Capitolo 13

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Lautaro;

Salgo le scale che portano alla sala relax, cercando con lo sguardo Agustina, ma ritrovo Martina, un'amica di famiglia, che attira subito la mia attenzione.

Aveva Nina tra le braccia, che sembrava confusa ma tranquilla.

«Ehi, Marti, Agus?>» le chiedo.

Lei mi indica la sala relax con un leggero cenno del capo, senza dire una parola,
Annuisco, lasciando un bacio sulla fronte di Nina, che mi sorride dolcemente.

Mi dirigo verso la porta, ma quello che vedo non appena varco la soglia mi colpisce come un pugno allo stomaco.

Lili è terra, accasciata contro il muro.
I suoi capelli sono scompigliati, sparsi attorno al suo viso come un'aureola scura, ma c'è qualcosa di terribilmente sbagliato in quel quadro.
Il sangue le cola dalla bocca, mescolandosi a quello che scende dalla sua fronte in piccole gocce che le attraversano il viso pallido.

Ogni goccia sembra cadere a rallentatore come se il tempo stesso si fosse fermato per osservare quella scena di pura brutalità.

Il sangue contrasta in modo agghiacciante con la sua pelle chiara, macchiandole il viso e il collo, e rendendo ancora più straziante il modo in cui giace li, quasi inerme.
I suoi occhi, semiaperti, sembrano cercare qualcosa, ma sono persi in un dolore che riesco solo a immaginare.

Per un istante, tutto dentro di me si ferma.
Il respiro si blocca, il cuore sembra saltare un battito, e la realtà si deforma in un incubo dal quale non riesco a svegliarmi.

Agustina era lì, sopra di lei, con una mano ancora avvolta tra i suoi capelli.

La rabbia, pura e cieca, mi invade, una fiamma che brucia ogni pensiero razionale. Non posso credere a ciò che vedo, non voglio crederci.

Non la madre dei miei figli.

«Agustina, allontanati immediatamente da lei!» La mia voce esce bassa, quasi un ringhio, carico di una furia che mi era estranea, ma che non riesco a contenere.

Non ci penso nemmeno, mi muovo istintivamente, spingendo Agustina lontana da lei con una forza che non sapevo di avere.
La sua presa sui capelli di Lili si spezza, e la vedo barcollare indietro, sorpresa dalla mia reazione.

«Scusa, amore mio, mi ha proprio fatto male, non lo vedi?... non mi sono controllata ed io...» Inizia a dire, la voce tremante, mentre si avvicina cercando di abbracciarmi, di trovare rifugio nella mia protezione.

«VATTENE.» Le mie parole esplodono nella stanza, un urlo che rimbomba contro le pareti, carico di un dolore che non riesco più a contenere.

Non è solo rabbia; è delusione, è tradimento.
Poggio una mano dietro la testa di Lili, cercando di sostenerla, ma lei non risponde.

«Lili... sono qui, sono io» sussurro, cercando di mantenere la calma per lei.
Lei annuisce debolmente, e quel piccolo gesto mi dà un minimo di speranza, un segnale che è ancora con noi, che non è andata via del tutto.

Con le dita tremanti, le asciugo il sangue che le cola dalla bocca, cercando di lenire il suo dolore in qualche modo, anche se è una misera consolazione di fronte a ciò che ha subito.

In quel momento, la porta si spalanca ed entra Davide, il suo volto era una maschera di terrore e impotenza. Si precipita verso Lili, ma non sa cosa fare, è impacciato, paralizzato dallo shock.

«LILI» La sua voce era spezzata, carica di disperazione.

Mi giro verso Eleonora, la sua fidanzata, che cerca di calmare Mateo, che piange ininterrottamente vedendo sua madre in quelle condizioni.

Agustina, nel frattempo, è in un angolo, stava urlando contro la sicurezza che era appena arrivata, cercando di giustificarsi, di incolpare qualcuno, di trovare un appiglio alla sua follia.

