Oggi. Ottobre
Nel vedere la fotografia che mio padre aveva sbattuto sul tavolino con malagrazia, trasalii. Era una grossa foto stampata su carta lucida, in bianco e nero, quasi come se appartenesse a un'epoca passata. Invece era alquanto attuale e recente: era stata scattata solo poche ore prima e i protagonisti eravamo io e Leo, in mutande e bagnati, che ci abbracciavamo sul molo di Five Islands Park.
Un groviglio di emozioni che non sapevo come districare mi attanagliò lo stomaco.
La prima reazione che avvertii fu una profonda vergogna: non solo ero stata scoperta a fare qualcosa di nascosto, ma in quel momento entrambi i miei genitori stavano guardando un'immagine di me mezza nuda e stretta a un uomo che non avevano mai visto.
Subito dopo la vergogna intervenne la paura. Avevo sempre temuto il giudizio degli altri e, di conseguenza, facevo il possibile per compiacerli, nascondendo quelle parti di me che avrebbero potuto risultare scomode. Con gli anni, e con tutta la terapia che avevo dovuto affrontare a causa del mio disturbo alimentare, ero migliorata sotto questo punto di vista, o almeno così mi piaceva pensare.
Tuttavia, in questi momenti di crisi quel lato di me riemergeva con prepotenza, e il mio sistema nervoso sembrava bloccarsi, in grado solo di decifrare messaggi d'allarme che gli dicevano "hai combinato un disastro, sei nei guai, è colpa tua".
Avevo deluso i miei genitori e, se solo lo avesse saputo, anche Fred si sarebbe sentito così. Il mio primo istinto, superato il blocco iniziale, fu quello di scoppiare a piangere, implorare il perdono dei miei, promettere che niente del genere sarebbe successo di nuovo.
Ma evidentemente gli anni di terapia avevano dato davvero il loro frutto, perché una sorta di lucidità prese il sopravvento, facendomi domandare: davvero non sarebbe successo di nuovo? E soprattutto, che cos'era successo di tanto terribile da chiedere perdono? Non avevo tradito, non avevo fatto niente di sbagliato.
L'unico motivo di tanto senso di colpa era che ero stata abituata a mettere i desideri della mia famiglia davanti ai miei bisogni. Loro, e in particolare mia madre, si erano sempre impicciati di dettagli della mia vita che non li riguardavano, tanto che io consideravo normale questo atteggiamento.
Ma era chiaro che qualcosa fosse cambiato perché ora, per la prima volta, realizzai che avrebbe dovuto essere mio padre a chiedermi scusa, e non il contrario. Avrebbe dovuto chiedermi perdono per avermi spiata, e se avessi voluto avrei potuto denunciarlo. Non che avessi intenzione di farlo, ma sarei stata comunque nel giusto.
Se, nella mia mente stressata, quei pensieri andavano delineandosi con grande lucidità, trasformarli in parole non sarebbe stato tanto semplice.
Boccheggiai per qualche secondo, cercando di fare ordine nei pensieri.
Contro ogni aspettativa, mia madre reagì prima di me. Si alzò in piedi, si assicurò che nessuno del personale di servizio fosse presente, chiuse le porte del salotto e, dopo essere tornata sul divano accanto a noi, incrociò le braccia e incalzò mio padre con un: «Larry, hai fatto spiare nostra figlia?»
Non mi sarei aspettata questo. Credevo che mia madre mi avrebbe incolpata delle peggio nefandezze, e non era ancora escluso che lo facesse, ma il fatto che sembrasse volermi difendere, almeno in parte, me la mostrò per la prima volta sotto una luce nuova.
Mio padre rispose: «Non sono spie, Danielle, sono investigatori privati», come se questa sottigliezza cambiasse la sostanza di quello che aveva fatto.
«Hai comunque fatto seguire Minerva!»
«Me l'ha chiesto Fred, e adesso è chiaro che avesse i suoi buoni motivi.»
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Everlast - Ti porto in un posto
Romance[IN CORSO] Minnie ha 17 anni; è cresciuta nel privilegio, ma è insicura, perfezionista e soffre di un disturbo alimentare. Durante l'estate a Everlast conosce Leo, di 18 anni: lui è il classico bad boy e nasconde un segreto che rischia di farlo fin...