ore, dopo le quali si tornava in aula a continuare le lezioni.
A casa, Daniele ricevette un messaggio: "Ti va se stasera dopo gli allenamenti usciamo a berci qualcosa?" Gabriele lo aveva appena invitato a uscire in centro. Lo scorso sabato aveva dovuto rifiutare perché si sentiva troppo stanco; l'allenatore li aveva distrutti. Ma quel fine settimana era diverso, così accettò.
"Mamma stasera posso uscire con Gabriele e Giò? Giuro che torno entro le 23" chiese a sua madre che si trovava stranamente accanto a lui. A pranzo erano solo loro due e, di solito, sua madre mangiava in fretta per non tardare al turno pomeridiano. Stranamente quella volta fece tutto con calma.
"Si giura solo al Signore, comunque, fai come vuoi" rispose la madre senza aggiungere altro. Daniele scrisse un messaggio di conferma a Gabriele. Del padre nemmeno l'ombra; sarebbe tornato anche lui tardi quella sera e non si sarebbe interessato.
Gli allenamenti furono intensi ma niente di troppo grave. "Oh ma è vero che stasera ci sarà Gaia?" chiese Giò a Gabriele mentre si allenavano a schiacciare qualche palla lungo la rete. "Uhm, forse le ragazze l'hanno convinta, ma niente di serio," rispose Gabriele. Daniele fu visibilmente confuso, così Giò accennò a un sorriso e spiegò tutta la storia.
"Ti ricordi che Tiziano ha mollato Gaia, no? Bene. Lei, per ripicca, si è messa con suo fratello quello che fa ingegneria." "Ma non ha tipo sei anni più di noi?" "Esatto, lui l'ha presa così male che ora non si parlano più. Se uno esce, l'altro non esce, e così via," concluse Giò schiacciando un'altra palla.
"Vabbè, è un comportamento da bambini, però," commentò Gabriele. "Ma che dici Gabri? Scusa, ma se la mia fidanzata si mettesse con mio fratello, per lo shock non parlerei a entrambi per sempre." "Uuuuh, esagerato! Non parleresti a tuo fratello? Impossibile" ridacchiò Gabriele girandosi verso Daniele per sapere la sua opinione.
Questi discorsi per lui erano pura utopia; lui non sapeva cosa si provasse ad avere un fratello. I suoi genitori si erano sposati solo perché sua madre era incinta di lui. Non sapeva nemmeno se si amassero davvero. Non proferì parola, alzando le spalle, mentre i due ragazzi continuavano a discutere animatamente.
"Daniele, buona schiacciata, ma dovresti essere più preciso con il posizionamento della gamba," gli urlò il coach dalle panchine. Daniele si girò per osservarlo, ma venne preceduto dai ragazzi più piccoli che chiedevano consigli. Sospirò e andò nello sgabuzzino che loro chiamavano "Infermeria," ma che di infermeria non aveva proprio nulla. C'erano solo un paio di scatoloni, qualche bottiglia d'acqua vecchia di anni, una piccola finestra e una panchina sotto di essa. Daniele si avvicinò al primo scatolone, aprì e trovò la cassetta del pronto soccorso. Stava cercando delle bende per il suo dito medio quando udì un singhiozzo.
"Ma che cazzo..." si girò vedendo un ragazzo accovacciato accanto alla panchina; entrando non lo aveva decisamente notato.
"E tu chi sei?" gli chiese un po' stranito. Non era un ragazzo della squadra; non l'aveva mai visto prima.
"No, scusa, adesso me ne vado, non ti preoccupare. Avevo solo bisogno di stare qui per qualche minuto," rispose il ragazzo sentendosi in colpa. Si alzò e si dileguò prima che Daniele potesse dire qualcosa. Fu più confuso del normale ma non ci pensò troppo. Avrebbe raccontato tutto al coach a fine turno. Trovò le bende e uscì.
"Daniè, vieni che stiamo formando le squadre! Tu sei con Lucio!" gli urlò Gabriele dal fondo del campo. Finalmente avrebbero giocato una partita.