«È STATA LEI.» Grida, indicano Lili, come se ciò potesse in qualche modo giustificare la violenza che ha appena scatenato.

Non posso più sopportarlo.

Mi avvicino a lei, la afferro per il braccio, il mio sguardo dritto nel suo, colmo di una furia che mai avrei immaginato di provare verso di lei.

«VATTENE via da qui,» le sibilo con una voce che è quasi un ringhio. «Sparisci o non ti farò vedere più i nostri figli.»

Le mie parole la colpiscono come uno schiaffo, e vedo il terrore dipingersi sul suo volto. Non c'era più niente da dire. Non c'era più niente da salvare in questo momento.

Lei si allontana, titubante, sconfitta, mentre il caos attorno a noi sembra non fermarsi mai.

«MAMMA… MAMMA!» urla Mateo, la sua voce straziante riecheggia nella stanza.

Lili, distesa a terra, sussurra qualcosa, quasi impercettibile.
«Mat...eo...» Prova a muoversi, ma il suo corpo ferito non le obbedisce.

In pochi minuti, i soccorritori del 118 arrivano, la caricano su una barella con rapidità e precisione. Le sue palpebre si chiudono lentamente, mentre viene portata via.

Io, Davide, Eleonora e Mateo ci precipitiamo dietro di loro, mentre l’ambulanza corre verso l’ospedale.

Il tempo sembra scorrere a rallentatore. Ogni secondo che passa è una tortura.

«Voglio la mamma....» Grida Mateo disperato, Davide prova a calmarlo invano, fino a quando dopo qualche ora, finalmente, si calma, addormentatosi tra le braccia del padre.

Finalmente, un medico si avvicina, il volto professionale ma non privo di umanità.

«La ragazza si riprenderà,» dice, e un peso enorme si solleva dal mio petto.

«Al momento ha solo bisogno di riposare. Ha una frattura al braccio sinistro e le abbiamo dato più di 10 punti in testa, ma sta bene.»

Poi, senza preavviso, Davide si volta verso di me, e la sua rabbia è come un fulmine.

«Tua moglie è una cazzo di assassina,» mi sputa addosso, il tono velenoso, pieno di odio e di dolore.

Mi inchioda con lo sguardo, aspettando una spiegazione, una giustificazione che non so se posso dargli.

«Perché l’ha fatto, eh? Perché?» La sua voce era carica di un rancore che non avevo mai visto in lui.

Prima che possa rispondere, Eleonora interviene.

«Non svegliare Mateo» dice, prendendo con delicatezza il piccolo tra le braccia e allontanandolo da noi due.

Rimango in silenzio per un attimo, le parole che mi stanno per uscire dalla bocca sono un macigno.
Non posso più nascondermi, non dopo tutto questo.

«Perché io e Lili siamo stati a letto insieme, ecco perché mi sono comportato da stronzo.»

Il silenzio che segue è glaciale, un abisso che ci separa.

«Cazzo...» è tutto ciò che riesce a dire, la sua voce incredula.

Il peso della verità lo schiaccia, e so di averlo ferito più di quanto immaginassi.

«Per questo… quella sera al locale…»

Annuisco, incapace di dire altro. Le parole si sono esaurite, e ciò che rimane è solo il vuoto.

«Mi dispiace,» riesco a dire, ma so che non sarà mai abbastanza.

Non può cancellare ciò che è successo, né riparare il danno che ho causato.

Davide mi fissa, ma non risponde. Il silenzio tra noi è pesante, carico di tutto ciò che non abbiamo detto, di tutto ciò che è andato storto.

«Non preoccuparti, adesso dobbiamo pensare solo a Lili.»

Ed era vero.

Spazio Autrice
Salve cari lettori e care lettrici, spero che questa storia vi stia piacendo tanto quanto piace a me.
Dopo un periodo in cui non ho avuto tanta ispirazione,eccomi!

𝐒𝐜𝐢𝐯𝐨𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨; 𝐋𝐌Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora