3. Com'è piccolo il mondo

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Si percepiva un entusiasmo particolare quella sera allo stadio

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Si percepiva un entusiasmo particolare quella sera allo stadio. Zlatan sedeva in tribuna, tra il proprietario del Milan Gerry Cardinale e l'amministratore delegato Giorgio Furlani. C'era stata una conferenza stampa poco prima, durante la quale lui era stato presentato come Senior Advisor della proprietà, una figura di raccordo tra la dirigenza e la proprietà. Era una figura inusuale nel calcio italiano, molti non avevano ben capito cosa avrebbe fatto nel concreto e in conferenza gli avevano fatto moltissime domande, alcune che volevano sembrare un mero fantoccio, messo lì solo per calmare il tifo che non aveva ancora digerito l'uscita di scena di Maldini.

In effetti il pubblico milanista lo aveva accolto con grande calore, come sempre. Zlatan aveva un legame speciale con quel club. Respirò a pieni polmoni quell'entusiasmo. Pensava a quanta strada aveva fatto per arrivare fin lì. A quando era piccolo e non aveva nemmeno i soldi per comprarsi un paio di jeans nuovi e adesso sedeva tra gente influente col suo doppiopetto elegante Brunello Cucinelli. Si sentì fiero di se stesso, della sua tenacia e del suo carattere testardo. Se non fosse stato così arrogante e competitivo probabilmente non avrebbe fatto la carriera che aveva fatto. Probabilmente non sarebbe arrivato nemmeno a giocare tra i professionisti.

Alla fine del primo tempo si alzò in piedi per andare negli spogliatoi a parlare con la squadra. C'erano state dei cali di concentrazione che non gli erano piaciuti e voleva far valere subito il suo nuovo ruolo. Si spostò in fretta sulle scale, prima di venire accerchiato dalle persone che gli chiedevano una foto. Salì i gradini a testa bassa, mormorando un "ciao" ogni volta che sentiva chiamare il suo nome. Arrivò in cima e stava per infilarsi nel corridoio che lo avrebbe portato nella pancia dello stadio quando la vide.

Amara. Stava in piedi accanto alla porta di uno degli sky box che costeggiavano tutto il primo anello rosso. E stava guardando verso di lui. Gli sorrise e alzò una mano per salutarlo.

Zlatan ricambiò il saluto e continuò per la sua strada. Un sorriso gli affiorò sulle labbra. L'aveva vista di sfuggita ma era più che sicuro che indossasse un giubbotto da motociclista. Era venuta allo stadio in sella alla sua Ducati Panigale? Con quella gonna corta che le si sarebbe alzata alla prima accelerata? L'immagine non gli dispiacque per niente, ma se la scrollò rapidamente di dosso quando si rese conto che era entrato nello spogliatoio da qualche minuto con quel sorriso ebete e tutta la squadra si era fermata a guardarlo.

Si schiarì la gola, indurì lo sguardo ed esclamò: «Non ci siamo proprio. Mi sembrate una massa di rammolliti. I bambini dell'asilo saprebbero fare meglio di voi. Datevi una svegliata.»

Girò sui tacchi e uscì, sbattendo la porta per dare più enfasi a quello che aveva detto. Che non era neanche l'ombra del discorso che avrebbe voluto fare alla squadra, ma il suo cervello sembrava aver resettato tutto.

Si trattenne qualche minuto nei corridoi con gli altri dirigenti, poi salì alle tribune e la prima cosa che fece fu cercare Amara con lo sguardo. Non la vide. Probabilmente era nello sky box a mangiare qualcosa. Probabilmente era insieme al suo ragazzo, Ivanov.

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