ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 1

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ʙʟᴀɪʀ
*Caro diario,
TI confesso una cosa... Se c'è qualcosa che mi terrorizza bè... Le cose sono due:
Sbagliare e andare avanti.
Con il tempo tutto è cambiato: la moda dei teenager è più maschile e non consona come ai giorni nostri, il linguaggio è sempre più volgare sia nel mondo degli uomini che in quello delle donne, la natura ormai non è più quella di una volta, non è più verde e piena di rose ma nera e bruciata.
E per concludere... Il mondo è cambiato, oramai non c'è più pace e amore e felicità tra noi, tra gli animali e con sé stessi, la guerra ha conquistato il mondo, l'umanità, i nostri cervelli. Guardiamoci intorno, non ci possiamo fidare più nemmeno di un nostro caro amico o peggio ancora dei genitori, i nostri stessi occhi vengono ingannati dalla gentilezza ed è questo il punto, la gentilezza oramai è divenuta un punto di falsità o una strategia di gioco per stare al mondo, per stare al passo con l'umanità, questa brutta e incosciente popolazione.
E se mai avrei la possibilità di cambiare il mondo, andarmene da qui e realizzare un mondo tutto mio, lo farò.*
Dopo queste parole, chiusi il mio diario rosa e lo posai sul comò bianco in pietra.
Mi guardai intorno a me e tutto sommato non era cambiato nulla da quei cinque minuti passati a scrivere. Più il tempo andava avanti, più l'umanità faceva schifo. Rozza e disubbidiente con il prossimo, ma quando cambierà?
Questa domanda non avrà mai una risposta se devo dire la mia, o meglio c'è ma è scontata, mai e poi mai.
Volevo tanto che il tempo si fermasse così da rimettere tutto, ma proprio tutto al suo posto come in un puzzle con le piastrelle. Volevo il mondo di una volta, volevo la pace, volevo piante vive e sane, ma sapevo che stavo chiedendo anche troppo. Mi alzai dalla scrivania spegnendo la mia candela aromata alle rose rosa, infilai i miei piedi nelle mie scarpette rosa con tacchetto, mi legai i capelli sottoforma di chignon con un fiocco enorme e uscì da camera mia per scendere le scale. Scendendo le scale, sentì il cinguettio di tanti uccellini fuori dalla finestra, esso veniva seguito anche da Cersei, la mia colomba domestica che purtroppo, dovemmo rinchiudere tra le sbarre della gabbietta, era piccolina tutto sommato. Concluse le scale, mi diretti al tavolo, dove mi stava aspettando una colazione fatta in casa a cinque stelle, biscotti di mela con il miele preparati dalla mia mamma, Stephanie Collins.
Lei era al quanto dolce e stupenda, sapeva fare tutto e come me, non aveva un bell'approccio con la mafia e la cattiveria, anzi era una precisa e stabile.
«Buongiorno amoruccio, come al solito puntuale? Brava la mia Blair.», mi diede una carezza sulla testa e un bacetto sulla guancia. Ci sedemmo al tavolo, l'orologio con i numeri romani segnava le 6:30 del mattino, ottimo orario per fare colazione e una buona digestione soprattutto.
«Dimmi un po' » disse mia mamma girando il cucchiaio nella tazza di tè caldo «e tua sorella? Dove si è cacciata questa volta?» alzò la testa e mi squadrò in maniera diversa, cattiva, ma non ce l'aveva con me. «Beh io..» iniziai a balbettare, sapevo benissimo dove si era cacciata, in discoteca, con le sue amichette del cuore ma specialmente i maschi, a fare baldoria a gambe belle aperte tutte per loro.
«Non lo so, credo sia andata a fare la spesa...» continuai.
La mamma mi guardò con un occhio un po' sospetto, non sapevo mentire eccellentemente come Maya, anzi facevo abbastanza schifo.
«A fare la spesa eh?», avvicinò il suo corpo contro il mio, il suo fiato pesante e furioso colpiva il mio petto «E perché mai sentiamo?».
Mi aveva messa tra le fiamme, non sapevo che altro inventarle
«Beh perché non abbiamo più tanto cibo e voleva rendersi utile perciò...».
Mi stavo mangiando le unghie per l'ansia, quando di colpo la mia mano venne colpita dalla sua «Non mangiarti le unghie signorina Collins!» urlò lei sbattendomi ancora la sua mano sulla mia.
«Non lo farò più » dissi dispiaciuta «Madre».
«Ora va meglio» sbuffò soddisfatta, lasciò la mia povera mano e si risiedette sulla sedia appoggiandosi sullo schienale con il suo tè, ormai freddo, ad aspettarla.
*Finalmente regnava la pace* pensai.
TROPPO TARDI.
Ad un certo punto, si sentì un rumore di chiavi, lo ricobbi benissimo il movimento delle chiavi, infatti eccola lì, Maya Collins, la mia sorella.
Lei era al quanto diversa da me.
A differenza mia, che ero la ragazzina modello, una Barbie per eccellenza che tutti ammiravano, con le buone maniere nel sangue e degli obbiettivi, lei era l'opposto.
La pecora nera.
L'eccezione.
Lei era colei che sapeva disubbidire agli ordini, colei che sapeva essere indipendente, colei che sapeva essere sé stessa.
Mia madre posó la tazza di tè sopra il sotto bicchiere, girò la testa verso di lei, stava stringendo i pugni dalla rabbia.
«Dove sei stata?! Non ti rendi conto di che ore sono!?»
Lei sbuffò, alzò gli occhi al cielo guardando il grande orologio appeso al muro, con 12 esatti numeri romani«Io non so leggere l'orologio mal prodotto dai cinesi», le scappò fuori una risata e continuò «comunque, ero in discoteca con le mie amiche a fare...uffa, ma perché devi sempre rompere il cazzo ma'!».
Si era messa nei guai da sola, decisamente.
Tutti sapevano in questa casa che se mancavi di rispetto ad un tuo superiore ti avrebbero mandato al rogo, no troppo esagerata, diciamo ti avrebbe punito pesantemente ecco. Sistemandosi il vestito, Maya puntó il dito su mia madre con aria di sfida.
«Tu sei colei che ha rotto il cazzo!»
La mamma la guardò sotto shock, si alzò dalla sedia e si incamminò verso di lei, per poi prenderla per il petto e urlarle:
«Puoi ripetere prego!?»
«Hai rotto il c-a-z-z-o», le fece lo spelling di quella parola, per poi abbassarsi verso di lei e dirle:
«Serva» le toccò il naso e poi la guardò con uno sguardo di sfida, che però duró poco, aveva quell'atteggiamento che mia madre proprio non tollerava.
Le arrivó un gran ceffone sulla faccia che le sbavó tutto quell'eyeliner che aveva. Era vestita alla sgualdrina, con un vestito nero corto fino alle chiappe, il seno quasi di fuori, i capelli tutti colorati di nero con delle ciocche rosse davanti e delle unghie lunghissime alla cat woman.
«Questo è il
secondo avvertimento, Maya Collins! Al terzo via da casa mia!».
Maya le alzò il mento «scommettiamo?»
«Scommetto la vita di Blair che ti caccio!» la sfidò a testa alta.
Abbassò dopodiché lo sguardo verso il suo vestito, ne prese un pezzo e con uno sguardo al dir poco terrificante le sussurrò:
«Che cos'è questo?»
«Un.. vestito? Cosa può essere mai?» rispose Maya con un tono che significa al quanto ovvio.
La mamma le fece un sorrisetto «Un vestito eh?», riprese il coltello e taglio il vestito con un solo colpo, lasciandola completamente al naturale se non in reggiseno e mutande
«Questo è solo uno straccio, come te d'altronde. Sei uno straccio umano che non fa altro che rovinarsi solo per vedermi perdere le staffe».
«Uuh che paura, ora piango! Ma chi ti credi sgualdrina la regina Elisabetta? Ma va a lavare i piatti per favore!» ribatté.
«Non ti sforzare a fare la carina!» ringhió la mamma sull'orlo di scoppiare
«Ehi! Ho detto per favore, è una buona maniera no?» chiese ironica «La gente di oggi non è mai contenta!» sbuffò, abbassò la testa sul suo lussuosissimo iPhone 15 per ignorarla.
Era al quanto imbarazzante. Girai la testa, finì la mia colazione e ovviamente mi misi anch'io in discussione, dalla parte di mia madre ovviamente sennò gli avvertimenti li avrei ricevuti anche io.
Appoggiai la tazza dolcemente sul sottobicchiere, girai la sedia verso di lei e incominciai.
«Ma non ti vergogni?»
Maya staccò i suoi occhi dalla tastiera, ripose il telefono in tasca e rispose:
«Di cosa? Di non essere un angelo come te?»
«Di disubbidire la tua stessa vita, la tua creatrice?!» decisi di ribattere moneta.
Maya si tiró i capelli indietro vanitosamente, sbatté i piedi a terra.
«Non me ne fotte un cazzo sinceramente parlando» strappò via dalle mani della mamma il vestito tutto strappato e lo guardó, in lacrime, però non si fece zittire da un vestito.
«E voi non vi vergognate, nell'essere così... Così pignole?!».
Io e la mamma avevo un volto shock sul viso, o meglio lo aveva solo lei, ma io la appoggiavo, giusto per non subire altri rimproveri.
«E poi Blair è solo la figlia piccola, non è perfetta, sta solo fingendo cazzo!» ringhió.
«Non ti permettere mai più!» le urló
«La vedi Blair? É molto più piccola di te ma è lei che ti può fare esempio!», mi strizzó la faccia mostrando le mie qualità da perfettina «Capelli lunghi biondi, faccia morbida e pulita, zero trucco, elegante e composta! È lei che ci rende la famiglia perfetta, è lei la perfezione in persona!».
Maya rimase imbambolata alle parole della mamma.
LEI È LA PERFEZIONE IN PERSONA.
«Lei è la perfezione in persona?..» sussurrò.
Ancora una volta ero considerata l'esempio perfetto della parola "perfezione '', nemmeno se l'avessi inventata io, se avessi inventato le regole nell'essere perfetta.
«Blair?!» sbuffò Maya «L'esempio perfetto della lecca culo, questa è l'unica perfezione che ha!»
«Vai in camera tua e non dire un'altra parola!» strillò la mamma lanciandogli il coltello che per poco, non le colpiva la testa. Lei abbassò la testa schivando il coltello.
Con sua grande fortuna, il coltello aveva colpito la foto di famiglia, in particolare la faccia di Maya.
Era un segno? Credo di sì.
«Tu sei malata! Ma non ti guardi mai allo specchio!? Maltratti la tua stessa figlia solo perché non è la tua marionetta! Solo perché cerca di essere sé stessa! Sei un mostro, madre, o forse non dovrei nemmeno più chiamarti così...» con queste ultime parole, salì le scale, prese il quadro e tolse il coltello dalla carta.
Dalla bocca gli sfuggì un lamento sussurrato
«Perché non sono perfetta... » sussurrò
«Se non piaccio a mia madre... Non piacerò a nessuno » ringhió e con il coltello taglio la sua testa dal quadro.
«Io non faccio parte di questa famiglia, non ne ho mai fatto parte », lasciò cadere tutto a terra e salì le scale fino ad arrivare nella sua cameretta. «E TI STA BENE! QUESTO È QUELLO CHE MERITI PER AVER DISUBBIDITO A TUA MADRE! SECONDO AVVERTIMENTO, RICORDA, SECONDO AVVERTIMENTO!» le urlò mia madre da sotto, poi si voltò verso di me e mi baciò sulla fronte «scusami se ho reso la tua mattinata... Indimenticabile, però tua sorella può essere al quanto testarda, io vado via, pensaci tu alla casa ok? Ciao amore»
«Ciao... Mamma» salutai, le feci un sorrisetto felice per non ferire i suoi sentimenti, mentre dentro di me provavo solo rancore per il mio comportamento.
Appena varcò via la soglia della porta, chiudendola, smisi di fare il burattino, di avere un sorriso a trentadue denti solo per lei.
Mi diressi verso le scale, presi il quadro da terra e lo guardai.
Pensai, era difficile essere la pecora nera, che poi nemmeno era, era solo... diversa.
Lei era solo sé stessa, e chi eravamo noi per giudicare?
Chi era mia madre per giudicare un essere vivente?
Mi fece molto male vedere che nel quadro il coltello avesse colpito proprio la mia sorella, mi ripetevo se era un segno o se il terzo avvertimento era proprio la morte. Volevo riparare il danno, come ancora non lo sapevo, era certo però che se non avesse cambiato atteggiamento nei confronti della mamma, lei sarebbe stata squartata viva.
Se lei per una volta, avrebbe fatto il burattino, solo per accontentarla, gli avvertimenti potevano essere migliori.
Con le lacrime agli occhi e i rimorsi di coscienza, appoggiai il quadro sul tavolo e mi misi alla ricerca di scotch, da qualche parte l'avrei pur messo visto che fino a qualche giorno fa l'avevo usato per riparare la spina del mio diario che era stata proprio lei a rompere mentre me lo leggeva di nascosto.
Poi ci ho riflettuto e mi ricordai, che era dentro il cassetto della mia scrivania, che l'avevo riposto lì dopo che avevo scritto.
