Lena

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«Marcus, fermati un attimo, per favore».
Dopo che mi sono ripresa, ha iniziato a fare le valigie per tornare a casa. Pensa che l'attacco sia stato dovuto alla stanchezza e si è preso di paura, così ora vuole rientrare a New Haven stasera stessa. L'ho perfino sentito parlare con la compagnia aerea e chiedere se ci fosse un volo disponibile.
«Non se ne parla, torniamo a casa».
«Ma il nostro viaggio non è ancora finito, abbiamo un altro giorno». Piagnucolo sperando che mi stia ad ascoltare.
«Pazienza, vuol dire che ci rifaremo tra qualche settimana».
«Marcus, non voglio andare a casa, ti prego».
Finalmente lascia perdere la valigia e mi degna di uno sguardo. Si rende conto che sono triste e che non voglio tornare indietro, ma i suoi occhi mi dimostrano tutta la paura che ha provato e mi stringe il cuore.
«Lena, sono morto di terrore».
«Diamine, non puoi predicare bene e razzolare male. È un rischio che devi correre se vuoi stare con me. Sai che può succedere, non possiamo farci nulla, ma se vuoi che mi lasci andare, che ritrovi il desiderio di vivere, devi farlo anche tu».
Si porta le mani ai capelli frustrato, è chiaramente combattuto, ma davvero non può fare così ogni volta che sto male, è un dottore, sa come vanno queste cose. Conosce la mia malattia, anche se non vuole ammetterlo sa che non mi rimane molto da vivere, anche se accettassi di sottopormi al trapianto. Passerebbe troppo tempo prima di trovare dei polmoni compatibili e nel frattempo potrei già essere morta, ma ora siamo qui e non voglio andare via, voglio vivere adesso.
Gli dico tutto questo solo con la forza dello sguardo e lui mi capisce. Lui sembra capirmi sempre, non so come faccia, non pensavo di essere un libro aperto, ma evidentemente è così perché ci riesce.
Ci siede sul letto con tutto il suo peso, la camicia ancora sbottonata, i muscoli del petto in rilievo. È bello da togliere il fiato.
Gli vado vicino e mi inginocchio tra le sue gambe, mi sorreggo poggiando le mie mani sulle sue cosce. Piego il viso per guardarlo dal basso verso l'alto, ha la mascella contratta e sta fissando il pavimento con gli occhi persi nel nulla.
«Capisco la tua preoccupazione», gli parlo lentamente e dolcemente, come se fosse un bambino a cui devo spiegare qualcosa di brutto, ma necessario. «Siamo lontani da casa e ti senti responsabile per me, ma va tutto bene Marcus, davvero, sono ancora qui, sono viva, respiro e ti sto supplicando di non riportarmi a casa. Mi sto divertendo, sono felice di essere qui con te, a volte devo fermarmi a ragionare perché mi sembra un sogno, è tutto così incredibile. Non avrei mai immaginato di vivere tutto questo ed è tutto merito tuo, quindi ti prego, se veramente ci tieni a me, fallo per me. Rendimi felice, in fondo siamo qui per questo».
Sospira pesantemente quando finisco di parlare.
«Non siamo qui per questo», dice e mi acciglio. Non riuscirei a sopportare un'altra bugia. «Il vero motivo per cui siamo qui è sempre stato un altro». Solleva il viso e mi guarda aggrottando la fronte. «Avevo organizzato una sorpresa per te, ma adesso non sono più sicuro che sia una buona idea».
Mi illumino come un albero di Natale. «Una sorpresa per me? Davvero?»
«Non essere così contenta, perché ce ne torniamo a casa stanotte. Ho già prenotato il volo».
«No, Marcus, per favore. Farò tutto quello che vuoi, ma non riportarmi a casa adesso. Di che si tratta? Ti prego dimmelo».
«Io non voglio costringerti a fare niente, qualunque decisione prenderai dovrà dipendere solo da te».
Mi alzo in piedi e incrocio le braccia al petto.
«Bene, allora sappi che stanotte te ne torni a casa da solo, perché io rimango qui. È questa la mia decisione».
«Non fare la bambina, hai capito perfettamente a cosa mi riferisco».
