Oggi. Ottobre
Non riuscivo a smettere di muovere le dita della mia mano sinistra per osservare come il diamante che portavo sull'anulare riflettesse diversamente la luce a ogni minimo spostamento. Mi ricordai che ero in riunione e che Simon Degals, il mio capo, stava presentando un progetto che avrei dovuto gestire io, quindi cercai di rifocalizzare la mia attenzione.
«...si tratta di uno di quei casi in cui la cosa più importante è la visibilità. Avere il nostro marchio stampato sulle loro divise e sul bordo campo, durante tutte le partite. Prima ancora che i loro stilisti, siamo il loro sponsor» spiegò Simon.
Parlava sempre al plurale, anche se lui era l'intero marchio, come a volte sottolineava da ubriaco alle feste. Il brand di moda Simon Degals ricalcava esattamente l'uomo da cui prendeva il nome, con tutti i suoi capricci e le sue eccentricità.
Anche per questo Simon non aveva esitato ad affidare quel progetto a me, nonostante fossi giovane e con poca esperienza. Più che un lavoro artistico, quella che stavamo facendo con i NY Hawks, una delle squadre giovanili di basket più forti del momento, era un'operazione di marketing.
«Ma questo non significa che l'arte non abbia un posto» continuò Degals con la sua prosa pomposa. «La divisa è una divisa, ma noi siamo chiamati a scegliere tutto il resto, dai colori a eventuali simboli. Determineremo lo stile dei nostri giovani cestisti. E per questo, non c'è nessuno di cui mi fido di più della nostra Minnie Van Monneck!»
La sala riunioni proruppe in un applauso svogliato. Io mi alzai e mi feci strada verso Degals, che mi strinse la mano e mi passò la parola. Feci partire una presentazione, proiettata sul grande schermo alle mie spalle, in cui esponevo qualcuna delle mie idee su come realizzare la nuove maglie dei NY Hawks Juniores.
Quando terminai, Degals riprese il microfono per annunciare: «domani, una squadra composta da Minnie e Sarah si recherà al palazzetto dei New York Hawks insieme ai nostri sarti, Jim e Barbara, in modo che loro possano iniziare a prendere le misure di giocatori e allenatori.»
La riunione terminò con la stessa mancanza di entusiasmo con cui era cominciata e fummo tutti congedati. Per me era diverso: pur non trattandosi della missione più emozionante del mondo, quello era pur sempre il primo progetto del quale sarei stata a capo. Intendevo superarmi.
Mentre uscivo dal grattacielo nel quale lavoravo a Manhattan, il mio cellulare suonò.
«Come sta la mia nipotina preferita?» esclamò la voce di zia Eloise. Era squillante come al solito, ma con una nota stonata, come se si stesse sforzando.
«Molto bene, zia! Ti ricordi che il mio capo mi aveva messa a capo di un progetto? Domani iniziano i lavori sul campo.»
«Con i cestisti? Almeno avrai qualcosa di bello da guardare mentre lavori» commentò lei maliziosa.
«Zia!» esclamai scandalizzata, senza riuscire a trattenere una risata. «Ma cosa dici? Saranno ragazzini.»
«E allora? Sei una ragazzina anche tu!»
«Zia, ho venticinque anni» risi.
«Appunto. Beata gioventù.»
Alzai gli occhi al cielo e decisi di cambiare discorso. «Tu piuttosto, come stai? Sei stata dal medico?»
Sebbene tutti le ripetessero da sempre che avrebbe dovuto perdere peso per il suo bene, zia Eloise aveva sempre goduto di ottima salute. Da qualche mese a quella parte, però, aveva cominciato ad accusare dolori inspiegabili nella zona lombare, che a volte la bloccavano addirittura a letto.
Zia Eloise restò in silenzio e io mi allarmai. «Zia, tutto bene? Devo preoccuparmi?»
«Ma no, tesoro, cosa dici» minimizzò lei. «I risultati degli esami non sono ancora pronti, ma comincio a pensare che il tuo antipatico padre e il resto della nostra famiglia non abbiano tutti i torti: perdere qualche chilo non mi farebbe male.»
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Everlast - Ti porto in un posto
Romance[IN CORSO] Minnie ha 17 anni; è cresciuta nel privilegio, ma è insicura, perfezionista e soffre di un disturbo alimentare. Durante l'estate a Everlast conosce Leo, di 18 anni: lui è il classico bad boy e nasconde un segreto che rischia di farlo fin...