"Load the cannons, raise the flag,
And take hold of your heart!
A proper man of courage
Does not flee before the start!
Do not fear when death is near,
When doom is night at hand.
Your end marks the beginning of a life in fairer lands!"The Pirate Shanty, Worldwide Adventurers.
Alla fine del mare, dove il sole esplode
La morte non dovrebbe essere complessa, e neanche trascinare con sé il dolore. La sofferenza, quella, dovrebbe appartenere alla vita. Alla possibilità di sentire il proprio corpo, di comprenderlo, di afferrarne ogni sensazione e di lasciarla imprimere nella memoria, per essere più pronti, più svelti la prossima volta - perché la vita è un susseguirsi di opportunità, di nuove occasioni e di speranze.
Dalla morte, invece, non dovrebbe esserci alcuna lezione da imparare, e quindi alcun dolore.
Eppure...
Morire fa male.
Morire è una lama che penetra nella carne morbida, lacerando e sfregiando, bruciando fino a desiderare di gridare al cielo e riflettere la propria disperazione nelle stelle; è sangue fra le labbra, amaro e ferroso, tanto lontano dalla morbidezza di un bacio, eppure altrettanto caldo e pieno; morire è sentire tutto il peso del proprio corpo, e non riuscire più a sostenerlo.
Potrebbe tentare di aggrapparsi a qualcosa, a qualunque cosa, pur di restare in piedi, pur di avere l'illusione di star afferrando un ultimo respiro.
Eppure, morire è proprio soffocare.
Percepire l'aria che fugge, sottile e impalpabile, senza più alcun ritorno, persa e sospesa nella realtà che si adombra.
Infine, morire è anche la consapevolezza che tutto stia sparendo; che sei stato troppo lento, troppo sciocco, troppo imprudente.
Morire è la certezza assoluta che hai avuto troppo poco tempo e fatto meno della metà di ciò che avresti potuto; e sentire, nei pochi battiti che restano, quanto sia ingiustamente tardi.
*Mio piccolo James. Finalmente, sei tornato dove avresti dovuto essere.
Bambino insolente. Uomo testardo.*
Non è la prima volta che sente quella voce.
Anni prima, un bisbiglio più dolce lo aveva cullato nelle acque dei Caraibi, dove il mare era calmo e disteso, e il solo caos era la battaglia che imperversava oltre lo specchio d'acqua sempre più lontano e al di sopra delle onde.
A sei anni è troppo presto per andarsene.
A sei anni hai il mondo da scoprire, la vita che si distende, misteriosa e affascinante, su un sentiero ancora buio ed incerto.
Ricorda di aver gridato.
Di aver aperto le labbra e sentito i polmoni riempirsi d'acqua.
*Vieni qui, piccolo mio. Abbracciami.*
Ma James ha continuato a scalciare, a tentare di risalire verso il suono dei cannoni e le grida ovattate, piuttosto che inoltrarsi nella pace e nel buio dell'abisso.
C'era la voce di suo padre, da qualche parte, a tuonare ordini.
Doveva soltanto seguirla.
Obbedire.
"Devi essere coraggioso, figlio. Là fuori ci sono uomini selvaggi che vogliono distruggere il tuo intero modo di vivere la vita. Sono pirati incivili, pagani, ladri, schifosi, e quando io me ne sarò andato, sarai tu che porterai la bandiera della civiltà e dell'ordine, e aiuterai la Corona e i nostri alleati della Compagnia delle Indie Orientali a sradicare la loro melma dai sette mari."
L'Ammiraglio Lawrence Norrington era stato un uomo ligio al proprio dovere verso la Gran Bretagna e la Marina - e decisamente meno devoto nello stringere un più profondo legame col proprio unico figlio, qualcosa che andasse oltre al sangue o alla rigida educazione da impartirgli per un glorioso futuro militare.
Aveva portato il piccolo James con sé in una spedizione che sarebbe stata esemplare, il tipo di missione che avrebbe impresso il nome dell'uomo nella storia della Marina Britannica, però le cose non erano andate come previsto - e raramente l'essere umano ha il controllo su ciò che il destino ha in serbo per loro.
James non riesce proprio a ricordare il nome del pirata che suo padre stava tentando di catturare.
Lo sente rotolare sulla punta della lingua e lì fermarsi, un pensiero e un viso nebulosi che scompaiono appena prima che riesca a definirli.
È passato tanto tempo - o meglio, troppo tempo per la memoria, ma decisamente molto poco in proporzione ad una vita davvero ben vissuta.
Tuttavia, c'è qualcosa che non è mai riuscito davvero a cancellare dal proprio cuore, un macigno lì rimasto e sepolto poi da tanti altri, a tumulare quel ricordo e a nasconderlo alla memoria.
"Avrei preferito che mio figlio annegasse, feccia! Piuttosto che vederlo salvato da te, Tea..!"
... qual era il nome del pirata..?
Le parole di suo padre si fanno sempre confuse sul finire di quella frase velenosa e atroce - una stilettata nel cuore che il tempo ha trasformato in un dolore sordo e costante.
James ricorda di aver sputato acqua e bile, di aver sentito la gola e gli occhi bruciare, e di aver portato con sé nelle orecchie per interi giorni e intere notti le grida strazianti e furiose di una donna che non aveva smesso di chiamarlo.
Era nel vento e nello sciabordio delle onde.
Era nel garrito dei gabbiani e nei tuoni all'orizzonte.
Sa di aver pianto per tanto tempo, nascosto sotto le lenzuola, e poi di non aver mostrato neanche il segno di una lacrima, quando il genitore, giorni dopo, venne ad accertarsi delle sue condizioni.
Avrebbero attraccato di lì a qualche ora, e solo in quel momento James formulò l'idea, all'epoca ancora embrione di un pensiero poi maturato negli anni, che la sua vita valesse meno dell'orgoglio di suo padre.
Decise, dunque, di voler diventare proprio quell'orgoglio, di trasformarsi nell'emblema di dignità e fierezza che l'Ammiraglio Lawrence Norrington meritava e rappresentava.
Forse, in quel modo, avrebbe cancellato la macchia di essere sopravvissuto grazie ad un pirata; di essere stato tanto ingordo di vivere da ritrovarsi eternamente in debito con la caricatura di un uomo.
*Avresti dovuto addormentarti sul mio grembo anni fa, sciocco bambino. Non c'è vita in questo corpo. Non c'è altro destino, se non la morte.*
A Tripoli ha riascoltato quella voce, rincorrendo la Perla Nera e Sparrow nel cuore del Mediterraneo, attraverso la tempesta e spingendo la Dauntless ad un inseguimento disperato - ed inutile. C'era stata una risata sommessa ad accompagnare i suoi ordini e poi le grida degli uomini, e mentre la nave affondava, così cadeva ogni suo onore - l'onore di suo padre.
Sotto le onde, le cime e le vele fluttuanti come spiriti senza pace sono state le ultime tracce concrete di una gloria che annegava con lui, detriti inutili di un titolo perso nella furia del mare.
*Lasciati andare. Ti prenderò tra le mie braccia, e sarai finalmente amato. Sei stato un bambino disobbediente e un uomo cocciuto. Resta con me. Avrai il mio bacio, il solo che tu abbia mai desiderato.*
A cosa sarebbe servito combattete per sopravvivere, quando così tanti erano morti a causa di una sua decisione arrogante e precipitosa?
James era pronto a cadere in quelle quelle braccia tese.
Aveva smesso di scalciare per risalire a galla, però c'era un ragazzino che cadeva con lui negli abissi.
Lo aveva riconosciuto.
Thomas Bailes.
Addetto alla cucina, dodici anni. Il più giovane tra i mezzi marinai, gli aspiranti ufficiali di Marina.
Gli bastò guardarlo per prendere una decisione differente, e spingersi verso il giovane attraverso i detriti del naufragio.
Una vita senza onore, pur di salvare quella di un ragazzo che non meritava di annegare: era uno scambio, quello, che James scelse di accettare come equo.
Le grida della donna tornarono ad esplodere, lontane, riverberando attraverso ogni suo senso, eppure si curò solo di afferrare il ragazzino e portarlo al sicuro.
Quando arrivò a nuoto sulle spiagge di Tripoli, però, non ne emerse come un bambino pronto a mettersi al servizio della Marina, dell'onore di suo padre e del mare.
Era un uomo con le mani traboccanti di morte e di vite spezzate; non adatto al comando, al titolo per cui aveva tanto faticato in gioventù.
Si ritrovò ad essere solo un altro scarto di Tortuga; e ritenne che forse dormire con i maiali fosse quanto più si addicesse ad un animale senza dignità come lui.
James è allo stesso punto di non ritorno.
Ha uno squarcio nel torace, e il suo corpo scivola giù.
Ha aiutato Elizabeth, e questa consapevolezza lo rassicura.
Però sta annegando, di nuovo; e ora non c'è più alcuna dolcezza affettata nella voce che invoca il suo nome.
*Uomo arrogante, anima indegna. Sei mio.*
Non capisce come sia finito lì.
Ricorda di aver portato Elizabeth e i suoi uomini in salvo, di averla baciata...
Labbra calde, spaccate dalla salsedine.
Labbra tanto desiderate e dolci, che per un breve attimo gli sono appartenute, sono state sue; e nel tremore di quell'inganno fugace, James ha realizzato quanto si fosse illuso di poterla rendere felice.
Sin dal principio, Elizabeth ha sempre trascinato con sé la calma apparente prima della tempesta. Nella sua natura quasi ambivalente di giovane e nobile donna ben educata alla società, James ha notato spesso una fervida scintilla viva e appassionata, quando la navigazione e i pirati divenivano argomento di discussione.
Parlava di avventura e di libertà, e in quei momenti si trasformava in un uragano di emozioni, il viso colmo di un'aspettativa eccitata che James dentro sé sapeva che non avrebbe mai potuto soddisfare.
Le aveva insegnato a leggere le carte nautiche, a conoscere ogni parte di una nave, e tutto ciò che gli restava da offrirle, a quel punto, era il suo cuore.
Però non era abbastanza.
Non per Elizabeth, non per la tempesta, l'altro volto della donna che si illuminava ai resoconti di imprese ai limiti dell'immaginazione umana.
Ma cosa è accaduto, dopo il bacio?
Deve aver detto qualcosa di terribilmente sciocco (o forse lo ha fatto prima..?), e poi... deve essersi distratto, prima di ritrovarsi esposto e colpito da quel tale... Sputafuoco Bill, forse?
Scava nei ricordi degli ultimi momenti, ma il buio e l'incoscienza si stringono attorno alla sua realtà.
Sa di essersi aggrappato al parapetto e di essersi sporto poco oltre, all'avanzare di Jones.
"Sono caduto dalla nave. E se non sarà la ferita al torace ad uccidermi, alla fine lo farà il mare."
Morire è quando tutto si ferma.
Le voci, il mare, le onde, e il rombo del cuore nelle orecchie ormai sorde.
Morire è il nulla, la non esistenza.
È buio ed ombra, l'universo che cade nel silenzio.
E tuttavia, come una furia, il suo mondo si rovescia e si rialza.
Rosso e caldo; e lo ingoia ancora una volta, per intero.
Eco di grida.
Dita sulla pelle, tocchi velati.
Risate rauche.
Sale sulle labbra.
Brucia.
È un dolore che gli resta dentro, pulsa e poi esplode attraverso ogni lembo di carne, fino in fondo alle ossa.
Rosso.
Il sangue che scorre.
Caldo.
Il corpo di cui riprende coscienza.
Fa male.
Ed è attraverso la sofferenza, che James realizza di essere ancora inspiegabilmente vivo.
*Il tuo tempo è contato, bambino. Il tuo tempo è mio.*
Quando apre gli occhi, si ritrova a mettere a fuoco lentamente il soffitto di una cabina sconosciuta.
"Non è la Dauntless." Pensa, prima che i suoi occhi mettano del tutto a fuoco il legno scuro, gonfio e marcio.
"Ovviamente non è la Dauntless. Quello che ne resta è sul fondo del Mediterraneo." Aggiunge tra sé, cercando di tirarsi su a sedere.
Però, c'è una mano che lo spinge giù, di nuovo, su un materasso sottile ad osservare ancora le crepe sulla copertura della cabina di una nave che di certo non è per mare.
Non c'è alcun rollio a cullarlo, e nemmeno percepisce lo sciabordio delle onde contro uno scafo.
Tenta di guardarsi attorno, e realizza che oltre al legno e ad un'accozzaglia caotica di mobili, c'è anche roccia tutt'attorno.
La testa gli gira.
Il torace brucia.
"Bentornato tra noi, Ammiraglio... Commodoro... oppure basta... Signor Norrington?"
James deve contare fino a dieci prima di rispondere, o meglio, prima di trovare parole che non siano solo delle imprecazioni.
Riconosce quella voce, e immagina che questa debba essere di certo la sua punizione all'inferno, perché altrimenti non saprebbe darsi altra spiegazione.
"Tu..."
È tutto quello che riesce a dire, quando muove il viso verso la fonte del suo neonato mal di testa.
Debole.
È evidente che stia ancora male, avrebbe potuto fare di meglio.
"Il solo ed unico!"
Jack Sparrow gli sorride con fare sornione, gli occhi vigili e attenti puntati nei suoi, e gli si accosta pericolosamente al viso.
James cerca di tirarsi indietro e di scansare quell'alito saturo di alcol, però il pirata gli posa una mano sulla fronte con la rapidità che lo contraddistingue, prima di allontanarsi di un passo.
"Be', almeno la febbre è passata."
L'uomo constata a quel punto che non si tratta dell'Inferno: il dolore che prova è reale, la nausea si esaurisce alla bocca del suo stomaco e gli brucia la gola, il sapore ferroso del sangue è ancora intenso fra le labbra, e le dita di Sparrow, infine, sono state fin troppo tiepide e vive sulla pelle - gentili, persino. La cosa lo stranisce.
Non comprende.
Vuole presupporre, comunque, che la sua punizione nell'aldilà non sia così tranquilla, ma avrebbe comunque preferito una realtà meno... umiliante.
Lascia scorrere gli occhi in quella sorta di stanza, e pian piano che riprende a mettere a fuoco ciò che lo circonda, si accorge che si tratta di un cunicolo naturale, e il legno che ha visto appartiene ai frammenti di qualche nave utilizzati come una sorta di isolante.
Si rende conto di essere nudo.
I suoi vestiti sono stati riposti alla meno peggio in un angolo, su una cassa sgangherata.
Pantaloni, stivali, soprabito militare.
La camicia lì abbandonata non è la sua - la sua camicia, nota con un sospiro, è stata utilizzata come garza di emergenza attorno al torace. Preme sullo squarcio che gli pulsa al centro del petto, e gli sembra che il dolore sia solo peggiorato.
Non è un bello spettacolo, a dire il vero: c'è molto sangue ormai scuro e rappreso assorbito dal cotone.
Ritorna a spingersi sui gomiti per mettersi a sedere e stare in una posizione più eretta, e Sparrow sospira fin troppo rumorosamente - quasi gli dà il mal di testa, e se riuscisse a formulare una frase senza il rischio di biascicarla in un gemito, gli direbbe di fare silenzio.
Già, e con quale autorità?
Torna a guardarsi attorno, e si accorge con amarezza che la spada non è tra le sue cose.
Deve averla persa.
"... dove mi trovo, di grazia?"
Ha la voce bassa e cadenzata da respiri profondi e strascicati.
Non va per niente bene.
"Alla Baia dei Relitti, amico mio."
Ah, ecco spiegato il legno marcio e l'umidità.
Cerca di alzarsi, di riprendere il controllo di ciò che lo circonda anche attraverso i gesti più mondani: sposta le lenzuola (che lenzuola non sono, anzi. Le definirebbe più simili ad un patchwork di stracci, ma sono asciutte e non eccessivamente sudice. Se è stato febbricitante, se ha sudato e perso sangue in quella brandina, qualcuno si è curato che fosse almeno tollerabilmente pulito). Poggia i piedi a terra e si alza, puntando gli occhi in quelli di Sparrow, che è rimasto lì a guardarlo come se fosse un intrattenimento insolito ed esilarante.
"Ah, ah, Signor Norrington. Cosa state facendo?"
Deve sforzarsi di non correggerlo. La parola "Ammiraglio", il titolo che non ha più alcun senso e valore, che non gli appartiene più, visto il suo recente ed ennesimo tuffo nella miseria, gli resta amaramente fra le labbra.
Sospira e sceglie di non rispondere, di provare a stipare la domanda di Sparrow in un angolo del proprio subconscio. Può darsi che ignorandolo, ad un certo punto il pirata semplicemente scompaia.
No, James, non funziona esattamente così. Le persone, se non sono deliri e miraggi, non si dileguano nel nulla solo perché ti sforzi di ignorarle.
E di certo non è il caso di Sparrow, fin troppo presente e reale in quel particolare momento, mentre è in piedi e nudo davanti a lui.
Non che ci sia nulla che l'altro, a questo punto, non abbia già visto.
"Sto cercando di rivestirmi e possibilmente trovare un modo per andarmene da questo posto."
Secco, atono.
Le parole scivolano via senza che ci pensi davvero, e si ritrova smarrito dalla sua stessa risposta: insomma, davvero ha iniziato a dare spiegazioni ad un pirata?
In realtà, questo è il male minore, perché, paradossalmente... quello è il posto più sicuro che potesse capitargli.
Il luogo più adatto per respirare, valutare, pesare eventi e conseguenze ed infine scegliere.
Agire.
"Ti dispiace?"
Il suo è un cenno. Un invito a lasciarlo solo. O a voltarsi. Insomma, a fare qualsiasi altra cosa che non sia fissarlo.
Però, Sparrow sorride, ancora.
Gli occhi scuri si fanno appena più vivaci, per pochi istanti, come a gustare un momento di incredibile divertimento.
Fino in fondo, adagio, senza eccessiva fretta di portare a termine un piacevole confronto - piacevole solo per il pirata, beninteso.
"No, affatto. Continua pure."
James trattiene tra i denti l'ennesimo sputo di veleno, quando infine, esasperato, attraversa la distanza che lo separa dai propri abiti.
Se merita anche quell'umiliazione come ennesima punizione, che sia breve, almeno.
Ed indolore.
"Non credo che con quella tu possa andare troppo lontano, comunque."
Ecco, sì, forse non proprio.
Si ritrova ad inciampare nei propri passi dopo aver infilato i calzoni. Si adagia di peso alla cassapanca quando una fitta gli trafigge il torace e lo lascia a gambe tremanti ad annaspare per respirare.
Caldo.
Caldo e una luce rossa ad accecarlo, a baluginare con tanta intensità da confonderlo e disorientarlo.
Schiude le labbra, respira a fondo e poi stringe gli occhi.
"Infatti."
Sparrow lo dice col tono esasperato che si userebbe con un bambino, e James si ritrova inconsciamente ad adagiarsi al braccio che gli porge.
Non può cadere.
Teme che cadere in quel momento significherebbe non alzarsi più - e allora sarebbe stato tutto vano, anche quell'ennesima seconda possibilità strappata al mare e alla morte.
"... come sono arrivato qui?"
C'è una pausa.
Jack lo ha aiutato a far passare le braccia nelle maniche della camicia e non risponde subito.
Fa un gesto ampio con le mani, quasi a voler scacciare la domanda come fosse una mosca fastidiosa, poi arriccia le labbra, seccato.
"Miss Swann." Inizia, tornando a sedere e guardandolo.
James nota nelle iridi di Jack una sfera di emozioni tanto mutevoli e numerose da trovare difficile afferrarne anche solo una.
Lo spettro di ciò che potrebbe apparire come preoccupazione sfuma troppo in fretta in un sogghigno divertito, e poi l'ombra di quel sorriso si sospende in una calma apparente e disinteressata.
Questa imprevedibilità lo disturba.
Non riesce a controllarlo, non gli lascia alcun potere e margine di azione e reazione.
Dannato pirata.
"Pare ti abbia recuperato dopo che l'hai fatta fuggire dall'Olandese Volante. Sei caduto in acqua con quel simpatico buco nel petto. Un disastro. Ti hanno fasciato alla meno peggio (più peggio, se posso permettermi di osservare) sulla sua Empress e poi ti hanno portato qui. Sciaguratamente, aggiungerei. Il lavoro di cucitura è mio, per inciso. Prego."
C'è certamente del paradossale in tutto quello, nel suo nuovo debito nei confronti di un individuo selvaggio, incivile, pagano, ladro, schifoso...
È un brav'uomo.
Il pensiero emerge spontaneo, spezzando la monotonia di quella vecchia cantilena che gli riecheggia nella memoria con la voce sprezzante di suo padre.
James lo guarda e sospira ancora una volta.
"Grazie." Sceglie di dire infine, sedendo sul giaciglio che gli è stato evidentemente messo a disposizione.
È sincero; è davvero grato di essere lì, vivo. Lo deve ad Elizabeth, a quel pirata che continua a studiarlo, nonostante tutto, come se fosse pronto ad affondare un colpo da un momento all'altro; e James comprende quell'attenzione, il vago senso di allarme in sua presenza, ma è ferito e tristemente disarmato.
Non riuscirebbe neanche a mettergli le mani al collo, se lo volesse, e non nega che la tentazione, all'inizio, ci sia stata ampiamente.
Cala un silenzio pesante, almeno per James. Osserva Jack prendere una bottiglia riposta su una delle innumerevoli casse rovesciate, e sorseggiarne il contenuto come se non avesse fatto null'altro fino al suo risveglio e l'uomo non comprende se quello sia un modo per metterlo alla prova, a proprio agio o un tentativo di preparare il terreno al dialogo.
Sa di dover dire qualcosa.
Che c'è un decalogo di eventi di cui dovrebbe fare ammenda - con se stesso e con Elizabeth. Eppure, lì, in quel momento ogni parola gli muore in gola.
Sparrow deve averlo notato, perché gli allunga la bottiglia con le labbra schiuse in un'espressione di soddisfatta malizia.
"Per sciogliere la lingua, signor Norrington."
James non risponde subito.
Lo guarda, e poi i suoi occhi corrono alla bottiglia scura.
Mesi prima, si era ripromesso che non avrebbe più ingurgitato quella roba, che non avrebbe messo a repentaglio la propria lucidità per il gusto di punirsi e cedere all'oblio dell'alcol.
Però...
Quasi gli viene da ridere, quando allunga la mano per accettare quell'offerta.
È in un covo di pirati, dopo aver abbandonato il proprio ruolo per liberare dei prigionieri (liberare Elizabeth), ed è quasi morto per una scelta che, per la prima volta, valutandola a posteriori ritiene giusta e sensata.
Bere con Jack Sparrow, quindi, non sarà di certo la cosa peggiore che possa capitargli - non in quel particolare e forse ultimo stralcio della vita.
Ah, se suo padre avesse mai lontanamente sospettato di quel momento, di certo avrebbe provveduto a sbarazzarsi di lui anni prima.
*Avresti dovuto morire. Se fossi morto, non ci sarebbe stato alcuna scintilla a nutrire il disastro all'orizzonte.*
"Avrei preferito che mio figlio annegasse, feccia! Piuttosto che vederlo salvato da te, Teague!"
Oh, ecco come si chiamava.
Teague. Edward Teague.
Curioso che lo abbia ricordato proprio ora.
Be', finalmente ha un vero nome con cui identificare il proprio salvatore.
Peccato che il suo viso non riesca davvero a ricordarlo.
Per quanto si sforzi, per quanto cerchi di riafferrare l'immagine spezzata dal mare e dalla memoria, questa resta solo la sagoma di un fantasma evanescente.
Porta la bottiglia alle labbra e assapora il liquore sulla lingua, lo lascia scorrere in gola e poi lo trattiene, caldo e morbido, per rendergli il palato appena più dolce.
Quando butta giù un secondo sorso, alla salute del ritrovato nome, Sparrow è ancora seduto davanti a lui, e lo osserva soddisfatto.
Allora, James mette da parte il rum, e stavolta la sua espressione si fa seria e preoccupata. Cancella ogni residuo di fastidio o ostilità che possa serbare verso il pirata, e si concentra su Sparrow, sulle migliori parole da spendere.
"Lord Beckett sta cercando di rintracciarvi. Di risalire a questo posto." Parla con cautela, dando voce ai piani che ha ascoltato, ai dialoghi lasciati scorrere tra il Comandante delle Indie Orientali e il suo assistente Mercer.
Vorrebbe pronunciare il nome di quell'uomo con maggior veleno e livore, eppure continua a sbagliare, a rendergli onore senza mai esitare nel definirlo Lord.
È così che gli è stato insegnato.
E invece, è solo un dannato bastardo, un animale famelico e avaro - e James ha seguito i suoi ordini. Sono morti uomini e donne, molti presumibilmente innocenti in quella folle corsa al potere e alla segregazione. Sono stati uccisi ed impiccati dei bambini, e nella sua sottomissione alla bandiera del Regno Unito e a quel suo ruolo sempre più insensato, ha passivamente accettato che tutto si svolgesse senza sollevare alcun dubbio o protesta.
Come ho potuto permetterlo?
"Per quanto... ritenuta inespugnabile, questa resta una fortezza creato anche dall'uomo. C'è sempre un errore, un punto debole: è fisiologico. E gli individui come Lord Beckett sono addestrati a trovare risorse in grado di condurli a quella falla."
"Smettila di chiamarlo Lord."
Jack fa un gesto secco con le mani, un breve sfarfallio infastidito di dita, prima di tendersi verso di lui e guardarlo a lungo, sorridendo nell'ombra appena illuminata dalle candele e le torce tutte attorno.
"Non è il fatto che ci stia cercando, il problema."
C'è il suo sorriso ubriaco a cadenzare il ritmo delle parole, però non esprime l'interezza di quel pensiero, e anzi, lo lascia sospesa tra di loro, ad echeggiare nel silenzio.