«Quello che non capisci tu invece, è che riportarmi a casa non mi farà stare meglio. Ormai le crisi sono sempre più frequenti e non riesco più a gestirle. Non so più quale possa essere il fattore scatenante, a volte è rabbia, altre volte la gioia, altre la paura, o come qualche ora fa le risate, ma...»
«Ma è proprio questo il problema». Mi interrompe. «Come faccio a portarti a un concerto, sapendo non riesci più a reggere le emozioni forti?»
Smetto di respirare, ma non si tratta di una crisi, sono le sue parole che mi hanno lasciato senza fiato. Ha detto, concerto? Non so che rispondere, insieme al respiro se ne sono andate anche le parole. Mi limito a guardarlo, anche quando si alza e torna alla valigia che sto iniziando a odiare. Solo che stavolta, invece di infilare a casaccio la roba dentro, fruga in una tasca interna e tira fuori una busta bianca.
La batte sul palmo, la soppesa e poi si avvicina. Si ferma a due centimetri da me e me la porge.
«Tieni».
«Cos'è?» Domando.
«La tua sorpresa».
Alzo una mano e l'adagia sopra. Non so che fare. So che dovrei aprire la busta e scoprire cosa contiene il suo interno, ma ora capisco perfettamente il peso delle parole: "Qualunque decisione prenderai dovrà dipendere solo da te"
Lo guardo da sopra le ciglia, ingoio a vuoto e apro la busta.
Ci sono due biglietti per un concerto, sollevo lentamente i foglietti dalla busta, sbirciando lettera per lettera, come farebbe un giocatore di poker con le carte che tiene in mano. Poi, quando mi rendo conto di cosa si tratta, ho un tuffo al cuore.
«Oddio, Marcus...»
«Ora capisci perché credo che non sia più una buona idea? Luci abbaglianti, musica assordante, folla asfissiante. Avrei dovuto pensarci prima, avrei dovuto comprare i biglietti per un concerto di musica classica, invece di...»
«Mi hai portata a vedere gli U2», sussurro con un filo di voce, senza distogliere gli occhi dai biglietti, per paura che se smettessi di guardarli potrebbero scomparire.
«Hai sentito cosa ho detto?»
No, in realtà non ho sentito molto o comunque nessun buon motivo per non andare a vedere gli U2. Oddio, sono così emozionata!
«Mi hai portata a vedere gli U2», ripeto, stavolta urlando e saltando dalla gioia. «Potrò vedere Bono Vox dal vivo. Oddio, Marcus, è il regalo più bello che potessi farmi».
Salto di gioia, salto e gli butto le braccia al collo, cadiamo all'indietro e per fortuna c'è il letto a prenderci. Gli finisco addosso, i miei capelli formano delle tende attorno al suo viso. Sono così felice, che non sto nella pelle. E allo stesso tempo emozionata, grata a quest'uomo che mi sta regalando gioie indescrivibili. Vorrei solo che non fosse così spaventato.
«Adesso guardarmi negli occhi e se ci riesci prova a negare una gioia così grande, a una povera ragazza che ha le ore contate». Lo provoco sorridendo. Prova a sfuggire dal mio sguardo, ma gli afferro il viso con le mani e lo costringo a guardarmi. «Potrei innamorarmi di te, lo sai?»
Fissa le mie labbra e bagna le sue. Sento qualcosa muoversi al centro dei nostri corpi e so perfettamente cosa sia. Quando mi stringe i fianchi, mi scappa un gemito e istintivamente mi sfrego contro di lui. Non c'è niente di fisico, o di sessuale, è qualcosa di più vero, che non si conclude dopo aver raggiunto un orgasmo, ma va ben oltre.
Mi abbasso sulla sua bocca, lentamente, per dargli il tempo di spostarsi, ma non lo fa. Siamo così vicini che il suo respiro mi solletica il naso e il battito del suo cuore è così forte che posso sentirlo anch'io.
Lo bacio, copro le sue labbra con le mie. Non è la prima volta che ci baciamo e non lo è in generale, eppure, con lui è sempre un'esperienza nuova.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 29 ⏰

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