Capitolo 1 - Il giorno dei tributi

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Fellghorn era un piccolo villaggio al centro della penisola meridionale del continente, quella più povera e più lontana dalle rotte commerciali dell'entroterra. Radunmah aveva sempre vissuto a Fellghorn, aveva sempre visto solo le sue baracche, i suoi campi e i suoi boschi: non gli era permesso andare oltre. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori ma gli altri feralni del villaggio erano la sua famiglia: Osvoland lo faceva sempre ridere ed erano inseparabili da quando erano bambini, Inia lo aveva sempre rammendato quando si feriva nel bosco o quando litigava con Tecton, Praica lo aveva cresciuto come un vero genitore dovrebbe fare.

Era arrivato quel giorno dell'anno in cui bisognava pagare i tributi all'impero e i braccianti si stavano radunando al vecchio mulino per controllare che tutto fosse pronto.
<<Aton! Guarda dove cammini, stavi per inciampare su quel sacco di grano.>> tuonò Praica <<Tecton! Aiutalo a spostare le casse accanto alla finestra e i sacchi nell'angolo. Inia! Vai a cercare Osvoland e Radunmah, il carro sarà qui a breve.>>
<<Quei due spariscono sempre quando servono.>> pensò Inia mentre annuiva, poi corse fuori e si diresse al campo di grano vicino all'ultimo boschetto sul confine del villaggio.

Li conosceva bene e infatti trovò i due a bighellonare: stavano giocando a duellare usando le zappe come spade e i secchi come scudi.
<<Praica è furiosa, andiamo! Giocherete più tardi.>> disse Inia tirando scherzosamente i folti ricci di Osvoland.
I giovani feralni amavano rivivere le storie che Inostico raccontava loro, soprattutto le eroiche imprese del valoroso Rickard, ma i due dovettero deporre le armi e seguire Inia al mulino perché a nessuno piaceva venire sgridato da Praica.
<<Rimettete quelle zappe al loro posto e controllate che le casse contengano esattamente quattro sacchi ciascuna!>> ordinò Praica <<Trenta casse quest'anno, dobbiamo rifarci per l'ultimo raccolto...>>

I braccianti finirono in tempo, nonostante tutto. Quando il sole raggiunse il punto più alto del cielo, anche il carro dalla capitale arrivò a Fellghorn, trainato da due sturobuoi, i più grandi e possenti che Radunmah avesse mai visto. Fu quasi tentato di accarezzarli ma si congelò appena il suo sguardo incrociò quello del cocchiere: un urucinto alto e muscoloso, con un grande elmo in testa, una corazza scintillante e un'enorme ascia bipenne dietro la schiena.
<<Sono Portus di Krantopia, vice-capitano dei beuluk-yenizzeri.>> si presentò il soldato <<Caricate i tributi!>>
Così i feralni obbedirono, raccolsero le casse da terra e le impilarono sul retro del carro, le legarono con delle funi e le coprirono con due teli per ripararle dalle intemperie: sarebbe stato un viaggio lungo.

I giovani braccianti erano ormai abituati al duro lavoro, a mangiare solo una scodella di zuppa al giorno, a bere solo una ciotola d'acqua al mattino e una alla sera, ma quella fu la prima volta che gli veniva concesso di partecipare alla consegna dei tributi. Gli adulti che se ne occupavano prima non c'erano più e toccava a loro sostituirli. Fu anche la prima volta che videro un urucinto dal vivo: così diverso dai feralni, diverso persino dal cerusico e molto più spaventoso di come Inostico descriveva la razza dei soldati. Era alto e massiccio (evidentemente gli era permesso mangiare a sazietà), le sue mani e le sue zanne sembravano quelle di un mostro pronto a ghermirti e divorarti. E poi il disprezzo nei suoi occhi neri e freddi, un disprezzo indescrivibile a cui i ragazzi non potevano attribuire una ragione. Conoscevano così poco del mondo. Lo avevano solo immaginato. Come passavano il tempo le persone del continente? In quali avventure si stavano immergendo? Come erano fatte le città? E le mura? E i castelli? I feralni amavano perdersi guardando verso l'orizzonte e sognare a occhi aperti, inventare le vite che altri stavano vivendo oltre quei campi, oltre quei boschi e quelle montagne che vedevano così lontane.

Anche quell'anno era finito. Quelle consegne di tributi erano l'unico evento degno di nota nel piccolo villaggio di Fellghorn e i giovani feralni lo avevano atteso con eccitazione: anche solo la paura di guardare negli occhi un beuluk o sentire il muggito di uno sturobuo sarebbero bastati a distoglierli dalla quotidiana noia, dalla ripetitiva fatica, dalla tranquillità di quella campagna soleggiata e solitaria. Quando non si seminava, si girava la ruota del mulino. Quando non si girava la ruota del mulino, si mieteva il grano. Quando non si mieteva il grano, si faceva scorta di legna. Ma vivere quell'esperienza di persona era tutt'altra cosa rispetto ai racconti di Praica, la feralnia più anziana rimasta al villaggio che aveva consegnato decine e forse centinaia di casse. I ragazzi non avrebbero mai dimenticato quel giorno... e non solo per un nuovo tipo di fatica o un nuovo senso di terrore e insicurezza.

Aradun - la Marcia dei Senza NomeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora