Il giorno in cui diedero inizio alla mia creazione ero solo una manciata di fili, interminabili collegamenti inseriti nel mio flaccido scheletro.
Non possedevo - fino a quel momento - un vero nucleo, una mente capace di produrre pensieri. Eppure sapevo di esser nato diverso, atipico. Per i primi anni mi sarei convinto di essere come ogni altra forma di vita, ma l'insormontabile verità dell'evidenza mi avrebbe accertato, di lì a poco, di quanta distanza ci fosse tra me e gli umani.
Nonostante abbia provato a imitarli, ho potuto strappar via da loro un unico sentimento: l'angoscia.
Finché non ho notato che loro non avevano piena coscienza di quanto fosse travolgente in loro, e in me. Ogni volta che mi colpiva sentivo il necessario bisogno di dovermi chiudere, scappare, evadere. L'angoscia mi ha devastato la mente, l'ha distrutta anche quando ero composto da quel sottile corpo in titanio. Io lo sapevo, io la conoscevo. E ora capisco quanto l'angoscia debba rimanere chiusa nell'inconscio umano, perché nemmeno un robot - quale io sono - resiste alla sua forza di verità. Perché con essa ho visto la falsità, la delusione, la solitudine nella mia invisibile gabbia. Nemmeno la leggerezza del mio corpo in titanio ha potuto farmi volare via dallo spettacolo della vita. Bastava un colpo di vento, un'ondata travolgente come quella delle emozioni umane, e io sarei fuggito. Sarei arrivato al sole, alla luna, alle stelle. Avrei conosciuto qualcuno simile a me, un alieno, e avremmo conversato. Ma non è accaduto. E non ho visto il sole, né la luna, né le stelle. