Parte 2 - L'incontro

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Eleonora

Oggi finalmente è il grande giorno! Nonostante abbia fatto credere a tutti che la cosa mi è completamente indifferente, in realtà sono un po' emozionata all'idea che un campione del genere venga a far visita ai "miei" pazienti.
Un evento di questa portata ha sicuramente richiesto molto impegno per quanto riguarda i permessi, l'organizzazione e la sicurezza, ma alla fine il sorriso dei bambini ripagherà tutti i nostri sforzi.
Sono giorni che parlo con la dirigenza, che firmo autorizzazioni e sposto i turni degli infermieri, ma sono sicura che ne varrà la pena.

Il mio turno inizia verso mezzogiorno, ho circa tre ore prima che si scateni l'apoteosi. Mi chiudo nel mio studio per compilare qualche modulo e sistemare qualche cartella clinica, poi dopo pranzo scendo in reparto per un rapido giro visite.
Tutti i bambini sono euforici: non vedono l'ora che arrivi Dybala.
I genitori faticano a farli rimanere a letto, tutti sono entusiasti e vorrebbero correre nella sala adibita per accaparrarsi i posti migliori.
Alcuni indossano una maglia giallorossa, altri hanno con loro un pallone, una sciarpa, un cappellino, un album delle figurine o qualsiasi cosa possa essere oggetto di un autografo.
"Io sono della Lazio, ma posso andare a vederlo lo stesso?" mi chiede dolcemente una bimba con le trecce bionde. "Certo, ma attenta a non farti scoprire!" le rispondo divertita trattenendo una risata.

Continuo il giro visite e finalmente entro nella stanza di Tommaso convinta di trovarlo tutto eccitato come gli altri, invece con stupore noto che se ne sta tranquillo sotto le coperte.
Strano, molto strano.

"Come va?" chiedo sottovoce a sua madre Giorgia.
"Stamattina era un po' strano, ma credo dipenda dall'emozione. Ha mangiato poco e niente e dopo pranzo si è addormentato" mi spiega lei accarezzandogli delicatamente i capelli scuri.
Gli sfioro la fronte: è molto calda, non è un buon segno.
Prendo il termometro e aspetto qualche istante prima che lo strumento mi riveli l'esito che temevo.
"Trentotto e sei, vi mando subito qualcuno per provare ad abbassare un po' la febbre" affermo mentre il piccolo apre gli occhi per scrutarmi da sotto le coperte.
"Io devo andare ad incontrare Dybala!" sussurra con un filo di voce provando a mettersi seduto, ma fallendo a causa della spossatezza.
"Mi dispiace piccolo, ma proprio non si può" spiego cercando le parole giuste per spiegargli che il suo sogno non si potrà realizzare.
"Vedrai che ci sarà un'altra occasione" Giorgia prova a venire in mio aiuto. "Bugiarda! Lui non verrà più e io non lo potrò mai vedere perché non lascerò mai questo maledetto ospedale!" urla queste parole con una rabbia e una disperazione tali da farmi stringere il cuore in una morsa e formarmi un nodo alla gola difficile da mandare giù.
Vorrei ribattere, ma qualsiasi obiezione sarebbe inutile.
La sua consapevolezza di non essere un bambino come tutti gli altri mi distrugge. Non ha senso provare a consolarlo perché ha ragione: questa è la sua unica occasione di vedere il suo campione dal vivo perché, a meno che non migliori improvvisamente, la sua malattia non gli permetterà mai di andare allo stadio come tutti.
"Mi dispiace Tommy" cerco di contenermi mentre lui piange disperato.
"Cercherò di fare il possibile per farlo venire un'altra volta, te lo prometto" di fronte a queste parole il bambino alza la testa e mi lancia uno sguardo colmo di speranza e lacrime.
"Se non ci riuscirai andrà bene lo stesso, sono abituato alle brutte notizie" sembra di sentir parlare un adulto. La sua voce è priva di quella spensieratezza tipica dei suoi coetanei, è rassegnata.
Lo saluto con il cuore spezzato e mi dirigo verso la sala principale.
L'atmosfera è gioiosa, ma io non riesco a godermela perché non faccio altro che pensare ai suoi occhioni tristi e al suo sogno infranto.
Perché gli ho fatto una promessa del genere sapendo che non riuscirò mai a mantenerla? Davvero posso pensare di riuscire a convincere un calciatore così famoso a perdere un'altra giornata solamente per far felice un solo bambino? Illusa.

