«Oh mio Dio, Billy! Questa ciambella è paradisiaca». Mugugno a occhi chiusi e con la bocca piena di zucchero. È una vera squisitezza. «Potrei avere un orgasmo solo mangiando le tue ciambelle, lo sai?» È divina! Mando giù l’ultimo boccone e mi lecco le dita per gustarla fino all’ultimo granello di zucchero.
«Non dovresti mangiare quella roba». Dice una voce alle mie spalle.
«Chiunque tu sia, sei pregato di uscire immediatamente da questa caffetteria. Quella che hai appena definito roba è la ciambella più buona del…» e quando mi giro per vedere chi è il mostro che l’ha appena definita roba, la saliva mi va di traverso e rischio di strozzarmi. «Mondo». Finisco la frase e mi lecco le labbra. Ho ancora dello zucchero attaccato a quello superiore, ma faccio veramente fatica a ingoiare.
«Ciao, Lena».
«Ciao, Marcus». Oddio che vergogna! Fisso la sua bocca e penso che solo sedici ore prima è stata sulla mia, per praticarmi una respirazione bocca a bocca, che probabilmente mi ha salvato la vita.
«Sarà anche buonissima, ma è fritta e contiene un sacco di zuccheri».
«È proprio questo ciò che la rende buonissima». Rispondo prontamente alle sue osservazioni.
«Non fa bene alla tua salute». Decreta da medico.
«Già, probabilmente come l’ultima sigaretta del condannato a morte», rispondo da malata terminale. Ma appena pronuncio questa frase, mi trafigge con lo sguardo. Avrei dovuto immaginare che per lui è con molta probabilità una battuta di cattivo gusto, soprattutto perché non mi conosce e non sa che ormai ci scherzo sopra sulla mia condizione di salute.
«Posso offrirti una tazza di caffè?» Mi sento in dovere rimediare, ma me ne pento immediatamente e spero che rifiuti. Non credo sia una buona idea.
«Solo se vieni a berla insieme a me» e indica un tavolo alle sue spalle.
«In realtà, starei lavorando». Balbetto imbarazzata e accampando la prima scusa che mi passa per la testa.
«Vai Lena, puoi staccare dieci minuti». Si intromette Billy prendendo la parola e vorrei girarmi e fulminarlo con lo sguardo.
«Avevamo detto, niente favoritismi». Gli faccio notare, senza nemmeno guardarlo.
«Infatti dopo penserai tu alla chiusura». Mi dà una pacca sul sedere e mi spinge ad andare.
«D’accordo. Accomodati al tavolo vicino alla finestra che si è appena liberato. Ti raggiungo subito». Si alza dallo sgabello e segue le mie indicazioni.
«Perché lo hai fatto?» Mi arrabbio con Billy che dovrebbe essere mio amico.
«Fatto cosa?» Domanda realmente confuso.
«Permesso di staccare. Patrick ha ragione, a volte sei così ottuso».
«Qual è il problema, Lena?»
«E me lo chiedi? C’eri anche tu ieri sera alla festa, hai visto cos’è successo».
«Hai avuto una crisi e quindi?»
«E quindi? È stato imbarazzante. Molto imbarazzante».
«È un medico, Lena! Pensi che non ci sia abituato? Pensi di essere stata la prima a cui ha prestato soccorso? Probabilmente lo fa di continuo».
«È proprio questo il punto». Sbotto frustrata.
«Aspetta, vuoi forse dire, che ti piace?»
Gesù, come potrebbe non piacermi? È alto, sexy, con un fisico che sembra scolpito nel marmo. Ho una grave malattia ai polmoni, non sono cieca.
«Ci sta guardando e credo che faresti meglio ad andare, se non vuoi che si faccia strane idee».
Prendo un respiro, per quanto i miei polmoni mi permettono di fare. Tiro fuori da sotto il bancone un vassoio, ci metto sopra la caraffa del caffè appena fatto, due tazze e un piattino su cui adagio una ciambella glassata, piena di zuccherini colorati. Faccio il giro del bancone e mi dirigo al tavolo. Gli sorrido mentre mi avvicino, col cuore che batte come un pazzo. Non dovrebbe farmi questo effetto, non so nemmeno se tra lui e Jess ci sia qualcosa e poi, è lui a non fare bene alla mia salute.
«Non puoi entrare nella caffetteria più famosa di New Haven e uscire senza aver assaggiato la ciambella più buona del Connecticut». Mi siedo davanti a lui sorridendo per rompere il ghiaccio e spingo il piattino sotto il suo naso.
«Ammettilo, solo l’odore è una tentazione irresistibile». Ma lui continua a fissare me, senza prestare la minima attenzione alla ciambella.
«Ti ho vista questa mattina, in ospedale. Insieme ai bambini. Eri carina vestita da Frozen».
«Oh!» Questo non me lo aspettavo proprio. Sistemo dietro l’orecchio una ciocca di capelli che era scivolata dallo chignon e mi mordo le labbra imbarazzata, abbassando leggermente il viso verso il tavolo. «Sembro sciocca vestita in quel modo». Gli dico guardandolo attraverso le ciglia.
«Ho appena detto che eri carina vestita da Frozen».
«Beh, sì, carina è un modo carino per dire sciocca».
«Carina è un modo carino per dire che eri molto carina. Ti dona la treccia bionda. Hai mai pensato di colorarti i capelli?» Chiede alzando leggermente le labbra per imitare un sorriso. Mi chiedo se quest’uomo abbia mai sorriso nella sua vita, perché non sembra abituato a farlo.
«Se non ricordo male, tingermi i capelli sta al nono posto della mia lista. Viene prima di “viaggiare” e subito dopo di “fare sesso"» Il mio intento era di farlo sorridere e invece stringe la mascella talmente forte che temo possa spezzarsi qualche dente. Cosa ho detto di così strano da fargli aggrottare la fronte in questo modo?
«Hai una lista?» Chiede come se non credesse a ciò che ha appena sentito.
«Beh, ho la fortuna di potermi organizzare, così sono sicura che riuscirò a realizzare tutti i miei desideri prima di…» Mi fermo. Non riesco a continuare. Non ho mai avuto problemi a dirlo, eppure con lui non ci riesco. Penso che il fatto che sia un medico gli dia la capacità di vedermi dentro. Lui sa cosa vuol dire avere una malattia come la mia e per quanto possa essere serena, ci sono momenti in cui mi chiedo “Perché proprio io". Durano pochi attimi, però ci sono e temo che possa scovarli in fondo ai miei occhi.
«Lena, non ti mentirò. Sono qui perché ho parlato con Jessica. Questa mattina prima di partire è passata a salutarmi, abbiamo parlato di te e della tua malattia».
Non fingo che la cosa mi faccia piacere, vorrei che si parlasse di me per altri motivi, non per la mia malattia. Anche se, in effetti, quale altro motivo potrebbe avere per parlare di me?
«Vedi Lena, sono sicuro che i colleghi che mi hanno preceduto si siano sbagliati. Alla tua età, una diagnosi così grave, non la trovo plausibile. Inoltre una crisi respiratoria di quella entità si manifesta solo nei pazienti…»
«Terminali», concludo al posto suo. Non occorre che ci giri attorno, conosco molto bene il mio stato e l’ho accettato.
«Esatto e ritengo che sia…»
«Impossibile?» Lo interrompo di nuovo, prevedendo ciò che stava per dire. «Non sei l’unico dottore a dirlo. Siamo stati anche in Italia, ma la diagnosi è rimasta sempre la stessa».
Stringe i pugni, si irrigidisce sulla sedia, ha i muscoli contratti, come se non riuscisse ad accettare di sentirmi parlare in un modo così sicuro, eppure è un dottore, dovrebbe esserci abituato.
«Hai provato con il…»
«Pirfenidone? Sì e anche il Nintedanib, ma entrambi non hanno dato gli effetti sperati. Però sono arrivata ai cinque anni da quando è stato diagnosticato l'IPF perciò posso considerarmi fortunata. Sarei potuta morire anche prima».