"La sua flotta lo è."
James dà voce ad una verità che conoscono entrambi, e Jack annuisce, schioccando la lingua contro il palato.
"Esatto. E ammettiamolo, non lo sarebbe stato, se non gli avessi dato il cuore. Sei stato tu ad averci condotto a questo... piacevole disastro."
Sparrow non usa un tono accusatorio e neanche lo attacca.
La sua è una constatazione obiettiva della realtà, e per quanto voglia ribattere, sa di non avere alcuna argomentazione per contraddirlo.
Sono stato io a consegnare il cuore a Lord Beckett.
Per riavere un titolo, una posizione, per essere di nuovo degno dell'orgoglio e del nome di suo padre, e non solo il bambino vuoto, meglio morto e che sarebbe dovuto restare tale, tratto in salvo da un pirata anni prima.
"Tuttavia, James. Sono perfettamente consapevole che Beckett avrebbe raggiunto questo stadio anche senza che tu accelerassi il processo."
Quelle ultime parole lo sorprendono. Guarda il pirata confuso e smarrito, e non capisce davvero cosa voglia dire.
James non è abituato a deresponsabilizzarsi, a sollevarsi dalla colpa e ad accettare che certi eventi prescindano dal suo intervento.
Comprensibilmente, in quest'ultimo caso ha avuto un ruolo piuttosto attivo, ha agito con egoismo ed incoscienza (era stato ordinato anche il suo arresto e meschinamente non è riuscito ad accettarne la vergogna e l'ignominia), ma avrebbe potuto davvero immaginare la follia di Lord Beckett?
Sì, avrebbe dovuto.
No, certo che no, invece.
La crudeltà di un altro uomo non può essere a suo carico - ma lo è diventata nel momento in cui ha eseguito gli ordini.
E a quanti ordini ha obbedito?
In quel nuovo silenzio calato tra di loro, James guarda Sparrow ed è smarrito.
Riflettendo, da tempo aveva iniziato a piegare e a limare le indicazioni di Lord Beckett, prendendole più come una traccia, che non vere disposizioni autoritarie.
È un bambino, non permettere che anche lui vada alla forca; lascia fuggire quella donna, ha preso solo del pane raffermo; rilascia quell'uomo, non è chi cerchiamo.
Eppure, non è stato abbastanza.
"Perché hai scelto di restare sull'Olandese?"
È Sparrow a spezzare quella pausa.
Non si aspetta una domanda simile e prende il proprio tempo per rispondere.
La ferita al torace pulsa.
James chiude gli occhi, aspetta che la fitta scivoli di nuovo in un dolore sordo e più tollerabile.
Beve un altro sorso di rum.
"Credevo che fosse una mia responsabilità."
Sembra una ragione così sciocca, ora che la esprime apertamente, senza i filtri della propria coscienza. Il pirata assottiglia gli occhi, e resta qualche secondo a scrutarlo, come a valutare quanto vera possa essere un'affermazione tanto... ingenua.
"E adesso cosa pensi? Di una simile decisione, intendo."
Di solito, è lui a porre le domande, e non si è trovato spesso in quella posizione, in cui gli tocca raccogliere le proprie considerazioni ed esprimere un pensiero vero e sincero. Non che sia tenuto a farlo, in realtà, tuttavia in quel momento pensa che possa fargli bene, che parlare senza filtri con un individuo che non può e non intende giudicarlo sia ciò che gli occorre.
E sì, è abbastanza sicuro che Sparrow non abbia molto da rinfacciargli, oltre a quanto già fatto, e che se avesse del rancore da covargli contro, di certo non avrebbe sprecato il suo tempo ad assicurarsi che respirasse ancora - a meno che non gli servano degli alleati per chissà quale assurdo corso di eventi.
James ride.
Altamente probabile.
"Che, alla fine dei conti, nella mia stupidità sia stata una delle poche scelte sensate." Risponde infine, allungando di nuovo la bottiglia verso Jack.
"Lord Beckett mi ha ingannato sul destino del Governatore Swann, e io non sono stato in grado di proteggerlo. Tuttavia, in questo modo ho potuto salvare Elizabeth, e se il prezzo da pagare è tracannare rum con il peggior pirata di cui abbia mai sentito parlare, suppongo di essere in grado di poterlo tollerare. Momentaneamente, si intende." Dice senza nascondere alcun sarcasmo, facendo schioccare la lingua contro il palato con un velo di divertimento.
"Oh, avanti, Norrington! Credevo ti fossi affezionato a me! Insomma... latrocinio, tradimento, inganno. Hai dimostrato di avere il potenziale per essere un pirata di talento."
Jack gli prende l'alcolico con un sogghigno, facendo dondolare appena la testa e fissandolo con una nuova luce di ripicca e malizia negli occhi.
Nulla che James trovi serio o rischioso, anzi.
Gli sembra che usi quasi la giocosità di un bambino, e seppur trovi terrificante ascoltare quell'ipotesi, si limita a guardare Jack con un sopracciglio inarcato e lo scetticismo disgustato di chi preferirebbe tornare a dormire con i maiali, piuttosto che contemplare anche solo lontanamente quella paradossale e irrealistica possibilità.
Essere un pirata.
Il punto è che adesso... cosa dovrebbe essere?
Cosa dovrebbe fare?
Svoltare.
Sarebbe proprio il caso.
"Oserei persino dire che tu ed Elizabeth vi meritiate a vicenda."
James gli rivolge un'occhiata severa e infastidita a quell'ultima affermazione.
Fa decisamente male.
Perché Elizabeth non potrà mai essere sua, ed è una consapevolezza che non riesce a lasciarsi alle spalle. D'altra parte, ha accettato quella realtà perché ciò che prova, la stretta attorno al cuore che lo ghermisce e divora vivo, non può essere di ostacolo alla felicità di lei, alla serenità che meriterebbe, all'amore di cui la sua vita dovrebbe riempirsi fino traboccare.
Ha visto in William Turner quell'amore.
Non in lui.
"È grazie a lei se sono finito nello scrigno di Davy Jones. E anche per causa tua, in retrospettiva." Prosegue Sparrow con tono leggero, sollevando le gambe per poggiarle ad una cassa e lì incrociandole, mettendosi appena più comodo.
La cosa incredibile è che, in contrasto con il contenuto di quelle affermazioni, non c'è alcun risentimento nella voce del pirata, come se avesse accettato lo svolgersi degli eventi quasi fosse stato un semplice contrattempo a cui ovviare con nuove e più efficaci soluzioni.
Anzi, gli sembra quasi che ne sia esilarato e deliziato.
È questo tipo di spirito che James non comprende e non riesce a fare proprio: la capacità di viaggiare oltre un rovinoso corso di eventi, e cogliere le possibilità donate da un vento nuovo, piuttosto che cercare un disperato ritorno nelle stesse acque torbide e tempestose in cui ci si è persi.
Sei quasi annegato per tre volte. Forse è tempo di seguirli per davvero, quei venti di cambiamento.
"Oh, Sparrow! Avanti! Continui a parlare di questa storia, ma cosa ti fa credere che se non avessi avuto alcun interesse nel cuore, io lo avrei dato a te?" Lo chiede senza pensarci, con una punta esasperata nella voce che resta però sospesa e inespressa, una nota di colore che solo un orecchio attento avrebbe saputo cogliere.
Il suo tono, infatti, resta basso e sicuro. Parla con la sua solita flemma cortese e composta, la disciplina militare tipica di un bravo soldato.
Tuttavia, è ben consapevole che Sparrow sia un ascoltatore molto attento.
"E cosa avresti fatto, James? Lo avresti ceduto a Will?"
Ecco, appunto.
Prevedibilmente, quel quesito lo coglie in contropiede - è una possibilità che non ha neanche mai contemplato, e nel ritrovarsi costretto, adesso, da Jack Sparrow a dare una risposta a quella domanda sospesa, realizza che no, ovviamente non avrebbe mai dato il cuore al signor Turner.
C'era di mezzo anche Elizabeth e la sua felicità, una vita piena con l'uomo che aveva scelto, l'uomo che amava.
Non avrebbe messo a repentaglio il suo futuro.
Forse, se avesse ragionato, se fosse stato in sé, avrebbe potuto addirittura provare a parlarne.
E invece.
"Esattamente."
Le parole di Jack spezzano i suoi pensieri, e si ritrova ancora una volta con la bottiglia allungata sotto al naso.
Si morde l'interno della guancia e la prende in silenzio.
È quasi vuota. Si sorprende che l'uomo gli abbia davvero lasciato quegli ultimi sorsi.
"In ogni caso, non è questo l'argomento di discussione per cui ho atteso che ti risvegliassi, Jamie." Aggiunge poi il pirata, e abbassa i piedi dalla cassa, sporgendosi verso di lui e sfregandosi le mani.
Per poco non si strozza.
Forse non sarà il mare ad avermi, ma un sorso di rum c'è andato molto vicino.
Che fine miserabile.
"Come... come mi hai chiamato..?" Boccheggia, stringendo gli occhi quando Sparrow lo afferra per le spalle.
"Ah, signor Norrington, non è questo il punto! Concentrati e ascoltami."
Gli occhi scuri del pirata si soffermano sul suo viso. James sente il calore dell'alcol iniziare a farsi spazio in lui, rilassandolo e permettendogli di prendere forse meno sul serio tutta quell'assurda situazione.
A quel punto, si ritrova ad essere sinceramente curioso di conoscere le vere intenzioni di Jack Sparrow, di comprendere il reale fine di tutta la loro conversazione.
"Conosci la flotta di Beckett. Cosa pensi che possa venirne fuori, in uno scontro diretto?"
"Siete in inferiorità numerica di parecchi elementi."
James è laconico.
Non esita neanche per un attimo ad esprimere quella realtà dura e innegabile, una sentenza forse più aspra di quanto avrebbe voluto sinceramente dare.
In fondo, si scopre a pensare che vorrebbe davvero vedere i pirati prevalere.
"Non sai quante navi abbiamo."
"Hai ragione, ma conosco il numero di quelle di Lord Beckett."
Della mia flotta.
È lui a sporgersi verso Jack, questa volta.
Inclina il viso di lato, e si prende la soddisfazione di condurre il dialogo, di prendere in mano il discorso e di guidare l'interesse del proprio interlocutore.
"Tuttavia... se rimuoveste l'Olandese dall'equazione, potreste avere una possibilità."
"Se ha così tante navi, perché credi che l'Olandese possa fare la differenza?"
James ride a quella domanda - più giusta e sensata di quanto voglia ammettere. Eppure, per la prima volta, si ritrova a rispondergli non dopo aver valutato i propri pensieri e scrutato ogni altra possibilità, ma sulla base del più puro e semplice istinto.
"Perché Lord Beckett è un uomo di affari, e crede che essere un buon uomo di affari significhi avere anche la stoffa del Capitano."
Non pensa a troppo a quelle parole.
Sorgono spontanee, scivolano sulla lingua come olio e
"Interessante punto di vista. Continua."
"Insidiare il terrore di una punizione negli uomini, o corromperli in cambio di titoli e ricchezze può condurti alla nomina, ovviamente, ma non a comprenderne l'importanza e la responsabilità."
"Parole affascinanti, James, ma ancora non mi hai detto cosa manchi a Lord Beckett, nella sua sconfinata flotta, che possa assicurarci uno spiraglio di vittoria."
In realtà, in quel momento, gli sembra quasi che il pirata già conosca la risposta, ma che voglia sentirla direttamente dalla sua bocca, vedere le sue labbra articolarla e sentire la sua voce riverberare in quella strana e calma intesa.
"Beckett non ha più un vero Capitano."
James parla in un bisbiglio e infine lo guarda.
Si ritrova quasi costretto a trattenere una risata.
"Non ha più me."
Allora, Sparrow gli sorride, e i suoi occhi brillano, colmi di deliziata soddisfazione.
È complesso per James rivedere Elizabeth.
Non riesce a definire e ad inquadrare i sentimenti che gli afferrano il cuore.
Il dolore sordo e continuo della ferita sembra sparire, quando la vede, sostituendosi semplicemente al vuoto e al rassegnato senso di abbandono che lo mastica da dentro.
Può esserle amico, restarle accanto e sostenerla... ma quel bacio fugace che le ha sottratto, resterà il solo che abbia mai potuto pretendere.
In realtà, crede che sia stato ingiusto, che sia stato crudele - prima e soprattutto per Elizabeth, per la sua promessa di amore a William; e poi anche per se stesso.
Ma alla fine, che importanza ha un bacio?
Se vuoto e incompleto, sparisce presto, e resta solo la traccia di un ricordo sbiadito e salato.
Quando si incontrano, prima di raggiungere quell'affollata adunata di Pirati, Elizabeth lo abbraccia, e James l'accoglie dolcemente verso di sé.
Non la trattiene a lungo, si lascia però il tempo di vederla sorridere, mentre si assicura che stia bene, che sia davvero sana e salva e che quel suo tuffo nell'oceano non sia stato vano - un tuffo che farebbe infinite volte ancora, uno squarcio nel petto che sarebbe disposto a sopportare in eterno, anche solo per ritornare proprio a questo momento, a quest'abbraccio.
"Sono felice che tu stia bene. E sorpresa di vederti già in piedi." Dice la giovane, con un cenno al suo torace e un'espressione sollevata.
"È meno peggio di ciò che sembra, e in realtà temo che sia il mio orgoglio ad aver bisogno di più tempo per risanarsi." Ironizza in risposta, e poi abbassa lo sguardo, con un sorriso mesto.
"Elizabeth. Miss Swann... io... devo chiedervi scusa."
James la guarda e cerca così di raccogliere ogni pezzo del proprio cuore, di unirne i frammenti e riuscire ad articolare una richiesta perdono degna di ascolto.
Vorrebbe spiegarsi, dare voce a tutte le sue colpe e poi accettare la rabbia ed il veleno della giovane donna davanti a lui.
Però, Elizabeth gli prendo una mano.
"No, James. Ancora una volta e nonostante tutto, hai agito a discapito dei tuoi interessi, alla fine, e lo hai fatto per me." Elizabeth parla senza esitare, accarezzandogli con dolcezza il dorso della mano, e riscaldandolo.
James non si era accorto di avere avuto freddo fino a quel momento.
"Amo Will, ma tu... sei sempre stato una costante; e anche adesso, contro ogni più razionale probabilità, sei qui."
La giovane prende una pausa e lo guarda.
C'è una lacrima che scorre lungo il suo viso, mentre gli sorride e non lo lascia andare. Allora, James resta immobile e non si azzarda a sfiorarla, a rischiare di infrangere e perdere quel momento.
Elizabeth non sembra badare alle proprie lacrime, e non vuole essere di certo lui a far pesare alla donna quei sentimenti disperati e confusi.
Tuttavia, desidererebbe riuscire a piangere liberamente a propria volta.
"Ti sono grata."
A ben pensarci, è stata la sua decisione di rimandare la cattura di Jack Sparrow di un altro giorno e di non arrestare William Turner, ad averlo condotto fin lì, ad osservare pirati di ogni genere radunarsi attorno ad un tavolo.
Sa di non essere proprio al sicuro.
Con otto signori dei Pirati e chissà quanti dei loro uomini, James è ben consapevole che se qualcuno capisse o scoprisse la sua identità, non resterebbe vivo troppo a lungo.
Il fatto è che non si mescola neanche poi tanto bene nella folla, ed essendo per lo più sobrio, gli riesce anche meno della prima volta.
Resta un passo indietro rispetto a Sparrow, davanti ad Elizabeth, al lato opposto di quel tale Barbossa.
L'uomo lo ha guardato per un lungo istante, quando è arrivato con Jack.
C'è stato silenzio, i suoi occhi sono scivolati lungo il suo viso, prima che piegasse solo le labbra in un sorriso tirato e sporco.
"Ah, signor Norrington, che piacere rivedervi." Lo dice con tono basso e affettato, e James più che mai si riscopre bisognoso di un'arma.Sarebbe stato ingenuo, comunque, chiedere che un incontro tra i due potesse rivelarsi pacifico.
Ai tempi della maledizione, gli uomini di Barbossa avevano ucciso molti dei soldati di James, il quale ovviamente, a maleficio spezzato, aveva fatto passeggiare quelli catturati sulla forca.
"Il flagello della pirateria, colui che ha fatto ammazzare il proprio equipaggio."
Le voci corrono rapide tra i pirati, James deve darne atto. Rivolge un'occhiata al limite del furioso all'uomo, eppure sa che quelle parole bruciano tanto a fondo perché sono tremendamente vere.
Soldati validi morti a causa sua, quando sarebbe bastato essere più cauti, più saggi, più rispettosi della furia del mare.
Ma lei aveva cantato il suo nome, e gli aveva chiesto di fidarsi.
"Qui per affondare un'altra nave? Credevo vi fosse bastata la Dauntless."
Dopo quel naufragio, dopo aver portato in salvo il ragazzo, Thomas, e constatato che una manciata di pochi altri suoi uomini fosse in salvo, James non ha dormito e mangiato per giorni.
Avrebbe dovuto sparire in mare, e invece era rimasto, a sentire tutto il marcio delle proprie scelte sulla pelle e nel cuore; ad ascoltare le grida delle onde riverberargli dentro fino all'orlo della più straziante disperazione.
Poi vi si era immerso, ma aveva comunque continuato a respirare,
"Non dovrebbe esserci bisogno del mio intervento, considerate le vostre possibilità. Ed è Ammiraglio, signor Barbossa."
Sceglie di ribattere in quel modo, di non abbandonarsi al primo impulso di afferrare un oggetto contundente e rischiare di venire passato a fil di spada.
Non è uno stupido.
Ora deve sopravvivere.
"Capitano."
"Oh, no, dovete aver capito male, signor Barbossa."
James sorride affabile, come fosse ad una qualche cerimonia e stesse dialogando amabilmente con uno degli ospiti più anziani e duri di comprendonio.
"Quello era il mio titolo due gradi fa."
"Molto bene! Molto, molto bene!"
Jack si infila tra di loro, guardando Barbossa e dando le spalle a James.
"Ora che abbiamo fatto le dovute e più corrette presentazioni, che ne dite di procedere?"
James assiste alla discussione, restando tendenzialmente in silenzio e in disparte.
Elizabeth vuole combattere e Barbossa, di contro, intende liberare Calipso, una divinità, affinché aiuti i pirati a distruggere la Compagnia delle Indie Orientali e Beckett.
Nel suo mutismo, ragiona e valuta che tutto quello non sia altro che un incontro tra folli.
Ah, non lo sorprende particolarmente la parte sulla Dea del mare (insomma, James ritiene di aver assistito ad abbastanza assurdità da considerare l'esistenza di Calipso la cosa più verosimile e sensata), ma l'assoluta mancanza di ordine e di spirito collaborativo.
Si domanda come abbia fatto la pirateria a resistere così a lungo, e come la legge non sia riuscita a trovare una soluzione ad una piaga tanto male organizzata e internamente distruttiva e disfunzionale.
Solleva gli occhi al cielo, esasperato, e poi sospira all'ennesimo discorso apparentemente delirante di Sparrow.
Parla di seppie, di come lasciate tra di loro finiscano con l'ammazzarsi a vicenda, e ad un certo punto tutta la questione ritrova un senso, se proiettata sull'utopistica visione di un ammasso di pirati stipati assieme e troppo a lungo nello stesso posto.
Jack è d'accordo con Elizabeth, quindi: devono combattere.
Tuttavia, James non trova proprio male l'idea che si facciano fuori a vicenda.
Selezione naturale, pensa.
Alla fine, però, tutto tace quando Barbossa tira in ballo il Codice, sostenendo che un atto di guerra debba essere dichiarato dal Pirata Re.
Oh, allora hanno qualcosa di lontanante simile ad una legge e ad una autorità.
Sorprendente.
"Convoco Capitan Teague, Custode del Codice!"
James gela, sollevando gli occhi di scatto a quel nome e sente il cuore ruggirgli nelle orecchie, battere e scalciare così forte da fargli male.
Si volta, in cerca del Pirata appena richiamato e il suo respiro si arresta.
Ha sei anni, e sta annegando.
Non vuole morire.
Non ancora, non è giusto.
È troppo presto.
Voglio diventare un buon soldato e un grande marinaio.
Padre, aiutatemi.
Ma le braccia che lo afferrano e lo riportano a galla non sono di suo padre.
Sono di un uomo diverso, un uomo che non conosce e che ha solo intravisto tra il fumo della polvere da sparo e gli uomini in duello.
James si stringe a lui.
Il mare canta il suo nome, ma sa che non deve lasciarsi cullare da quella ninnananna.
Non ancora.
Deve andare avanti.
Continuare a combattere.
Aiutare quell'uomo che lo sta salvando e scalciare a propria volta verso l'alto, al di sopra delle onde e lontano dal buio pece dell'abisso.
Il mare ora grida; e fra le urla strazianti e iraconde, lascia spazio al silenzio solo per pochi altri istanti.
Il mare ride.
"Avrei preferito che mio figlio annegasse, feccia! Piuttosto che vederlo salvato da te, Teague!"
James indietreggia di alcuni passi, e senza aggiungere nulla, si allontana.
Lì, adagiato ad una parete e il respiro ansante, cerca di riprendere il controllo del proprio corpo.
Mani, gambe, vista, udito, tatto, gusto, olfatto.
Cuore.
Essere debole, in quel momento, non gli serve. Lasciarsi catturare da quello smarrimento vorace e crudele sarebbe solo un passo verso il fallimento, e non può permettersi di sbagliare, non può più concedersi il lusso di fermarsi e capire.
Non ha più tempo.
Salvato da un pirata per arrivare fino a lì, proprio in quell'esatto istante, e continuare a percepire l'amarezza, la delusione e l'umiliazione di suo padre fino in fondo all'anima.
Scivola a terra, si tiene il torace.
Ha ripreso a sanguinare.
Alla fine, con l'intervento di Sparrow, Elizabeth è stata nominata Pirata Re; e James si è ritrovato a pensare che, sì, quella fosse la scelta più valida al raggiungimento dello scopo.
Rabbrividisce nel ritrovarsi d'accordo con un folle piano del pirata che coinvolge Elizabeth, ma quando le opzioni sono così scarne e ogni altra scelta da ritenersi al meglio pessima, suppone sia necessario accontentarsi e mettere da parte l'indole romantica e cortese.
Le intenzioni dovrebbero essere quelle di parlamentare con Jones, Beckett e Turner (che pare essere proprio con Beckett).
Ci sono un po' di cose che non ha ben chiare e che gli sono sfuggite, ma non ritiene che siano vitali, al momento.
Sogghigna appena, quando si radunano, appena prima di salire a bordo della Perla.
"Avanti. Dillo."
"Re Elizabeth." Si sforza di restare serio, osservandola, ma la cadenza servile nel suo tono lo tradisce.
"Dubiti della decisione?"
La giovane lo guarda con un sopracciglio inarcato, attenta alla sua reazione.
James scuote il capo.
"No. Pur trattandosi certamente di un qualche folle piano di Sparrow, è la scelta migliore. Troppo potere ad un individuo integerrimo come il signor Barbossa, ad esempio, avrebbe condotto, temo, a dissapori più aspri col sottoscritto. Dubito che in quel caso sarei ancora in grado di esprimere democraticamente un'opinione." Parla con disinvoltura, il tono tinto da una rassegnazione sottile e appena celata nel suo educato modo di porsi.
No, è decisamente una nota stonata, lì in mezzo, e non potrebbe passare per un pirata neanche se ci provasse.
"Tutto questo sarcasmo è insolito, James."
Elizabeth lo osserva a lungo, una traccia di preoccupazione e confusione sul viso.
Gli si spezza il cuore.
"Rende più sopportabile la situazione."
Sceglie di dire e poi sospira, non riuscendo ad aggiungere null'altro. Sparrow lo raggiunge senza troppe cerimonie alle spalle, stringendogliele con forza.
"Ah! Sei qui. Dov'eri finito?"
Jack sorride deliziato, e la sua espressione è piena di una vaga soddisfazione che James non sa quanto ritenere preoccupante.
Per quanto si sforzi, non riesce a leggerlo in alcun modo.
Lo trova insopportabile.
"A cercare una spada quanto meno decente."
Quindi, stringe le labbra e conta fino a cinque prima di valutare se testare la lama in questione.
"Avuto fortuna?"
Jack lo lascia andare, facendogli cenno di accompagnarlo nel salire sulla nave, e James fa scoccare la lingua contro il palato.
Preferisce non trattenere il disprezzo, in questo caso.
Non in fatto di armi, almeno.
"Manifattura pirata."
"Oh, suvvia, signor Norrington! Poche storie! È meglio di niente. E poi anche la tua vecchia spada era di manifattura pirata. William Turner, ricordi?"
James si morde la lingua.
Perché ha quasi sempre ragione?
Più volte, in quei mesi, James ha ricordato gli ultimi giorni di vita di suo padre.
Costretto a letto dalla malattia e dalle conseguenze delle ferite in anni di Marina, era stato al suo capezzale la sera prima della nomina a Commodoro.
Era rimasto sulla soglia della porta, come gli era stato sempre insegnato e come aveva sempre fatto.
Mai un passo avanti e sempre uno indietro, in attesa del permesso di entrare e di poter parlare.
"Vieni... avanti, figlio."
James ricorda di essersi avvicinato e di aver fatto cenno ad una domestica di lasciarli soli.
Suo padre era estremamente debole, e lui sapeva che non avrebbe mai potuto partecipare alla cerimonia, anzi... probabilmente non avrebbe neanche superato quella stessa notte.
Guardandolo, James constatò che era rimasta solo l'ombra del grande Ammiraglio, pelle ed ossa piegati a letto dal dolore e dal respiro della morte.
"Parla... pure."
"Domani verrò nominato Commodoro, padre."
James si sentiva sempre un bambino davanti all'uomo - non aveva fatto abbastanza, non era stato abbastanza; avrebbe dovuto essere migliore di così.
"E... il passo... successivo..?"
Ovviamente non avrebbe dovuto fermarsi a quel risultato, e neanche goderne i frutti.
Ma andare avanti.
Andare oltre.
"Continuare a servire la Corona e aiutare i nostri alleati della Compagnia delle Indie Orientali ad eradicare il male della pirateria dai mari. Proteggere i sudditi della Corona. Agire con rettitudine e coraggio." Lo ripete come un monito, un codice impresso a fuoco nel suo cuore e in ogni scelta.
"Molto... bene..."
James aveva percepito il respiro del genitore farsi più sottile e simile ad un fischio.
Si era avvicinato appena di un altro passo, e l'uomo aveva chiuso gli occhi, evidentemente stanco.
Stringendo le labbra, quindi, James si era limitato ad abbassare appena la luce nella lampada ad olio, per non permettere che l'altro ne venisse infastidito.
Un gesto semplice e banale.
Cura e amore, nonostante tutto.
Infine, aveva chinato lo sguardo sulla mano pallida e immobile del genitore, le vene azzurre e gonfie contro la pelle sottile.
"Sapete, padre, io... ho compreso tanto, in questi anni al servizio della Corona. E mi sono reso conto che per condurre gli uomini in battaglia e attraverso il mare, contro anche tutte le più schiaccianti probabilità di riuscita, fosse necessario avere i loro cuori, la loro fiducia. Fare affidamento ai vecchi codici di onore, di dovere e di lealtà, mettendo da parte l'avarizia e l'interesse personale. Servirli, in quanto responsabilità. Aiutarli, perché compagni in mare, e non solo sottoposti."
Si era fermato, lo sguardo perso e il respiro tremante.
"Io voglio questa nomina. Sono felice di aver raggiunto questo grado nella mia carriera, eppure..."
Non era semplice dare una voce a tutta quella confusione, provarci per la prima volta e cercare di non venirne sopraffatti.
James non aveva mai fatto i conti con l'esprimere i propri sentimenti e pensieri in maniera genuina.
Era tutto così disordinato.
"... eppure non mi sento libero."
Lo aveva bisbigliato a stento. Il cuore in gola e una paura irrazionale a graffiargli il cuore.
L'uomo, però, era rimasto immobile fra le lenzuola, sordo a quel grido di aiuto strozzato.
Padre, aiutatemi.
Sto annegando.
"Perdonatemi, padre." Aveva poi detto infine, riprendendo la propria postura militare.
"È stato un discorso troppo idealistico. Troppo sciocco."
Ed era stato anche il primo e solo che aveva potuto rivolgergli: suo padre era morto il giorno dopo, mentre incontrava Jack Sparrow e ne svelava il marchio pirata impresso a fuoco sulla carne.
"Signor Sparrow."
James si approccia al pirata mentre è sul ponte.
Scende da una cima con un salto leggero, dopo aver lavorato ad alcuni nodi, e la ferita gli ricorda per l'ennesima volta che non dovrebbe dedicarsi troppo a quei gesti eccessivamente acrobatici.
Tuttavia, un paio di membri della ciurma erano sembrati scettici delle sue capacità manuali, di conseguenza si era visto quasi costretto a dimostrare che prima ancora di possedere un grado militare, fosse un marinaio; ed un marinaio valido.
"Sì, signor Norrington?"
Jack si volta nella sua direzione, fermandosi a guardarlo con un sopracciglio inarcato e un vago interesse. Ha un piede sulla scala che porta sottocoperta.
"Avrei bisogno di farti una domanda."
"Senza troppe cerimonie, allora, su!" Dice, quindi, iniziando a scendere seguito da James qualche passo più indietro, verso la cambusa.
"Quel... pirata. Edward Teague. Lo conosci?"
James desidera prima capire fin dove potrebbe spingersi nel chiedere un eventuale favore a Jack Sparrow.
In realtà, neanche lui sa bene cosa farsene delle possibili informazioni che il pirata potrebbe dargli, anche perché... a cosa gli servirebbero, alla fine?
È complesso persino comprendere come mai senta il bisogno di saperne di più.
È sicuramente troppo tardi per ringraziarlo, e non che un pirata possa ricordarsi di un bambino tratto in salvo ventitré anni prima.
Eppure, stupidamente, gli sembra che in quel modo potrebbe persino avere la possibilità di riordinare gli eventi di quel periodo della propria esistenza, e provare a fare pace con le parole che per tanto tempo hanno scavato la sua realtà e il suo cuore.
La sua vita valeva meno dell'orgoglio di suo padre, un Ammiraglio, ma di certo era abbastanza importante, per un pirata incivile, pagano, ladro, schifoso da fargli rischiare la cattura, pur di non lasciarlo annegare.
"Oh, be'... è l'uomo che potrebbe essere mio padre, quindi la risposta più sensata sarebbe dirti che lo conosco molto bene." Jack parla con noncuranza, tirando fuori una polverosa bottiglia di rum dalla dispensa.
Ci soffia sopra, prima di riprendere.
"La verità è che resta per lo più un mistero che non mi interessa scoprire, al momento. Che c'è? Vuoi rincorrere anche lui con qualche nave della Marina, una volta finita questa storia?"
James resta immobile, e lo a guarda stappare la bottiglia e poi portarla alle labbra.
Vorrebbe chiedergli di ripetere ciò che ha appena sentito, ma se c'è una cosa che ha compreso di Sparrow, è che la maggior parte delle volte tende a non mentire - pur distorcendo la verità a suo favore, di tanto in tanto.
Il fatto di essere stato salvato dal padre dell'uomo che ha davanti e che ha rincorso dall'Atlantico al Mediterraneo, tuttavia, lo lascia in uno stato di ovattato stordimento, un colpo allo stomaco che fa male quanto l'esplosione di un proiettile e che ti trascina giù, verso un'incoscienza priva del dolore della carne e colma di niente - traboccante di oblio e del bisogno di sparire.
Che ridicolo scherzo del destino.
*Ma tu non hai un destino.
Il tuo destino è sul fondo del mare.*
Quando riavverte quel sibilo irato, James riemerge dal suo stordimento, e sceglie di non risponde a Sparrow - anzi, decide di non voler continuare la discussione, che gli basta quanto appreso e che sia meglio seppellire il resto nella sabbia dei propri ricordi.
Allora, si allunga verso il pirata e gli prende la bottiglia dalle mani proprio mentre ancora beve, portandosela alle labbra senza troppe cerimonie.
Spera che suo padre non si stia torcendo nella tomba.
Si augura davvero che non abbia gli occhi rivolti su quell'inutile parodia di figlio corrotto dalla pirateria.
"Questa, signor Sparrow, temo proprio di aver bisogno di finirla io."
Alla vostra salute, padre. E al non senso della mia esistenza.
A quello, Jack gli rivolge un'occhiata complice e colma di un compiaciuto divertimento.
Quindi, senza troppe cerimonie o esitazioni, tira fuori un'altra bottiglia.
Alla fine, non è neanche riuscito a bere granché.
La fortuna ha proprio scelto di non concedergli alcun bacio o tregua dal disprezzo.
Sono in una cabina e non nella dispensa. Dopo aver accennato ad un brindisi, infatti, James si è ritrovato ad accasciarsi contro una parete della Perla e Jack lo ha afferrato prima che cadesse.
Quindi, notando la macchia di sangue più larga sulle bende, senza aggiungere alcun particolare commento, gli ha avvolto un braccio attorno alle proprie spalle, trascinandolo verso un posto più adatto al controllo di una ferita.
James lo ha lasciato fare.
Finendo col ritrovarsi ad essere troppo debole per opporsi, e anche decisamente disorientato da ciò che gli stava accadendo, lo ha seguito, cercando di pesargli contro il meno possibile.
Il pirata, dopo avergli sfilato la camicia e rimosso le bende sporche, ha iniziato a pulire nuovamente lo squarcio con un vago borbottio.
James impiega un po' (un po' troppo) per tornare in sé.
Rosso e caldo.
Rosso come il sangue
Caldo come un corpo ancora vivo.
Dita leggere sulla carne.
Tocchi velati.
C'è troppa luce.
Fa male.
Scorre sulla pelle, lo bagna e lo lascia sospeso nel desiderio di averne ancora.
Più dolore, fino all'intorpidimento.
Invece, il mondo si rovescia ancora, e James riapre gli occhi.
Diventa sempre più difficile, sempre più complicato avere un controllo sul proprio corpo.
*È come se non ti appartenesse più, vero, ragazzino arrogante?*
Il che è semplicemente assurdo.
Riesce a vedere Jack a stento, mentre bagna uno straccio quanto più pulito possibile e gli tampona la ferita.
Brucia.
La bottiglia di rum lì vicino è vuota, c'è odore di alcol che gli arriva alle narici, così intenso da stordirlo.
Non sa quanto bene può fargli sul lungo periodo, ma il pirata ha evidentemente usato l'alcolico per disinfettare e intorpidire ancora il dolore della ferita, e James si ritrova costretto ad ammettere di nuovo di essergli grato per quella cura nei suoi riguardi che non avrebbe alcun vero senso di esistere, al di là di un reciproco interesse ad usarsi per uno scopo se non comune, almeno unito.
"Qual è... il tuo trascorso con Lord Beckett?"
Glie lo chiede dopo un po', quando riesce ad articolare meglio le parole senza che siano impastate e trascinate.
È una domanda genuinamente interessata, perché James immagina che sia stato l'uomo a marchiare Jack, ma si domanda come siano arrivati a quel punto.
"Hai ripreso a dargli del Lord?" Ribatte Sparrow, con un sogghigno, sollevando quell'ennesimo straccio umido dalla sua ferita, per constatare con un cenno che il sangue si fosse fermato.
"Abitudine, suppongo."
Jack tace per alcuni istanti, osservandolo. Ha le maniche della camicia sollevate, e James riporta gli occhi alla P impressa a fuoco sulla carne, che tempo prima aveva svelato.
Se solo quel giorno si fosse limitato a stringergli la mano, a ringraziarlo (seppur affettatamente) e ad ignorare ogni altro istinto, chissà se sarebbero comunque arrivati a quello stesso esatto momento, in quel punto di contatto della loro vita.
"È una lunga storia, comunque."
James osserva Jack scegliere cautamente la propria risposta, e quel modo di fare lo sorprende.
Interessato, si mette appena più dritto, per guardarlo meglio, e il pirata si allunga di nuovo a premergli lo straccio imbevuto sulla ferita.
"L'ho conosciuto diversi anni fa. Per un periodo ho lavorato per la Compagnia delle Indie Orientali, arrivando a diventare primo ufficiale di un loro brigantino, la Fair Wind."
Jack parla in tutta tranquillità e James non può fare a meno di guardarlo esterrefatto.
"Dopo essere stati attaccati da alcuni pirati, e la morte del capitano che, per inciso, aveva avuto un colpo apoplettico alla sola idea che al comando della nave che ci aveva abbordato ci fosse una donna..." Ride divertito a quell'aggiunta, prima di proseguire.
"... il caso ha voluto che fossi io a riportare l'incidente a Beckett."
Jack si ferma e per la prima volta James nota una profonda amarezza nel suo sguardo, nella linea delle labbra serrate.
Resta in silenzio e lo lascia continuare.
"Lui parve apprezzare particolarmente la mia abilità di negoziazione con il capitano, Doña Pirata, e mi propose il comando di una nave negriera, la Marlin. Rifiutai."
Lo dice con tono secco e perentorio, e James non può fare a meno di notare che non c'è neanche una traccia di esitazione o rimpianto nella sua voce.
Lo invidia.
"Quindi, comunque... desideroso di premiare le mie capacità, mi affidò il comando di un mercantile, la Wicked Wench. Per un po' andò tutto bene."
Jack gli sorride appena, però c'è amarezza e disprezzo in quegli occhi, e per la prima volta James crede di riuscire a intravedere una reazione sincera oltre i mille volti di quell'uomo.
"Poi, ad un certo punto, quando scelsi di non rivelargli l'ubicazione di un'isola, la cui popolazione sarebbe di certo finita nel mezzo della sua tratta di vite umane, mi ordinò di trasportare un carico di schiavi." Si ferma, sfregandosi appena le mani, iniziando a recuperare alcune bende pulite e avvicinandosi a lui, facendogli cenno di sollevarsi ancora un po', per fasciarlo più facilmente.
"Pur stando inizialmente ai suoi ordini (più una punizione, in realtà, chiamiamola col suo nome), non esitai, poi, a liberare quelle persone."
James abbassa lo sguardo, muovendosi il giusto necessario per permettere all'altro di completare la medicazione.
Non capisce bene come sentirsi al riguardo.
Ha una sensazione strana alla bocca dello stomaco, un'amarezza bruciante che lo nutre di una frustrazione innaturale e straziante.
"Mi ritrovai in fuga per un paio di mesi. Alla fine, però, mi raggiunse; e, dopo la cattura, mi fece marchiare come pirata, costringendomi a guardare mentre dava fuoco alla mia nave, la Wicked Wench, appunto."