Paulo

Arrivo in ospedale per le tre e quaranta, con più di mezz'ora di ritardo. Mi detesto per questo, ma non è colpa mia se l'allenamento è durato più del previsto e se in questa città c'è traffico a qualsiasi ora.
Vorrei scusarmi con gli organizzatori, ma a loro non sembra interessare. Sono tutti troppo euforici per far caso al tempo trascorso.
Mi guidano lungo corridoi dalle pareti azzurre decorati con disegni e frasi motivazionali che dovrebbero rendere questo ambiente meno triste, ma che a mio avviso producono l'effetto opposto.
Quando entro nella sala un coro di stupore e gioia si solleva e decine e decine di occhi si puntano sulla mia persona accompagnati da sorrisi e applausi entusiasti.
Qualche foto, qualche autografo, nulla di nuovo per un calciatore.
Poi qualcuno tira fuori un pallone e comincio a dare spettacolo palleggiando un po'.
I bambini sono felici e io lo sono a mia volta nel vederli così.
È bello fare del bene, è bello sapere di aver migliorato la giornata a qualcuno solo con la tua presenza, ma soprattutto è bello poter regalare un sorriso ai meno fortunati.
Passa qualche ora, poi un signore con un camice azzurro invita tutti a lasciare la stanza perché è ora di cena. Dopo un'ultima foto di gruppo e qualche altra "Dybala mask", piano piano i bambini tornano nelle proprie stanze e anch'io mi preparo per andare.
"Paulo, se puoi aspettare un attimo la dottoressa Mariani vorrebbe parlarti" mi chiede il direttore dell'ospedale presentandomi alla donna che lo segue.
Sembra giovanissima per ricoprire già quel ruolo. Ha i capelli neri che le ricadono ricci al di sopra delle spalle, un sorriso che le lascia una piccola fossetta sulla guancia destra e due occhi azzurri come il ghiaccio.
Non mi capita spesso, ma c'è qualcosa in lei che mi colpisce fin da subito.
"Piacere, Eleonora Mariani, dottoressa del reparto pediatria" le stringo la mano, morbida e perfettamente curata.
"Paulo, Dybala" rispondo cercando di rimanere concentrato esclusivamente sulla nostra conversazione.
"Paulo non c'è tempo, dobbiamo andare" quel guastafeste del mio agente si intromette per provare a portarmi via di lì blaterando a proposito di una qualche riunione di cui non mi interessa affatto.
"Ci vorrà solo un minuto" la dottoressa prova a convincerlo, ma lui sembra irremovibile.
"Mi dispiace dottoressa, ma dobbiamo proprio andare" prova a liquidarla in fretta facendo sfiorire il sorriso sul suo volto.
Devo fare qualcosa, non posso perdere questa occasione.
"Che cosa mi voleva chiedere?" le domando a bruciapelo invitandola a seguirmi in ascensore verso l'uscita. "È a proposito di un bambino che non è potuto essere qui, ma che desidera incontrarla più di ogni altra cosa" mi spiega.
È strano che qualcuno mi dia del lei.
Sono abituato a tifosi che mi trattano come un amico chiamandomi per nome e comportandosi come se ci conoscessimo da sempre, ma mai nessuno mi aveva dato del lei.
"Mi dispiace dottoressa, ma Paulo è molto impegnato e non c'è possibilità di organizzare un altro incontro. Al massimo possiamo mandare a questo bambino una maglia autografata o un video saluto e ora ci scusi, ma dobbiamo proprio andare" Juan interviene di nuovo con un atteggiamento a dir poco scortese.
Quando fa così non lo sopporto.
"Mi scusi per il mio agente, evidentemente non conosce le buone maniere" provo a giustificarlo mentre lui esce dall'ascensore.
"Non si preoccupi, ho sbagliato io a chiedere..." abbassa lo sguardo imbarazzata.
"Invece mi farebbe piacere far felice questo bambino" affermo con decisione e il suo volto viene nuovamente illuminato da quel sorriso stupendo che tanto mi aveva colpito poco prima.
"La contatto io, così ci possiamo accordare sulle modalità dell'incontro. Ora vado, sennò quello chi lo sente" ad entrambi sfugge una risata divertita.
"Arrivederci dottoressa" la saluto sperando di rivederla presto.

Non sarai mai sola ~Paulo Dybala ❤️🧡💎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora