3. Oggi, Ottobre

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Oggi. Ottobre

«Minnie.»

«Leo.»

Rimanemmo così, a fissarci a vicenda, in piedi a pochi metri l'uno dall'altra, come due idioti.

Il mio cuore si fermò per un istante, poi prese a battere all'impazzata, mandando tutto il mio corpo in uno stato di esagitazione che avevo creduto appartenesse al passato, all'adolescenza, a una versione di me che non esisteva più, o almeno così ero convinta.

Il mio primo, grande amore era lì, davanti a me, e io non sapevo cosa dirgli. Avevo immaginato questo momento così a lungo, e in così tanti modi, da convincermi che, se mai fosse successo, sarei stata preparata a ogni evenienza. Invece, tutto quello che occupava il mio cervello in quel momento era incredulità.

«Vi conoscete già? Ottimo» commentò la receptionist. «Allora lascio che sia tu a fare gli onori.»

«Certo» commentò Leo, che parve risvegliarsi da uno stato di trance. «Prego, da questa parte.»

Leo ci fece strada lungo un corridoio, poi un salone, poi un altro corridoio. Era tutto così bianco da far pensare a un ospedale. I miei colleghi si presentarono uno a uno, scambiando due parole con il famoso allenatore dei giovani NY Hawks. Io invece rimasi in silenzio; tutte le mie energie erano impegnate nello sforzo di non dissociarmi.

Giungemmo in un'enorme palestra con gli spalti, in cui una quindicina di ragazzi tra i tredici e i sedici anni si stava allenando.

Leo si mise sul primo gradino della tribuna e soffiò nel fischietto che portava al collo, per attirare l'attenzione. I ragazzi interruppero il loro gioco e sciamarono verso il loro allenatore, che disse: «bene, gli stilisti di Simon Degals sono arrivati. Volete presentarvi?»

Io e i miei colleghi pronunciammo i nostri nomi, e lo stesso fecero i giovani davanti a noi. «Adesso interromperemo l'allenamento per il tempo che ci serve. Useremo le stanze qui accanto. Jim e Barbara vi prenderanno le misure che servono loro per preparare le divise. Poi...»

Qui si interruppe e si girò verso di me e il resto della squadra. «Poi vi distribuiremo un foglio con i tre design a cui abbiamo pensato per voi. Potete sceglierne due e realizzeremo quelli.»

«Dove sono i disegni?» chiese uno dei ragazzini.

«Vediamoli ora!» esclamò un altro.

I giovani New York Haws esplosero in un baccano assordante mentre io tiravo fuori le copie dei disegni dalla mia borsa e le distribuivo. Loro intanto iniziavano già a litigare su quale fosse il migliore e quale quello da scartare.

Io mi sentivo frastornata da quelle urla, e anche i miei colleghi, a giudicare dalle loro facce. Leo, invece, pareva totalmente a suo agio in quel caos giovanile. La cosa non mi sorprendeva di certo.

«Ok, avete un paio di giorni per decidere! Non c'è fretta!» esclamò Leo.

«Scusa... come hai detto che ti chiami?» mi si rivolse uno dei giovani, un biondino con la faccia tempestata di lentiggini.

«Minnie.»

«Scusa Minnie, farete una divisa anche per Leo?»

Io annuii. «Coach!» urlò lui verso Leo. «Gli stilisti hanno qualcosa anche per te!»

Non riuscii a trattenere un sorriso e passai a Leo un foglio con due proposte per la divisa degli allenatori. «Voi potete sceglierne una sola, però» specificai.

«Wow» commentò Leo soprappensiero mentre guardava i miei disegni. «Dovrò chiedere al mio collega, oggi è il suo giorno libero.»

«Manderò qualcuno domani a prendergli le misure, allora.»

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