Jack riprende la sua camicia, e gli fa un gesto rapido e distratto con le mani di avvicinarsi.
"Riuscii a liberarmi, e tentai di raggiungerla a nuoto nel vano tentativo di... provare a fare qualcosa. Qualunque cosa. Finii intrappolato nella mia cabina." Sorride, guardando con un lieve cenno di soddisfatto assenso la sua nuova medicazione.
"Fu allora che incontrai Davy Jones per la prima volta. Mi avrebbe restituito la Wicked Wench, una perla di gran prezzo, che chiamai Perla Nera, e che avrei comandato per tredici anni. In cambio, trascorso questo periodo, gli promisi cent'anni di servizio sulla sua Olandese."
Sparrow a quel punto tace, e James si ritrova ancora una volta in balia di emozioni che non riesce a controllare o ordinare come dovrebbe, come gli è stato insegnato.
Empatia per un pirata?
È un brav'uomo, padre.
È evidente che la nobiltà d'animo di un individuo non può misurarsi nei gradi militari, nel numero di ordini eseguiti o di rispetto pedissequo delle leggi - non quando le leggi si trasformano in trappole di tirannia.
Si sente così stupido ad averlo compreso tanto tardi.
Incredibile che ci sia riuscito grazie a Jack Sparrow.
"E questo è quanto, mio caro signor Norrington. Soddisfatto della risposta?"
James lo fissa, respirando a fondo. Si passa appena una mano sul torace, e stringe gli occhi.
Ride.
"... tu non hai alcuna intenzione di servire sull'Olandese."
"Esattamente. E proprio per questo ho bisogno di salire su quella nave e prendere il cuore."
Quella notte, James la trascorre proprio in cabina, su gentile concessione di Capitan Barbossa e per intercessione di Capitan Sparrow e Capitan Swann.
Ha bisogno di riposare, di raccogliere le forze necessarie per fare la sua parte.
Se ne sente quasi in dovere.
Tuttavia, il riposo è meno che tranquillo.
C'è il rumore delle onde ad infrangersi nelle sue orecchie e il suono di un canto avvolgente che si propaga con esse.
È una voce che conosce bene, la stessa che lo ha accompagnato per anni e che adesso è lì, dentro e fuori di lui in ogni lento istante.
*Capisci, ragazzo?
Non hai solo deviato la tua vita, vivendo, ma anche quella di altri che avrebbero dovuto ricevere una rivalsa.
Sei solo sangue e carne.
Un uomo già morto che si appresta alla propria fine.*
James si ritrova davanti ad una cella, nelle prigioni in fondo al ventre della Perla Nera.
C'è una donna che lo guarda, e il suo sorriso è deliziato, una piega ampia e macabra sul volto bello e tremendo al contempo - come il mare, splendente e tumultuoso nella diversa luce del firmamento.
"Io... ti conosco."
"Da tanto tempo, mio dolce e caparbio James."
La sua voce ha una cadenza musicale, lenta e ciclica, un eterno ritorno, come la risacca delle onde.
Allunga una mano attraverso le sbarre, e James resta immobile.
Sa di star sognando, che è solo una visione, eppure la paura si adagia a lui e lo pietrifica.
Osserva quella mano agile e attenta riempiersi di sangue nero e grumoso, quando affonda nello squarcio sul suo petto come se la carne non esistesse.
"Il tuo sangue scorre. Ma dovrebbe essere sul fondo del mare. Il tuo cuore batte, ma dovrebbe essere fermo e gelido come pietra."
Gli manca il fiato, eppure non abbassa lo sguardo, non indietreggia.
Ne ha abbastanza di annegare.
"Temo per lei, signora, che il destino al momento abbia altri piani per me. Non intendo andarmene tanto in fretta."
"Tu non hai nessun altro destino, James Norrington. La tua ora è giunta da tempo e io ti sto aspettando. Hai lottato troppo, quando ti stringerò, avrai il sapore più dolce di tutti."
Le labbra della donna sono d'improvviso vicine alle sue.
Ne sente il calore avvolgente, il profumo del sale e la più tiepida carezza del sole.
Però, James non cede: si tira indietro, e non accetta il bacio.
"Allora, signora, conviene che faccia buon uso il più a lungo possibile di questi ultimi momenti di libertà che vi ho strappato."
La donna lo guarda.
E il suo grido è un boato di pura furia.
L'oscurità si distende e James si ritrova ancora una volta nello studio personale di Beckett.
L'ufficiale che lo ha garbatamente accompagnato lo lascia andare solo quando il Lord fa un lieve gesto della mano, chiedendo di essere lasciati soli.
James si vede fare un lieve inchino di saluto verso il soldato, un cenno di riconoscimento di stampo militare malamente eseguito, per poi incedere languido verso l'uomo alla scrivania, come chi non ha davvero nulla da perdere e che quindi non ha bisogno di vestirsi della rigidità dell'esercito, poiché è certo di avere una leva di scambio che possa perdonare tale mancanza di decoro.
Non farlo.
Non è la cosa giusta.
No.
"Se intendete reclamare queste lettere di marca, allora avrete certamente qualcosa di valido con cui scambiarle. La bussola..?"
Lord Beckett lo osserva senza un vero interesse e James si cura ben poco delle formalità.
Non risponde subito, e con un gesto privo di alcun garbo o riguardo lascia cadere sulla sua scrivania un sacchetto.
"Meglio."
Sente le proprie labbra articolare quelle parole e non riesce a fermarsi, a zittirsi, a riprendere quella merce di scambio e rifiutarsi di continuare.
Mettere fine a quell'orrore.
Non sporcarsi le mani di altro sangue.
"Il cuore di Davy Jones."
La luce negli occhi di Beckett lo nausea.
Avrebbe dovuto essere la mia redenzione.
Ero certo che avrei potuto fare solo del bene: ripristinare ordine, civiltà, disciplina.
Proteggere la gente comune da criminali e assassini.
Onorare la Corona.
Onorare mio padre - liberarmi dalla colpa di essere sopravvissuto.
Chiedere perdono ai miei uomini per averli condotti alla morte e fare di meglio.
Servirli meglio.
Lord Beckett gli riconsegna la sua spada e James sente il cuore sprofondare, di nuovo.
Il rango, i privilegi, il titolo e una promozione.
Ammiraglio.
Ha sentito i propri battiti spezzarsi anche allora, proprio in quel momento, come il presagio di una catastrofe, venti di tempesta all'orizzonte e ruggenti nuvole nere.
Al diavolo.
È un collare.
No.
Mi rifiuto.
Non posso servirlo.
Non voglio servirlo.
C'è un momento in cui si vede puntare la spada al cuore pulsante e ancora nascosto.
Un impulso sciocco, il desiderio di dimostrarsi utile.
Meritevole.
"Date l'ordine, signore."
"Oh, no, no. Sarebbe terribilmente imprudente."
Si volta a guardare Beckett, e l'uomo continua a parlargli con un vago accenno di condiscendenza nella voce monotona.
James, quello cosciente, vorrebbe colpirlo.
"Dove sarebbe il profitto di uccidere Davy Jones, quando, invece, potremmo aggiungere un'altra nave alla vostra flotta..?"
La mia flotta.
Quelle parole continuano ad avere, nonostante tutto, un suono maledettamente dolce e attraente.
"Ah, il lato oscuro dell'ambizione."
In un angolo dei suoi ricordi confusi, riemergono le parole del maledetto Jack Sparrow - no. No. Jack è qualcuno con cui può allearsi.
Di cui può persino arrivare a fidarsi.
Beckett, allora, lo conduce alla grande porta finestra dello studio che dà verso il mare e, all'orizzonte, lo spettacolo sublime di una nave spettrale emerge dalle acque grigie, spezzando le correnti e stagliandosi contro il cielo bianco di nubi.
"L'Olandese Volante."
Lo annuncia con delizia, e James lo sente che assapora ogni sillaba, gustandone il suono e il suo significato.
"Chiunque abbia il cuore di Davy Jones, controlla Davy Jones; quindi, l'Olandese stessa... e con essa, i mari."
James è di fianco all'uomo e nota le sue labbra arricciarsi in un sorriso soddisfatto e spregevole.
Che cosa ho fatto?
Non riesce a muoversi.
Gli sembra di essere intrappolato in quella stanza, in quel sogno, in quell'eterno momento di colpa e rimpianto.
Il suo Inferno, si rende conto allora, potrebbe avere proprio quell'esatto aspetto.
Vede, infine, Beckett voltarsi nella sua direzione e accostarsi al suo volto. Lo sente prendergli il mento tra due dita e gela nell'osservare quel sorriso feroce e bramoso ora rivolto a lui.
Che cosa significa?
Perché lo sta facendo?
"Ripulitevi, Ammiraglio. Siete in servizio da questo momento."
Ha la nausea.
Sì, ricorda di aver vomitato, dopo.
All'epoca, però, ha dato la colpa al rum.
L'uomo gli passa un dito su una guancia, e infine lascia scivolare via il tocco lascivo, prendendosi tutto il tempo per restare più lungo sulla sua pelle, e godere del suo sguardo smarrito.
Viscido.
"Avete cambiato il corso della storia e... la sporcizia, a differenza di molto altro, non vi si addice."
C'è un respiro caldo sulle sue labbra e non ha nulla di dolce e desiderato - ma sa di sangue, ferro, morte e putrefazione.
È spaventoso.
Vuole dimenticare, di nuovo.
Strapparsi via quel ricordo come già successo, abbandonarlo in un angolo e vuotarsi lo stomaco di tutto il ribrezzo marcescente che lo rivolta.
James chiude gli occhi.
La luce del giorno e la voce della ciurma in sopraccoperta, sul ponte, lo riportano alla realtà, al presente.
Deve sbrigarsi.
Quando sale la scala che dà sul ponte, Jack, Elizabeth e Barbossa si stanno preparando per raggiungere, su una scialuppa, una striscia di sabbia dove incontrare Beckett, Jones e William Turner.
"Vengo anche io con voi." Dice secco, guardandoli uno ad uno, e Barbossa solleva gli occhi al cielo.
"Impaziente di riprendervi il titolo, signor Norrington?"
"Di fare la mia parte, se me lo concedete, Capitan Barbossa." Parla al vecchio pirata, ma poi i suoi occhi scivolano su Jack, e James sa che Elizabeth nota quello scambio.
Dice a Barbossa che, in quanto Pirata Re, lei non vede alcun problema a portare James; e anche Sparrow annuisce, lasciandosi sfuggire, per un breve istante, un sorriso compiaciuto ed astuto.
Per la seconda volta in pochi istanti, Barbossa si ritrova di nuovo a roteare gli occhi in alto, e ad accettare la presenza di James, che sorride soddisfatto tra sé.
Inizia decisamente a piacergli, la democrazia pirata.
Quando arrivano, James è un passo indietro rispetto a Jack, e lì resta, ad assistere all'incontro inizialmente in silenzio.
Incrocia gli occhi di Beckett, che solo per un istante, nel riconoscerlo, inarca un sopracciglio in segno di sorpresa.
Poi, gli sorride.
James vorrebbe non sentirsi schiacciato da quello sguardo, riuscire ad ignorarlo e controllare le proprie emozioni - è stanco di vedersi come un bambino sperduto.
Distoglie gli occhi per qualche istante, e Beckett è tornato su Jack.
Ascolta lo scambio di battute.
Barbossa accusa Turner di essere un traditore, e Beckett evidenzia, invece, come la mente dietro quella strategia, il condurre fuori dalla Baia dei Relitti i pirati per il loro totale annientamento, fosse di Jack.
È James a sollevare gli occhi al cielo, a quel punto.
Davvero non avevano compreso che fosse tutta un'idea di Sparrow sin dall'inizio?
Di nuovo, in poco tempo, si ritrova chiedersi ancora come la pirateria potesse essere sopravvissuta con una comprensione tanto misera delle basi di una strategia.
Lo frustra, quasi.
Il discorso prosegue.
Jones fa notare il suo accordo mancato con Jack, la fuga dallo Scrigno, e allora Elizabeth proporne uno scambio.
Jack per William.
James sorride tra sé.
Elizabeth è una donna in gamba ed è certo che abbia intuito qualcosa; ed è stata anche abbastanza in contatto con un ambiente militare e diplomatico da conoscere le giuste leve.
C'è una discussione, ma alla fine, nonostante il dissenso di Barbossa che sottrae a Jack il suo pezzo da otto, la questione pare placarsi e andare per il meglio.
Resta un'ultima cosa da fare.
James torna a posare gli occhi su Beckett, quando Jack e William fanno per scambiarsi di posto.
Lo sguardo dell'uomo brucia più di quello stesso sole sulle loro teste, ma sceglie di sostenerlo.
Sa di essere un suo desiderio.
E soprattutto, una preziosa fonte di informazioni.
Resisti.
Non lasciarti sopraffare.
L'uomo, come previsto, prende parola.
James trattiene una risata amara.
