Capitolo 14

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Lautaro:

Le notti in ospedale erano infinite, un susseguirsi di ore che si accavallavano senza mai portare un vero sollievo.

Era come essere intrappolato in un limbo di attesa e incertezza, con la consapevolezza che ogni minuto trascorso in quella stanza fredda portava con sé una nuova ondata di ansia e paura.

Da tre giorni non riuscivo a dormire.
La stanchezza mi annebbiava la mente, ma era la tristezza a pesarmi addosso come un macigno.

Javier, era arrivato di corsa quella sera, accompagnato dalla moglie.
Mi ero preso un momento per parlargli, per raccontargli tutto.
Non avevo nascosto nulla, la verità nuda e cruda, e lui aveva ascoltato, senza interrompermi, senza giudicarmi.

Aveva capito, accettato le mie parole con una compostezza che solo un padre può avere, anche quando il cuore gli si spezza dentro.

Era il quarto giorno in ospedale, e Lili non si era ancora svegliata. I dottori la monitoravano costantemente, le loro espressioni professionali cercavano di nascondere l'apprensione.

«I colpi alla testa sono stati troppo forti»

Ci aveva spiegato il medico, cercando di rassicurarci che, nonostante tutto, le sue condizioni stavano migliorando. Ma ogni giorno che passava senza che Lili aprisse gli occhi era una coltellata al cuore.

Mateo trascorreva le sue giornate con Davide, cercando di mantenersi occupato.
Disegnava, riempiendo fogli su fogli di immagini colorate che raccontavano il suo mondo, un mondo in cui la sua mamma era ancora lì, con lui.

Aveva creato un vero e proprio album per lei, un dono che voleva farle appena si fosse svegliata.

Quel pomeriggio, guardavo Mateo disegnare l'ennesima figura.

«E questo qui chi è?» Indico il personaggio che stava completando con cura.

Mateo alza gli occhi e mi sorrise dolcemente.

«Onno,» risponde con la sua voce innocente.

«Il nonno?» ripeto, e lui annuisce continuando a colorare con dedizione.

Il mio cuore si stringeva sempre di più, vedendo con quanta semplicità il piccolo cercava di mantenere un senso di normalità in mezzo a quel caos.

Poi, come se il peso della situazione gli fosse improvvisamente caduto addosso, Mateo sospira e abbassa il pennarello.

«Mi manca mamma…» dice, la sua voce flebile era carica di malinconia.

Sentivo il nodo in gola stringersi ancora di più.
Stavo per fare qualcosa di cui sapevo che non avrei dovuto, ma il bisogno di confortarlo era troppo forte.

«Ti fidi di me se ti porto in un posto?» gli chiedo.
Mateo annuisce, e allarga le braccia verso di me.
Lo prendo in braccio e, con un gesto furtivo, lo porto nella stanza di Lili, senza che nessuno se ne accorga.

Appena varcata la soglia, il mio cuore perde un battito.

Lili era lì, distesa e immobile, il braccio sinistro ingessato, la testa avvolta in bende che coprivano le ferite profonde, il viso pallido e segnato, con il labbro spaccato in modo doloroso da vedere.
Era una visione straziante, e non potevo credere che tutto questo fosse successo per mano della donna che per anni avevo chiamato moglie, la madre dei miei figli.

Mateo rimane fermo, i suoi occhi grandi e pieni di confusione fissavano la madre.

«Mami...» sussurra.
Mi avvicino al letto e mi siedo sulla poltrona accanto a lei, tenendo Mateo stretto a me.

«La mamma ha avuto un piccolo problema, ma vedrai che si riprenderà,» dico, cercando di infondergli speranza.

«Guarda quanto è bella.» nonostante le mie parole sincere e rassicuranti, Mateo si accolla contro di me, cercando un rifugio sicuro.

Dopo un attimo di silenzio, solleva lo sguardo.

«Voglio... bacio a lei io...» dice con determinazione.

Nonostante il dolore che provavo nel vederlo così, non potevo negargli quel desiderio.

Mi alzo lentamente e lo avvicino a Lili. Mateo si china e le stampa un bacio sulla guancia, poi un altro sulle labbra.

«Super mamma...» sussurra con una dolcezza disarmante.

«Glielo vuoi lasciare un disegno?» gli chiedo, e lui annuisce, prendendo il suo album e scegliendo con cura un foglio da lasciare sul comodino accanto al letto.

Proprio in quel momento, mentre stavo sistemando il disegno, una voce che non mi aspettavo di sentire ruppe il silenzio

«Sicuramente sarà bellissimo...» Era Lili.

La sua voce era debole, quasi un sussurro, ma era bastato a riempire la stanza di una speranza che credevo perduta.

«MAMMA!» esclama Mateo, il suo viso si era illuminato di gioia.

Lili sorride, senza riuscire ancora ad aprire del tutto gli occhi.
Mateo prende la sua mano e la stringe con forza, come se volesse assicurarsi che fosse davvero lì con lui.

«Amore mio...» sussurra Lili, accarezzando con dolcezza il piccolo palmo del figlio.

Era un momento di tenerezza pura, un attimo che sembrava congelare il tempo e cancellare, anche solo per un istante, tutto il dolore e la paura.

Capendo che era il momento di lasciare madre e figlio da soli, indico a Mateo che dovevo uscire. Lui annuisce, salutandomi con un sorriso.

Mi precipito nel corridoio, il cuore che batteva all’impazzata.

Davide e la famiglia di Lili erano lì, in attesa.

«Si è svegliata... è con Mateo,» dico, e Davide inizia a correre immediatamente dentro la stanza, mentre io rimango indietro, fermo sul posto.

Non potevo entrare.
Non potevo essere la prima persona che Lili vedesse al suo risveglio.
Non dopo tutto quello che era successo.
Io ero la causa del suo dolore, il motivo per cui si trovava in quel letto.

𝐒𝐜𝐢𝐯𝐨𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨; 𝐋𝐌Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora