ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 5

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Ci fissammo per un po', dietro le mie braccia proteggevo mia sorella, impaurita dall'anima violenta che la mamma stava sfogando sul suo corpo.
Non tutti gli esseri possono essere amati allo stesso modo e mia sorella ne era la prova vivente.
Non importa quanto cerchi di cambiarle te stessa, chi odia, odia. A prescindere da come ti comporti, bene o male, ti vedranno sempre allo stesso modo, male.
Continuai a fissarla e lei viceversa.
Nei suoi occhi vedevo rabbia, strage, ma anche qualcos'altro. Vedevo ricordo.
Maya le ricordava qualcosa che la faceva sentire male.
Maya era la reincarnazione vivente di un essere che per lei valeva tanto ma per lui valeva meno di zero.
In quel momento, lei aveva in mente l'immagine di ciò che era accaduto tra loro, un litigio pesante a cui non ci mise una pietra sopra.
Sentì un brivido passarmi dietro la schiena, Maya stava cogliendo l'occasione per fuggire da quella situazione a gambe levate, poiché forse ne era anche lei consapevole di ciò che stava accadendo e che stava succedendo solo per colpa sua, non perché aveva fatto qualcosa nei suoi confronti, ma perché era il ritratto vivente di chi le aveva fatto del male.
Le pupille della mamma si dilatarono, si era accorta della sua mossa troppo tardi, smise di fissarmi, riprese il coltello in mano e la seguì.
«Torna qui puttana!» strillò lei dal soggiorno, la sua voce era stridula e imponente. La porta della camera si chiuse e lei si lasciò andare sul pavimento in lacrime.
Le tolsi il coltello dalle mani, in caso dovesse usarlo come difesa personale, lo appoggiai sul tavolino. La stanza era distrutta, piena di piatti di vetro in mille pezzi sparsi sul pavimento, cassetti aperti e scombinati, macchie rosse dappertutto, era tutta una scena del crimine.
Mi sedetti accanto a lei a confortarla, cercai di calmare la sua ira.
Lei aveva perso il controllo involontariamente.
«Io... Sono un..» borbottò, abbassò lo sguardo verso le sue mani tremolanti tutte rosse dal sangue.
Stava tornando in sé? Si stava rendendo conto?
«Mamma?» sussurrai dolcemente, sapevo che se le avessi parlato con tono incazzato l'avrei mandata su tutte le furie e avrei scritto nero su bianco come avrei finito la mia vita.
Lei, udendo queste parole, si voltò e mi guardò terrorizzata.
«Blair...» era a corto di fiato «Sono un mostro io per te?»
Un mostro? Ma che le era saltato in mente?
Scossi la testa, le posai una mano sulla spalla, la osservai dritto negli occhi e le mostrai un sorrisetto per non farla preoccupare.
«Madre... Non sei un mostro» le dissi.
Lei però non mi credette, scansò la mano dalla sua spalla e si girò dall'altro lato per non guardarmi in faccia.
«Ma chi vuoi prendere in giro, dici così solo perché sono tua mamma e hai pena per me..» singhiozzò.
Le lacrime le scorrevano per tutto il viso per poi finire sul pavimento.
Tutto ciò in questo momento era drammatico, sembrava la scena di un film.
«Madre...» le misi i capelli dietro l'orecchio, scoprendo quel suo viso deprimente.
Lei d'un colpo si alzò di scatto, posandomi una mano sul petto per spingermi indietro.
«A volte non so nemmeno io cosa sono...» sussurrò, strinse i pugni
«A volte non ho nemmeno la forza di abbandonare il passato».
Ascoltai le sue parole più attentamente.
"La forza di abbandonare il passato".
Ci voleva tanto coraggio a lasciare indietro i ricordi, belli o brutti che siano.
I ricordi sono una parte di noi che non possiamo scordare se essi sono importanti per noi.
Possiamo fingere di scordare, ma non possiamo dimenticare, cancellare dalla nostra testa, tutti i momenti della nostra vita.
Si avvicinò verso le scale, snodò il fiocco rosa glitter che avevo fatto al quadro per reggerlo, prese il quadro e lo gettò per terra.
Rabbrividì, si stava sfogando anche lei su quel quadro?
Pensai per un attimo all'azione che ripensandoci bene fu la stessa che mia sorella fece durante un momento di rabbia.
Tutto coincideva, tranne una cosa.
Il quadro.
Cosa c'entra il quadro?
Perché se la prendevano con il quadro.
Ci salì con un piede e lo pestò, fino a strapparlo definitivamente.
«No!» esclamai, mi affrettai a rimuoverlo da sotto il suo piede cercando di non farmi pestare la mano.
Appena non sentì più la cornice sotto i suoi piedi, si voltò di scatto, il suo sguardo incrociò il mio.
«Che stai facendo Blair!?» sbottò, ma non le diedi retta.
Non le risposi, girai il quadro verso di lei e puntai il dito verso la sua faccia «Questa nella foto eri tu: sorridente, spensierata, calma e composta» alzai un sopracciglio, lei annui, fece qualche passo avanti.
Appena ebbi la sua completa attenzione, strappai il suo volto dal quadro, gettai la cornice fuori dalla finestra e rimasi ferma immobile a godere della sua reazione al mio gesto.
Sembrava avere resistenza sull'atto di disapprovazione, perciò decisi di stuzzicarla ancora un po'.
«E ora guarda allo specchio la vera te», le porsi uno specchio, lei me lo strappò via dalle mani e abbassò lo sguardo verso il vetro. Con una mano si accarezzò il viso imbrattato di sangue, con l'altra si sistemò i capelli che le uscivano dal codino.
Sospirai «E questa bé... Questa sei tu adesso: fuori controllo, sempre arrabbiata e sugli attenti».
Non appena udite quelle parole, il suo volto cambiò totalmente espressione, le sue sopracciglia si abbassarono, i suoi occhi si spalancarono, le pupille si dilatarono al massimo e le sue labbra divennero serrate.
Strinse lo specchio con una forza notevole ed esagerata a tal punto da farle spuntare le vene sul braccio.
«Come prego?» disse aggressivamente.
Il suo tono mi fece venire la pelle d'oca, ma avevo troppa di quella soddisfazione per lasciar perdere tutto adesso, perciò me ne stesi zitta e decisi di non risponderle e controbattere.
«Vuoi cortesemente rispondere alla mia domanda?!» alzò un po' il volume della voce, ma ancora non ebbe alcuna risposta.
Fece alcuni passi avanti, fino a ritrovarmi faccia a faccia con lei.
«Rispondimi oppure...»
«Oppure?» controbattei.
Quella fu ufficialmente la goccia che fece traboccare il vaso e anche la sua pazienza.
Mi prese dal colletto del vestito e mi sbatté al muro.
«Come ti permetti!?» esplose lei.
Subì una bella botta nella parte superiore della testa, il dolore rimbombava tutto internamente.
«Io sono tua madre! Non puoi disubidirmi o non rispondere, hai capito!» esclamò.
In quel momento non ebbi la forza di rispondere, era come se un gatto mi avesse appena staccato la lingua a morsi.
Strinsi gli occhi terrorizzata, cercai di trattenere le lacrime, dovevo mostrarmi imponente, non dovevo farla vincere.
«Rispondimi!» calcò pesantemente le lettere.
La sua mano salì fino a stringerla intorno al mio collo, bloccandomi la possibilità di respirare.
«io...» non riuscivo nemmeno a parlare.
«Tu?!», digrignò i denti.
Sospirai con fatica in segno di resa «ho compreso, madre».
«Perfetto», lasciò la presa dal mio collo e l'aria mi rientrò tutta dritta nei polmoni.
Le uscì una risata soddisfatta «Nessuno si mette contro Polly Collins».
Mentre lei andava di sopra, facendo un rumore assordante con i tacchi che battevano contro il cemento, io da dietro stavo osservando le sue mani con le dita incrociate.
Ciò quindi significa a dire che non era vero?
Che lei aveva avuto dei conflitti in passato?
«Stai tranquilla madre...» presi fiato «perché quella persona sarò proprio io».