Quella sera, come da programma, Daniele era decisamente stanco per i suoi gusti ma, non volendo deludere i suoi amici, uscì lo stesso. Il centro distava solo qualche isolato da casa sua e per sua fortuna non aveva bisogno della macchina come Giò o della bici come Gabriele; lui poteva andare a piedi.
Si ritrovarono tutti nella piazzetta a fumare; Daniele declinò non poteva tornare a casa puzzando di fumo, suo padre lo avrebbe ucciso. Letteralmente.
"Ciao, Dani," lo salutò Fiorenza. Una volta erano stati compagni di classe ma, effettuando il passaggio dalle medie alle superiori, si persero leggermente di vista... nulla che qualche amico in comune non poteva risolvere. Tutto il gruppetto, formato da sei persone, lo salutò e lui si appoggiò al muretto accanto.
"Cosa facciamo oggi?" chiese la ragazza. "Pensavamo di fare un giro poi ci beviamo qualcosa e tutti a nanna," scherzò Tiziano. Quindi Gaia non sarebbe venuta...
Daniele si perse nei suoi pensieri. Quella giornata era stata decisamente strana sotto tutti i punti di vista: sua madre che lo lasciava uscire, il ragazzo che si nascondeva nell'infermeria, il gruppo che scherzava come vecchi amici nonostante fosse spaccato a metà dalle relazioni segrete. Scosse la testa. "Oh regà, guardate che Gaia è qui in giro, eh," disse Federico, per gli amici Fefe, mostrando una foto della ragazza per le vie della città. "Oh, ma che stai dicendo?" Tiziano si avvicinò al telefono dell'amico, confermando che la ragazza si trovava non lontano da loro.
"Andiamo!" "Ma finiscila, Tizià." "No, ora andiamo e ci parliamo." "Ma che le vuoi dire?" "Che il gruppo non si molla." Daniele era scocciato; si sentiva stanco e invece di divertirsi un po', questi pensavano a litigare di sabato sera. Non aveva voglia di discutere, ma non si sarebbe tirato indietro, così si incamminò con gli altri, seguendo un Tiziano visibilmente arrabbiato. Dopo qualche minuto di camminata, trovarono Gaia seduta su una panchina a mangiare un gelato. Accanto a lei c'era probabilmente il fratello di Tiziano.
"Ciao Gaia, come stai? Preferisci uscire con questo qui piuttosto che con noi, eh?" disse Tiziano, visibilmente infuriato.
La discussione si accese, Gaia si arrabbiò e il fratello di Tiziano si mise in mezzo. Daniele si allontanò un po', annoiato e a disagio nel vedere quei tre litigare in pubblico. Non gli piaceva litigare, per niente. Dopo una buona mezz'ora, i tre decisero di smettere e finalmente la pace tornò. Daniele sbadigliò e guardò il cellulare; erano le dieci e mezza. Si alzò.
"Ragazzi, io devo andare, mi dispiace," disse senza accampare scuse particolari.
"Daniele, sei sicuro? Ancora non abbiamo fatto niente, dai," insistette qualcuno. "No, meglio così, facciamo un'altra volta, tranquilli." Tiziano si scusò, gli altri lo salutarono. Gabriele e Giò scrissero nel gruppo se tutto fosse a posto, lui rispose di sì e si incamminò verso casa.
Che serata buttata nel vuoto. Poteva studiare le nuove tattiche per la partita della settimana prossima, invece l'unica cosa che fece quella sera fu litigare con sconosciuti per strada. Tornato a casa in silenzio, chiuse la porta a chiave, andò in camera sua, si cambiò e si addormentò senza troppe pretese.
L'indomani mattina, quando accese il cellulare, notò le foto dei suoi amici e i messaggi della comitiva. Sbuffò: non gliene importava nulla.
STAI LEGGENDO
E tu sei lontano, lontano da me
RomanceForse, alla fine della storia, la felicità non la conosce nessuno. Forse, alla fine della storia, noi stessi siamo la nostra felicità. Forse, alla fine della storia... Avere diciassette anni ed essere in pace con il mondo, con una ragazza, una car...