Allora decisi di andare a prenderlo, salí le scale di corsa, era una maratona? No, ero solo abituata a fare tutto di corsa, però subito dopo scivolai con il tacco della scarpa fino al punto di partenza, facendomi male, ma molto male. Ero piena di lividi adesso, cavolo.
Maledetti tacchi e maledetta fretta, chi mi aveva portata?
«Non mi farò battere da delle scale» ringhiai, mi tolsi le scarpe riposandole sotto il mobile e risalì le scale con più lentezza stavolta e finalmente riuscì ad arrivare al piano di sopra.
Avevo il fiatone, lo chignon ormai rovinato e la faccia distrutta e tutto ciò per un maledetto scotch che potevo prendere nel giro di 1 minuto manco, ma allungare i tempi era il mio forte. Comunque...
Non mi sentivo bene.
Ero distrutta.
Mentre entravo nella mia camera iniziai a sentire dei pianti provenire dalla stanza opposta alla mia.
ERA MAYA?
Maya stava piangendo per... Prima.
Decisi di avvicinarmi alla sua stanza senza farmi scoprire.
Più mi avvicinavo più forte la sentivo piangere, lo scotch che avevo in mano lo buttai via e mi avvicinai ancora di più alla stanza di mia sorella, o meglio origliai dietro la porta.
«Che cazzo ho fatto per essere così? Non le piaccio più?» la sentì dire,
era inginocchiata a terra con lo straccio di vestito tra le mani, bagnato dalle lacrime oramai. «Forse... Finirò davvero come ha previsto il coltello... Accoltellata e bruciata?»
Queste parole furono un peso nel mio petto che non potevo tollerare più, ne avevo abbastanza.
«Non lo permetterò!» ringhiai e aprì la porta senza pensare prima a come e cosa dovevo consolare.
Maya girò la testa verso di me, strinse i pugni.
«Che cazzo ci fai qui!» sbottò Maya tirandomi il vestito in faccia «Fuori da camera mia, perfettina!» strillò indicandomi l'uscita con il dito.
«Io non sono perfettina!» sbottai, non ce la facevo più ad essere chiamata con quel falso nomignolo.
«Ah no?Si che lo sei stronza!» continuó a tirarmi oggetti di ogni tipo, matite, quaderni, cuscini e molto altro ancora.
«Non mentire, sei perfetta in ogni aspetto che si possa immaginare! Hai lunghi capelli biondi, un viso perfetto , una buona reputazione ed una vita bellissima, come una principessa!
In confronto a te sono una pecora!» disse dolorosamente.
Rimasi a bocca aperta, tutte queste parole mi fecero male dentro, il dolore delle verità soprattutto era una cosa che non auguravo a nessuno. Non avevo scelto io di essere bella, perfetta, di non essere mai sgridata, ma nemmeno lei tutto sommato.
«Non sei una pecora» la consolai, inginocchiandomi accanto a lei, con una mano le asciugai le lacrime, lei si voltò verso di me, con uno sguardo scontroso e offeso mi guardò dritta negli occhi.
«Sei solo te stessa, guardati, non pensare al giudizio degli altri, pensa al tuo più che altro»
«Dici così perché non conosci bene la mamma» rispose, mi guardava con quegli occhioni lucidi, delusi.
«Ma che cosa stai dicendo? Certo che la conosco, siamo entrambe figlie sue, non ce l'ha con te stai tranqu-»
«No!» mi spinse via facendomi sbattere con lo spigolo della porta.
«Ahi!» mi lamentai toccandomi la testa con le mani.
«Blair! No!» urlò Maya. Io non vedevo più, vedevo sfocato e non capivo nulla.
Stavo perdendo i sensi.
«Rispondi Blair! Stai bene? BLAIR!» mi urlò cercando di farmi sentire cosa stava dicendo, ma in quel momento, sentivo uno schifo.
«Blair mi dispiace scusa, non volevo ho commesso l'ennesimo errore! Mi sento in colpa per-»
«Maya...» sussurrai mettendogli le mani nel petto.
«Bla.. Blair?» balbettò il mio nome speranzosa, tenendo le mie mani strette sul suo petto ancora di più.
«Tu...» cercai di dirle
«Si? Ti ascolto parla!» disse in lacrime.
Io tossí.
«Parla cazzo!» strillò fiduciosa.
«Tu devi farti valere, sì te stessa, non dare ascolto a lei. Tu sei...»
Chiusi gli occhi.
E da lì non dissi più nulla.
Il vuoto.

Blair

Maya

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Maya

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