Prologo

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Otto anni fa. 30 agosto

«Dorma bene, signorina. Attivi tutti gli allarmi della villa e, se dovesse vedere qualche movimento sospetto, non esiti a chiamarci seduta stante. Stia pur certa che troveremo il responsabile.»

Con queste parole, il capo della polizia mi lasciò sola con Mike e Trevor, portandosi dietro la sua squadra. Li guardai chiudersi la porta alle spalle e percorrere il vialetto di ghiaia, fino al cancello della villa, per poi montare sulla camionetta e mettere in moto.

Aspettai giusto di non vedere più le luci posteriori dell'auto in lontananza prima di rivolgermi ai due scimmioni appoggiati al divano e dire loro: «bene, adesso potete anche togliere il disturbo. Immagino che accettiate le mie condizioni.»

Trevor, l'unico la cui opinione contasse davvero qualcosa, si rigirò la mia collana di zaffiri tra le mani callose. Se non avessi conosciuto la sua scarsa attitudine al pensiero in genere, avrei creduto che stesse riflettendo. «È la più cara che hai?» chiese dopo qualche istante.

Che razza di verme!

«Sì» risposi.

«Perché ho visto una collana di rubini, una volta, nel bagno.»

Quindi quello schifoso aveva frugato tra le nostre cose durante la sua breve relazione con Irma. «Quella è un pezzo unico» risposi tra i denti. «Appartiene alla madre di Irma, che farebbe partire una denuncia. La troverebbero nel giro di qualche ora e non ci metterebbero molto a risalire a voi. Quella che ti sto offrendo non ha segni di riconoscimento e vale comunque molto più di quello che chiedete.»

«Una collana di zaffiri in cambio del tuo fidanzato, quindi?» sbuffò Trevor con aria strafottente, soffocando una risata cattiva. «È un buon affare. Per noi, intendo. Spero che resterai a toglierlo dai guai.»

«No, questo è parte delle mie condizioni» ribattei a denti stretti. «Voglio che annulliate il debito di Leo e che non lo cerchiate mai più. Voglio che sia fuori dalla vostra cerchia.»

«Per quello dovrai pagare più di una collana di Tiffany, bambolina.»

«Lo sto facendo. Vi sto offrendo la mia collana e il mio silenzio.»

Proprio come avevano fatto mezz'ora prima, la prima volta che li avevo ricattati, Trevor e Mike scattarono sull'attenti, la sfida e la rabbia che bruciavano i loro occhi. «Stai giocando con il fuoco» disse Trevor, sprezzante.

Avevo smesso di tremare, ma il cuore minacciava ancora di scoppiarmi in petto, in gola e in tutto il resto del corpo. Avvertivo tutte le mie sensazioni amplificate, ma come se appartenessero a qualcun altro, come se mi stessi vedendo dall'esterno. «Pensi che stia bluffando?». Sputai le parole caricandole di tutto il disprezzo di cui ero capace. «Non vi ho appena dimostrato che non è così?»

A dire la verità, fino al giorno prima non ritenevo di essere in grado di fare niente di tutto questo, eppure eccomi qui. Io, che nella mia vita non avevo mai copiato a un compito in classe, preso i mezzi pubblici o fumato una canna, adesso ero lì, a contrattare con i due scagnozzi di un gangster per la salvezza dell'unico ragazzo che avessi mai amato.

Aveva senso? Assolutamente no. Per questo motivo, da ore mi percepivo come un fantasma, come se una delle creature mostruose che disegnavo avesse preso il controllo della mia mente e stesse decidendo per me, mentre io me ne stavo appollaiata in qualche angolo della casa e mi guardavo agire, con il fiato sospeso.

«Non ci denuncerai» intervenne Mike, che fino a quel momento aveva avuto la saggezza di tenere la bocca chiusa. «Perché, se noi precipitiamo, Leo viene a fondo con noi.»

A questo avevo pensato. Avevo pensato a tutto. I miei pensieri turbinavano dalla sera prima e, prima che potessi rendermene conto, il mio cervello aveva già trovato soluzioni a problemi che non avrei mai creduto di poter prevedere. Mi sentivo come un animale selvatico, una volpe terrorizzata che attaccava per prima, sperando di incutere abbastanza paura da non ritrovarsi braccata.

«Se scopro che non avete tenuto fede alla promessa, vi denuncerò patteggiando. Sono sicura che la polizia sarà felice di concedere l'immunità a Leo in cambio di qualche nome.» risposi gelida.

«I nostri nomi non sono così preziosi.»

«Ma quello di Scorpion lo è.»

Mike e Trevor sussultarono nell'udire il nome del loro capo.

«Sciacquati la bocca, ragazzina» sibilò Trevor. «Non sai contro chi ti stai mettendo.»

In un moto d'orgoglio dimenticai l'ultima briciola di paura, mi avvicinai di qualche a loro di qualche passo e replicai: «siete voi che non sapete contro chi vi state mettendo.»

«Contro una bambina anoressica e cresciuta nella bambagia?» chiese Trevor con voce cattiva.

Avrei voluto avventarmi contro di lui e picchiarlo ma, come aveva fatto notare lui con grande sensibilità, il mio peso e la mia scarsa propensione alla lotta fisica non avrebbero giocato a mio favore. Era meglio sfoderare le armi che sapevo di avere.

«Esatto» risposi, sforzandomi di suonare minacciosa. «Per caso non hai notato quanto ha impiegato la polizia ad arrivare qui?» chiesi. Trevor e Mike si scambiarono uno sguardo che sembrava domandarsi dove volessi andare a parare e io continuai: «pensi che arriverebbero nel giro di quindici minuti per chiunque? Tu sai chi sono io? Chi sono le mie amiche, chi è la mia famiglia? Tu pensi che io, una Van Monneck, abbia paura di quel topo di fogna di Scorpion e dei suoi patetici scagnozzi? Potrei comprare lui, voi e le vostre famiglie al prezzo di una colazione.»

Stavo solo prendendo in prestito le parole che avevo sentito pronunciare tante volte da Irma e rigirandole in modo che non suonassero come un'auto-accusa, bensì come una minaccia. E stava funzionando. Adesso i due tacevano, e nei loro sguardi non c'era più scherno. Al contrario, vibravano d'odio, frustrazione e impotenza.

«Anche potendo, non faresti mai una cosa del genere» ribatté Mike, ma aveva perso la sicumera di poco prima. Aveva l'aria stanca, affranta, come se stesse utilizzando le sue ultime briciole di energia per un ultimo sforzo, un disperato quanto inutile tentativo di lottare ancora. «Ho avuto modo di osservarti, in questi mesi, con i tuoi abitini a fiori e i tuoi libri di scuola. Non importa quanto potente e ricca sia la tua famiglia. Per affrontare una cosa del genere ci vogliono le palle, e tu non le hai, Minnie. Non ti metteresti contro Scorpion.»

Andai a un centimetro dalla sua faccia, sperando che non notasse il tremore che aveva ripreso a scuotermi. «Tu non hai idea di quello che farei per proteggere qualcuno che amo. Tu non sai cosa farei per Leo, e ti auguro di non scoprirlo mai.»

Mi aspettavo che mi deridessero ancora, invece non lo fecero. Per qualche lunghissimo attimo regnò il silenzio, così ne approfittai per aggiungere: «la mia collana alle mie condizioni. La scelta è vostra, ma in ogni caso avete trenta secondi prima di andarvene.»

Trevor si infilò la mia collana nella tasca dei jeans e sparì fuori di casa, seguito a ruota da Mike. Per un momento ebbi voglia di piangere nel vedere la mia collana di zaffiri, ultimo regalo di mia nonna prima di morire, in mano a quell'animale.

Ma in quel momento non importava. Ce l'avevo fatta, mi dissi. Mi ero occupata dei due scimmioni, adesso toccava a Leo sopravvivere alla mia ira funesta.

Nelle ultime settimane avevo dimostrato più coraggio di quanto ne avessi mai avuto in diciassette anni di vita. E fu proprio mentre mi soffermavo su questo dettaglio che ebbi una realizzazione, che si impossessò di me come un pensiero infausto.

A prescindere da tutto, dalla collana, dalla gang, dalla mia partenza imminente, dal nostro futuro compromesso, quell'estate sarebbe stata uno spartiacque nella mia vita. Lui sarebbe stato uno spartiacque nella mia vita.

Tre settimane prima non avevo voluto un vero tatuaggio perché indelebile, ma non mi ero resa conto che Leo un tatuaggio me lo aveva già lasciato. Pulsava sul mio cuore e aveva il suo nome.


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