"Se mi permettete, rettificherei in questo modo: il signor Turner, per Jack e l'Ammiraglio Norrington. Mi sembra sia un prezzo equo, per restituire ad una mancata sposa il suo promesso, si intende."
Elizabeth non se lo aspetta, e il suo sguardo si riempie di panico, quando si volta di scatto verso di lui.
Tuttavia, James resta calmo e la guarda, facendole solo un lieve cenno di assenso e rivolgendole un sorriso rassicurante.
Ti prego, Elizabeth.
Fidati di me.
È la sua scommessa.
Ripensa ai giorni trascorsi con la ragazza a parlare di fiducia, di stima, di coraggio e di vecchi codici da onorare.
Si rivede a ballare con lei, a qualche evento mondano di Port Royale, prima di ritirarsi in disparte per aggiornarla su viaggi e incontri straordinari.
Amici e null'altro.
Allora, quando il suo cuore aveva iniziato appena a battere più velocemente in sua presenza, gli era bastato.
Gli basterebbe anche adesso.
Soprattutto adesso.
"E sia." Dichiara infine, e James avanza con Jack.
"Ammiraglio, sono assolutamente disposto a ripristinare il vostro posto in Marina, vogliate voi accompagnarmi sulla Endeavour."
Beckett non aspetta molto, prima di rivolgergli la parola.
Sente i passi di Elizabeth, Barbossa e Turner allontanarsi alle sue spalle, e gli occhi di Jack fermi a guardarlo di sottecchi.
"La mia cabina ha sufficiente spazio per entrambi e immagino che abbiate tanto di cui parlarmi."
James stringe le labbra, e quando Beckett avanza di un passo nella sua direzione e verso il suo viso, lui indietreggia.
No.
Non di nuovo.
Non più.
Ha smesso di essere un burattino.
Un giocattolo da distruggere pezzo dopo pezzo.
Non può più avermi.
E, ancora una volta, ho il potere di cambiare il corso della storia.
Per il meglio, stavolta.
"Preferisco condividere una cella con Capitan Sparrow, piuttosto che la stessa aria di un uomo marcio e sporco fino al midollo."
Parla con tranquillità e senza esitazione, dritto e alto nella sua postura militare ed elegante.
È diverso, rispetto all'ultima volta che si è ritrovato davanti ad un'offerta di quell'individuo meschino.
James non è più disperato.
È deciso.
"Dovreste darvi una ripulita, Beckett. Sento il vostro odore pestilenziale nonostante tutto quel maledetto profumo francese."
"Lord."
James fa schioccare la lingua contro il palato.
È così divertente.
Estremamente appagante.
"Oh, no, non è assolutamente necessario spingersi a tal punto, Beckett. Signor Norrington è già più che sufficiente."
Quelle parole sono le ultime che gli vengono concesse senza conseguenze.
Beckett lo schiaffeggia.
Il colpo arriva rapido ed inaspettato.
L'uomo usa il dorso della mano e i suoi anelli si infrangono sulla carne di James, lacerandola, spaccandola.
Barcolla.
Vede nero e poi cade ai suoi piedi, senza forze.
Non riesce a reggersi.
È così debole, nonostante tutto.
Ha perso troppo sangue e la ferita non ha mai davvero smesso di tormentarlo.
Sente il sapore del sangue tra le labbra, la guancia pulsare e una sensazione di vischioso formicolio sulla pelle.
Rosso e caldo.
È vivo.
Respira.
Può farcela.
"Jones, portate anche James sull'Olandese." Dal basso, James guarda Beckett prendere un fazzoletto da un taschino del soprabito e pulirsi la mano che ha usato per colpirlo.
Verme.
Quindi, l'uomo solleva un piede, e lo costringe ad alzare il mento nella sua direzione con la punta della scarpa, fissandolo ancora una volta dritto negli occhi, deliziato davanti a quell'immagine miserevole.
James lo vede gustarsi ogni istante del suo momento di dominio e controllo, e si sente nudo sotto il suo sguardo penetrante.
Cerca di controllare i propri respiri, di non sprofondare nell'abisso indecente di quell'umiliazione tanto viscida e meschina.
Ad un certo punto, intravede persino Sparrow poco dietro Jones accarezzare per alcuni secondi la pistola, prima di tornare ad assistere, truce, alla scena.
In attesa.
"L'Endeavour non è una nave adatta a trasportare futuri... schiavi. Rischia di insozzarsi." Dichiara infine Beckett, prima di dargli un ultimo calcio in viso.
Ma lui è un uomo bianco e libero.
Cutler Beckett, di contro, è un uomo bianco e potente.
Troverebbe il modo.
James cade, ancora, e si ritrova a stringersi su se stesso, a proteggersi d'istinto il torace.
La ferita gli sembra esplodere.
Vorrebbe gridare.
Invece, si morde la lingua e resta lì, a controllare il tremore del proprio corpo e a ricordarsi di respirare. Quindi, senza prestargli nessun'altra particolare attenzione, il Lord gli rivolge le spalle, allontanandosi con incedere altero e compiaciuto, come appena sazio di un banchetto abbondante e squisito.
A terra, piegato sulla sabbia, James ride, e non oppone alcuna resistenza: si lascia sollevare dagli uomini di Jones, che lo portano via con Jack.
Ce l'ha fatta.
Non ha ceduto.
E per la prima volta, realizza di aver fatto davvero la scelta più giusta.
Padre, non sto più annegando.
Sono libero.
"Come ti senti?"
Sparrow lo osserva dall'altra parte della cella in cui sono stati rinchiusi, lo sguardo appena più serio, nonostante l'apparente indifferenza nella voce.
"La ferita ha smesso di fare male." James lo dice senza pensarci troppo, secco e sbrigativo, e d'altra parte, in battaglia, nei suoi anni in Marina, è stato ferito anche peggio.
Tuttavia, non presta molta attenzione a Sparrow.
Si affaccia, dalle sbarre, verso l'ingresso alle prigioni, come ad aspettarsi qualcuno.
Ha un'altra carta da giocare.
"Non intendevo quello."
Jack è sereno e sembra essere perfettamente a proprio agio, mentre gratta via del corallo da una parete.
Quindi, gli rivolge un mezzo sorriso sghembo, e di nuovo il silenzio cala tra di loro.
"Ah, ti riferisci al breve spettacolo a cui hai assistito." James commenta atono, stringendo le labbra.
La guancia brucia e pulsa maledettamente.
"Sto bene."
Bugiardo.
"Ti sei giocato la possibilità di rientrare in Marina."
Jack rilancia, e James aggrotta la fronte, guardandolo confuso.
Si sente messo alla prova, come se quanto fatto fino a quel momento non fosse stato abbastanza per dimostrare che non avesse più alcun posto nell'esercito, e nemmeno l'intenzione di rientrarci.
Forse, non aveva proprio più alcun posto dove stare e tornare.
Ma d'altra parte, avrebbe dovuto essere morto da tempo, no?
"Non ha più alcuna importanza." Sceglie di rispondergli, senza guardarlo, gli occhi ancora fermi in direzione dell'ingresso.
"Alla fine di tutta questa storia, potresti ottenere una nave, formare un tuo equipaggio."
Jack lo suggerisce con tono leggero e divertito, e solo a quel punto James si volta a guardarlo, rovesciando il capo all'indietro contro la parete ormai coriacea, in una risata sommessa.
"E diventare un pirata?"
Be', non che adesso sia poi tanto diverso.
"No. Mi trasferirò su qualche isola e mi costruirò una casa. Non avrò neanche molti problemi ad imbarcarmi su un mercantile: c'è sempre un grande bisogno di pescatori."
James parla con una serenità che invece non sente propria.
È un'ipotesi che lo spaventa; una solitudine ed un esilio imposti per punirsi di cosa, poi?
Vorrebbe ritrovarsi ad un nuovo punto di inizio che possa renderlo felice; in grado di dargli qualcosa per cui valga davvero la pena lottare, riponendo via la Corona, la Marina e la maledetta Compagnia delle Indie Orientali.
"Mmpf. No. Non succederà mai. E lo sai."
Non riesce a ribattere alla sua ultima affermazione - che, in realtà, ha fatto più male di ogni altra, perché spaventosamente vera.
In quel momento, infatti, la porta cigolante si apre ed è proprio Ian Mercer a fare il proprio ingresso.
Si ferma in silenzio davanti alla cella che condividono e, dall'alto, lo fissa sprezzante.
"Prima di rientrare sulla Endeavour, Lord Beckett desidera parlarvi un'ultima volta."
Allora, James si volta verso Jack, arricciando le labbra in un lieve sogghigno vittorioso.
"Avrei piacere, signor Norrington, a darvi un'altra occasione per correggere le vostre azioni e parole."
Beckett gli dà le spalle, e lui è tenuto fermo da Mercer, braccia dietro la schiena.
Sente la presa dell'uomo serrata attorno ai suoi polsi, ben consapevole di quanto, libero, potrebbe essere pericoloso.
James è pur sempre un soldato addestrato a combattere e a difendersi.
"Se foste così gentile nello stilare un elenco dettagliato della feccia con cui avete avuto un contatto, potrei pensare di soprassedere al piccolo incidente diplomatico di poco fa."
Quando l'uomo si volta, è concentrato a guardare la P incandescente sul ferro che stringe in una mano, appena scaldato su un braciere lì accanto.
Dovrebbe sentirsene intimidito?
Lo disgusta soltanto.
Gli fa rimpiangere di aver sprecato giorni della propria vita a servire un animale - a quale scopo, poi? Per un onore e un ruolo che, alla fine, ha rincorso solo per espiare una originaria e presunta colpa inesistente; quel bambino che annega, umiliando il padre.
"Ho già dato la mia risposta, e non credo che le mie parole abbiano bisogno di una rettifica: mi sono sembrate sufficientemente oneste."
La sua voce è ferma, il tono perentorio.
Per quanto spaventosa, sa che quella situazione è solo il mezzo per raggiungere un fine, lo scopo che si è preposto appena messo piede sulla sabbia di quel lembo di terra.
Deve restare calmo e composto.
Osservare, essere attento, non perdere alcun movimento.
La disciplina militare, in quel momento, più che in qualunque altro, gli è fondamentale: James sa che è questione di attimi, un dettaglio che può fuggire via per sempre, se
"Allora non mi lasciate scelta, giusto per assicurarmi che non abbiate poi troppe altre alternative per una vita libera, in una remota, seppur sempre da tenere in conto, possibilità di fuga."
Mercer lo strattona, gli scopre il collo e gli blocca la testa di lato.
James è fermo contro il suo torace e respira a fondo, a più riprese, il petto che si alza e si abbassa quando Beckett avvicina il ferro alla pelle.
Non c'è più alcun dolore ad accecarlo o a piegarlo in ginocchio, l'adrenalina è più che sufficiente a lasciarlo lucido.
Guarda l'oggetto, fissa Beckett, e poi gira il viso di lato - finta rassegnazione e mesto accoglimento della punizione.
È quello che farebbe un bravo soldato.
Stringe le labbra e c'è uno sfrigolio odioso a riempire il silenzio.
Fa male.
James spalanca gli occhi e schiude la bocca per raccogliere ancora più aria, aiutarsi con il bruciore che non si placa, e Beckett gli tiene il ferro contro finché non è soddisfatto, finché il sigillo non si è immerso a fondo nella cute sciolta e cotta.
Odore dolciastro di carne bruciata, odore di sangue e sale.
Ha le ginocchia molli, e sente che riesce a mantenersi in piedi solo perché del tutto stretto, adesso, al corpo del collaboratore del Lord.
Beckett lo costringe a guardarlo, di nuovo, e James crede davvero che potrebbe morire avvelenato solo a respirare troppo a lungo la sua stessa aria.
L'uomo piega le labbra in un'espressione a tratti tinta quasi di affettato e squallido compatimento che in realtà è delizia quasi appagata.
"Un vero peccato, James. La nostra avrebbe potuto essere una collaborazione ricca e proficua per entrambi."
Lo accarezza in viso, sulla pelle gonfia e spaccata dal suo schiaffo, e poi scivola fino al nuovo sfregio, sfiorando la carne viva e insanguinata con delicatezza, la punta delle dita a disegnare il profilo della P con appassionata lascivia.
Lo odia.
Se avesse potuto, gli avrebbe staccato a morsi quelle dannate dita una ad una.
Ma deve essere paziente.
Deve essere attento e pronto.
"Portatelo via, signor Mercer."
James ingoia un gemito e la bile, e poi si sforza di sopprimere un sorriso.
In quell'ultimo strattone, ha visto la chiave del forziere al collo di Mercer.
Quando viene gettato di nuovo nella cella con Jack, ai suoi piedi, il pirata lo guarda dapprima spaesato e poi preoccupato.
Vede i suoi occhi scuri riflettere un vago orrore, poi soffocato in un silenzioso disprezzo; e tuttavia, mentre Sparrow lo aiuta a sollevarsi, James interrompe sul nascere qualsiasi richiesta di spiegazione, guardandolo intensamente.
"Usciamo di qui." Mormora con fare trionfante.
"Già sapevo dove fosse il forziere. Ora ho visto anche chi ha preso la chiave in custodia dopo di me."
Hanno percepito che qualcosa non andasse quando, dopo aver preso il forziere, un rombo assordante si è infranto sull'Olandese, scuotendo le onde e aprendosi attraverso l'abisso.
James ha sentito la risata del mare sguaiata e furiosa, e si è ritrovato, inconsciamente, intrappolato in un orrore insensato e carnivoro.
*Sto arrivando, bambino.*
"Signor Norrington!"
Riesce a liberarsi da quelle catene di puro gelo solo quando Jack grida il suo nome, spronandolo a seguirlo.
Una volta sul ponte, tuttavia, la realtà si trasforma in qualcosa di ben peggiore di quel senso di totale impotenza e disperata paura che gli aveva uncinato il cuore.
La ciurma di Jones deve essersi ammutinata, ad un certo punto, perché Mercer è riverso sul timone, morto, e la chiave è scomparsa.
Impreca tra sé, e si guarda attorno nel caos della battaglia che imperversa.
"Sparrow! La chiave non c'è!"
Glie lo grida soltanto, poi spinge via uno degli uomini di Jones, e affonda una spada di fortuna appena recuperata nel ventre di un altro, calciandolo via.
È un'arma davvero indegna.
Osserva Sparrow con la coda dell'occhio correre col forziere, perderlo; e James si precipita sul ponte, nel tentativo di recuperarlo.
Evita due pirati, getta un terzo nelle fauci del maelstrom titanico sotto di loro, e quando si volta a cercare ancora una volta Jack, lo vede duellare con Jones, in equilibrio precario sul sartiame.
Elizabeth e William sono distanti, ma deve raggiungerli.
Il forziere è caduto da quelle parti.
Afferra una cima, evita per un soffio un colpo al fianco e poi ancora perde fiato, quando il cielo romba e un canto dolce gli si accosta all'orecchio.
No, non è proprio il caso di arrendersi adesso.
Si appresta a saltare, ma vede Jack venire verso di lui da un'altra corda. Quindi, gli allunga una mano d'istinto, quando nota Jones alle sue spalle, pronto a tagliare la fune.
L'altro l'afferra, si aggrappa a lui con forza, e in uno scatto, prima di atterrare assieme sul ponte attraverso la pioggia, il boato del vento e il sale del mare, il pirata riesce tagliare via il tentacolo di Jones che regge la chiave.
Si scambiano un solo sguardo, e si precipitano a rincorrere i due preziosi oggetti.
James cade sulla chiave, la stringe in pugno e guarda Jack poco oltre Jones, impegnato fra William ed Elizabeth.
Fa per alzarsi e le braccia gli cedono.
Non deve cadere. Nona ancora.
Vede a stento, ha il sapore del sangue tra le labbra, e la cacofonia della voce del mare e della battaglia lo disorientano, lasciandolo in uno stato di vaga coscienza.
Un cadavere che cammina.
Vede Elizabeth gettata di lato da Jones e il pirata scagliarsi su William.
Allora, James afferra la dannata e brutta spada e si frappone fra Turner e l'avversario.
Solleva a stento il braccio per parare una stoccata, si sposta di lato in uno scatto ad evitare un affondo, e sento il torace esplodere di dolore.
Cade in ginocchio, e Jones spezza la squallida lama dell'arma che ha usato fino ad allora.
Ah, manifattura pirata.
Jones lo sovrasta, e solo allora James riconosce la spada impugnata dal capitano dell'Olandese.
È la sua.
Che affascinante scherzo del destino.
Peccato che non abbia tempo di soffermarsi troppo a lungo sulla sconfinata lista di maledizioni che gli sovvengono.
Ha la bocca sporca di sangue e fa dannatamente freddo.
*Vieni da me. Ora non puoi più sfuggire.
Addormentati, riposa.
Ti aspetto da una vita.
Mio bambino insolente, uomo testardo.*
James stringe la chiave nell'altra mano e sa che Jack sta aspettando - Elizabeth e William sono coinvolti in altri scontri, adesso, e il caos sembra non placarsi affatto.
Con le ultime forze, lancia l'oggetto sulle travi del ponte, facendolo scivolare fra le gambe di Jones; e vede Sparrow prenderlo, aprire il forziere e poi lanciargli uno sguardo che non riesce a comprendere o a decifrare in alcun modo.
Combattuto, disperato, persino furioso.
"Signor Norrington..."
Davy Jones lo osserva con una vaga luce di diletto e godimento negli occhi, la punta dell'arma puntata alla sua fasciatura zuppa e sporca di sangue.
"Temi tu la morte?"
Se non facesse così male, James riderebbe.
"... non sono disposto... a fornire... una risposta compiacente... al vostro quesito..."
L'espressione di Jones per un istante si fa attonita e confusa, sfiora il limite dell'idiozia, e in questo James sa di prendersi la soddisfazione più dolce.
"Vuol dire no."
Non capisce cosa accada dopo.
C'è la sua spada che lo trafigge e il grido esultante del mare.
Sente quelle urla mischiarsi alla voce di Elizabeth e intravede la donna scagliarsi su Jones, William con lei, per proteggerla e difenderla da un gesto tanto sciocco ed impulsivo.
Sente il proprio respiro riempirgli le orecchie e spegnere ogni altro suono.
Poi, mentre tutto inizia a macchiarsi di inchiostro nero e denso, distingue il viso di Jack.
Sta dicendo qualcosa - biascica troppo, dannato ubriaco, e ora, più che mai, James non riesce davvero a capirlo.
Sparrow gli ha preso la mano in cui ancora stringe l'impugnatura della stupida e squallida spada di povera manifattura pirata, e la sua pelle è dannatamente calda, sembra bruciare.
O forse, è lui che ha solo troppo freddo e vorrebbe chiudere gli occhi al canto del mare.
Jack lo accompagna nei movimenti, e prima di sparire, James sente qualcosa di caldo e grumoso avvolgere il suo pugno.
Ha l'odore del sangue e della morte.
Due cuori battono per un'ultima volta.
Poi, uno soltanto, riprende a scalciare con ferocia.
Il mare ulula, e in quell'estremo gemito animalesco, si quieta nel suo silenzio abissale.
Rosso e caldo.
Rosso come il sangue, caldo come la vita.
Ma la morte dovrebbe essere nera e vuota.
Fredda e silenziosa.
Morire non dovrebbe essere doloroso: significa spegnersi, lasciare indietro ogni legame e cullarsi nella malinconia dei ricordi che sbiadiscono con l'incoscienza.
Invece, è sempre troppo atroce.
James sente il dolore e la rabbia.
Percepisce la gioia e poi la disperazione più oscura.
Cade nell'abisso, si immerge nelle sue gelide acque senza luce fino a sentirle nei polmoni, dense e atroci, dritte in fondo all'anima.
Poi, il mondo si rovescia.
Rosso e caldo.
Il mare lo rigurgita.
E la vita lo ingoia ancora una volta.
Quando riemerge con l'Olandese, sfoderando la spada che è finalmente tornata tra le sue mani, sa cosa deve fare.
Ordina di manovrare la nave, di affiancarla all'Endeavour, e dalla sua posizione, aggrappato ad una cima di babordo, intravede Beckett sul cassero prendere un dannato tè, come se nulla di ogni disastro e morte causati potesse riguardarlo.
Hanno entrambi le mani così sporche di sangue, e James è stanco.
La Perla Nera imita l'Olandese Volante, e l'Endeavour è in trappola.
I cannoni iniziano a cantare.
E un uomo di affari comprende a proprie spese quanto, portare a termine una negoziazione, sia impresa assai diversa, rispetto al conquistare il cuore di uomini da condurre in battaglia.
Fiducia, lealtà, onore.
La corruzione non può comprare nulla di tutto quello.
Quando lo scontro si placa, e l'Olandese e la Perla si accostano, James salta sul ponte dell'altra nave, ed Elizabeth corre ad abbracciarlo.
Non bada a cerimonie o formalità, e stringe a sé la giovane, mentre William li guarda senza alcuna gelosia o pregiudizio.
Anzi, James lo vede sorridere intenerito, e per un istante chiude gli occhi a godere di quell'abbraccio, dell'ultima traccia del calore di Elizabeth sulla pelle e dell'odore del sale fra i suoi capelli.
Si separano dopo diversi attimi, e a quel punto è James a rompere il silenzio.
È così strano.
Manca qualcosa, ne è consapevole, però, allo stesso tempo, si sente colmo di un fine e di un dovere.
È l'ennesima beffa che rivolge al destino e alla morte, e il mare deve accettarlo.
In un certo senso, è comunque tornato al suo posto, dove avrebbe dovuto essere, in fondo agli abissi.
Solo che ha avuto la possibilità di domarli.
A quel punto, si volta verso Sputafuoco Bill Turner.
Lo osserva a lungo, riporta gli occhi su William, quindi li lascia scivolare verso Elizabeth e infine sospira.
"Signor Turner padre, il tentato omicidio è un crimine che non intenderò tollerare sulla mia nave."
C'è una punta di divertimento nella sua voce, ma è un accenno che poi lascia sfumare nel tono immediatamente più formale e serio.
"Ritenetevi libero dai vostri doveri verso l'Olandese con effetto immediato."
Dice seccamente, con un breve saluto militare di congedo, per poi fare un semplice cenno a Jack di seguirlo.
Il pirata si guarda attorno, spaesato, per poi indicarsi come a chiedere conferma.
All'assenso di James, si fa avanti con incedere lento e rassegnato, nonostante sorrida furbesco.
"James Norrington, Capitano dell'Olandese Volante! È quasi poetico."
"Signor Sparrow, se non sbaglio avevate un debito in sospeso col mio predecessore..."
James lo interrompe sul nascere con fare pratico, e un sogghigno divertito si dipinge sulle sue labbra, per niente celato all'espressione di colpo sgomenta del pirata.
"A questo proposito..." Tenta Jack, ma James alza una mano imperioso, zittendolo.
"Solo che, al contrario del mio predecessore, non riesco a pensare a nulla di peggio che a cento anni in vostra presenza." Resta davanti a lui, le mani dietro la schiena dritta e la posa composta.
Non potrà mai passare per un pirata.
"Consideratelo dunque saldato."
Sentenzia, poi tace per qualche altro istante.
Uno dei suoi uomini porta con sé il forziere che era stato di Davy Jones, e che adesso contiene il suo, di cuore.
"Vorrei però chiederti un favore, Jack."
James lo prende in silenzio e poi si volta verso il pirata, porgendoglielo.
"Davy Jones si è trasformato in un mostro, quando la donna che amava non fu lì ad attenderlo, al suo ritorno sulla terra ferma." Si interrompe per qualche attimo. Lancia uno sguardo malinconico ed affettuoso ad Elizabeth e poi riporta gli occhi sul forziere, prima di fermarsi ancora su Sparrow.
"Ma non c'è questo rischio ad incombere su di me, e non sarà un cuore spezzato ad impedirmi di fare il mio dovere." Sorride, posandogli il forziere tra le mani.
"Nascondilo tu. Fai in modo che sia dimenticato. Che io venga dimenticato." Conclude, e Jack resta a guardarlo, attento e circospetto.
"Ed hai così tanta fiducia in me, Capitano Norrington, da ritenere che io non possa incorrere in tentazione..?"
James sapeva che quella domanda sarebbe arrivata.
Le loro mani si sfiorano, quando gli lascia del tutto lo scrigno, e stavolta sorride senza più nascondersi dietro la maschera del sobrio soldato.
"Capitan Sparrow, voi volete essere libero, e non di certo servire in eterno una nave come l'Olandese, con i suoi doveri e le sue responsabilità."
James resta a guardarlo, e di nuovo intravede nelle iridi di Jack quella luce furba e viva, un riflesso fugace e affascinante negli occhi scuri e profondi.
Si separa lentamente da lui, muovendosi per raggiungere i propri uomini e la nave.
"Per sempre è un tempo molto lungo. Sono certo che troverai un'alternativa migliore a questa, Jack."
Lo guarda un'ultima volta.
"Grazie."
E sarebbe stato davvero perfetto, se prima di allontanarsi definitivamente, James non avesse dovuto costringersi a raccogliere ogni grammo della propria pazienza, pur di evitare di virare ed affondare la Perla alle successive parole di Sparrow.
"James! James! Ricorda che avresti proprio bisogno di trovarti un cappello, amico!"
*Uomo audace, bambino impavido.
Nelle tue mani, sono le anime di chi muore tra le onde.
Alla fine del mare, dove il sole esplode, conducili alla pace e permetti che le loro spoglie riposino.
Alla fine dell'orizzonte, e poi ancora più in là, il mare risplende e l'abisso si placa.
Mio dolce bambino, mio uomo coraggioso.*
*Fine
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Alla fine del mare, dove il sole esplode
FanfictionLa morte non dovrebbe essere complessa, e neanche trascinare con sé il dolore. La sofferenza, quella, dovrebbe appartenere alla vita. Alla possibilità di sentire il proprio corpo, di comprenderlo, di afferrarne ogni sensazione e di lasciarla imprime...