Si era fatta sera.
Erano le 22:50.
La mamma dormiva, perciò eravamo salvi dalla sua ira isterica.
Mia sorella era uscita un'altra volta in discoteca.
E io ero da sola nella mia dimora principesca chiamata camera da letto.
Ero sdraiata sul mio cuscino soffice. Le piume rosa e bianche mi ricoprivano il viso, facendomi il solletico.
Avevo i capelli tutti scompigliati che prendevano gran parte del letto, addosso il pigiamino rosa con un fiocco nero al collo.
La stanza era buia, tranne quell'angolino dove mi trovavo io con la lampadina led a forma di cuore a farmi compagnia.
Mi sentì sola in quel momento.
Sola con me stessa.
Ma allo stesso tempo, mi sentì al sicuro da tutti.
Sentivo che finalmente potevo stare tranquilla e non all'allerta, tesa, rigida.

D'un tratto il mio telefono vibrò.
Presi il telefono e lo accesi.
La luce mi accecò gli occhi.
Era la notifica da parte di un numero sconosciuto.
Essa diceva
"Ehi sei sola? Ti ho sentita piangere da qui, perché non ci conosciamo un po'?"
Era forse impazzito?
Gli risposi: "Ma chi saresti esattamente? Non mi fido degli inviti casuali"
"Sono il tipo dei gelsomini"
"Sei tu quindi..."
"Si..."

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 17 ⏰

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