𝐈𝐈𝐈

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Il vento mi colpì appena scesi dall'auto, tagliente come una lama di ghiaccio che affonda nella carne. Mi strinsi nel cappotto, ma il freddo sembrava penetrare più in profondità di quanto potessi sopportare. Il fiume era lì, davanti a me, ma non era lo stesso fiume in lutto della notte precedente. Le onde, solitamente tranquille, lambivano la riva con una certa insistenza, come dita invisibili che cercavano di raggiungere chiunque fosse lì per osservare, quasi come se si stesse dimenando sotto il peso di segreti troppo a lungo nascosti.

I miei passi risuonavano deboli sul terreno fangoso, schiacciando la terra umida sotto i piedi. L'odore dell'acqua mescolato alla terra bagnata mi nauseava, ma era lo spettacolo davanti a me a rendere il respiro ancora più pesante.
Gli agenti erano già lì, figure scure immobili come ombre, chine su un corpo avvolto avvolto da un telo bianco. Non avevo bisogno di vedere il volto della vittima per sapere cosa fosse accaduto. Lo sentivo nell'aria. La scena era simile a quella precedente, troppo simile per essere una coincidenza.

Mi fermai a pochi metri dal telo bianco. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quell'oggetto che copriva un corpo ormai senza vita, una vita che sembrava dissolta nell'indifferenza di quella notte gelida. Stavo per fare un altro passo avanti, quando lo vidi.

Il dottore era fermo accanto al corpo, con quel solito sorriso che sembrava inchiodato sul volto. Nessuno sorride così in una scena del genere, nessuno, tranne lui. Quel sorriso mi diede la nausea, come sempre. Come poteva sorridere in una situazione del genere? Come poteva guardare un altro corpo senza vita e trattarlo con così tanta leggerezza? La mia mascella si serrò, i denti quasi a scricchiolare sotto la pressione. Non avevo ancora capito se quel suo atteggiamento fosse solo una maschera o se davvero non provasse nulla.

Mentre mi avvicinavo a lui, i miei occhi si soffermarono per un attimo sulla cartella che teneva stretta sotto il braccio. Probabilmente erano i rapporti sulla vittima precedente. Un altro fantasma senza nome, uno dei tanti che nessuno si sarebbe mai preoccupato di piangere. Mi faceva rabbia solo pensarci. Il suo sorriso si allargò appena quando i nostri sguardi si incrociarono. Era un segno di saluto o una provocazione? Fosse stato per me, gli avrei tolto quel ghigno dal viso in un batter d'occhio.

Si avvicinò con passo lento, mantenendo quel sorriso irritante sulle labbra. Quando fu abbastanza vicino, sollevò la cartella e la porse verso di me, con la stessa aria di chi offre un dono prezioso. Io la presi senza dire una parola, sentendo il peso non solo della carta tra le mani, ma anche di quello che significava.

"Penso che troverà interessanti queste informazioni." Disse, il tono quasi troppo compiaciuto per l'occasione. Io strinsi le labbra, senza dire una parola, e afferrai la cartella, sfogliandola con movimenti bruschi. I dati della vittima scorrevano sotto i miei occhi, ma furono poche righe a fermare la mia attenzione. "Una senzatetto." Mormorai, leggendo il profilo. L'immagine di quella povera ragazza, piegata dalle strade, dalla vita, bruciava nella mia mente più forte di quanto il fiume stesse bruciando quella notte. Le mani mi tremarono per un istante, ma cercai di nasconderlo.

"Esatto." La voce di Orter tagliò l'aria come una lama affilata. "Proprio come avevo dedotto fin da subito." Si prese una pausa, aspettando che le sue parole mi colpissero come desiderava. Poi continuò, con lo stesso tono fastidiosamente compiaciuto: "Nessun legame sociale, nessuna famiglia che la cercherà. Solo un'altra voce spenta, di cui nessuno si preoccuperà più." Il suo sorriso si allargò leggermente mentre incrociava le braccia al petto, come se stesse godendo di un trionfo personale.

Strinsi la cartella tra le mani, sentendo il rumore della carta che si piegava sotto la pressione delle dita. Le nocche mi si sbiancarono, la rabbia saliva in gola. Poi, senza alzare gli occhi, chiesi: "E la vittima di stasera? Anche lei... una senzatetto?"

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