È un dottore porca miseria, non dovrebbe fare quella faccia. Perché si meraviglia così tanto?
«Cosa vuoi da me, Marcus?» Tanto vale buttare le carte sul tavolo e giocare scoperti, ma la mia domanda lo fa piombare nello sconforto e non è quello che voglio, dannazione.
«Non lo so», mormora osservando la ciambella. «Capire, forse o forse, aiutarti».
È assurdo, così grande e grosso eppure mi fa tanta tenerezza.
«Non fare come hanno fatto gli altri, non sono l’eccezione che conferma la regola, non sono il caso da studiare in un laboratorio. Se vuoi veramente aiutarmi, non illudermi che esista una cura, perché sappiamo benissimo entrambi che non è così».
Cazzo, ho le lacrime agli occhi e io odio piangere. Devo fare in modo di cambiare l’andamento della conversione e riportarla su un sentiero meno doloroso.
«Vuoi vederla?» Gli domando prendendolo alla sprovvista. E infatti e mi guarda confuso. «La mia lista, intendo». Specifico maliziosa. Non aspetto che mi risponda, in realtà non so nemmeno perché lo faccio, nessuno conosce questa abitudine, che molto probabilmente mi fa sembrare patetica, ma che allo stesso tempo ha un significato importante per me. Mi alzo dalla sedia. «Aspettami qui». Corro verso il camerino, lasciandolo da solo e interdetto. Frugo dentro la mia borsa e tiro fuori dall’agenda il foglietto di carta consumato. Me lo porto al petto e sospiro. In questo foglio c’è tutta la mia vita. Ritorno in sala, ha l’aria pensierosa, la fronte sempre aggrottata e sta giocherellando con un tovagliolino di carta. La ciambella ancora intatta, questo sì che è un vero peccato.
«Eccomi qui». Mi tuffo sulla sedia e poso il biglietto ancora piegato sul tavolo. Ci metto la mano sopra. «A una condizione, però». Ho la sua attenzione e sembra sinceramente interessato. «Nessuno dovrà mai saperlo, okay?»
«Lo considero un segreto professionale».
«Ma tu non sei il mio dottore», rispondo sorridendo.
«Dopo la ventilazione artificiale di ieri sera, un po' mi ci sento».
«Oddio, non ricordarmelo. Avevo mangiato gli anelli di cipolla poco prima». Mi nascondo il viso coi palmi, lo guardo attraverso le dita e… «Ehi, stai sorridendo. Allora sai come si fa».
«Beh, diciamo che ultimamente non ho molti motivi per farlo».
«C’è sempre un motivo per farlo, Marcus». Dichiaro solenne. Mi piacciono i suoi occhi, sono buoni. «E chissà, magari con questa lista ti darò anche qualche motivo in più». Aggiungo sorridendo, non mi piace tenere i toni troppo seri. Dispiego il foglio, lo liscio con la mano per distenderlo, lo giro e lo faccio scivolare accanto al piatto vicino la ciambella. «Questa la prendo io». Dico recuperando la povera ciambella abbandonata.
Mi lancia un’occhiataccia. Non può fare sul serio. Che male può fare una ciambella a una ragazza che sta per morire? Do un morso davanti al suo sguardo corrucciato e mi lascio andare di nuovo alla goduria della sua bontà. Apro un occhio per guardarlo. «Non sai cosa ti perdi».
Si alza dalla sedia, si sporge sul tavolo e da un morso alla ciambella direttamente dalle mie mani. Resto inebetita a fissarlo, a bocca aperta.
«Hai ragione, è davvero molto buona».
Si risiede senza guardarmi, prende il foglio e inizia a leggere come se niente fosse, come se non avesse appena scombussolato tutto il mio mondo.
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Lena
RomanceLena è una ragazza di diciannove anni, affetta da una grave malattia, rara e incurabile. Da tempo ha accettato la sua condizione, vive i giorni che le restano scrivendo una lista con tutti i suoi desideri e cercando di realizzarne più possibili. Ma...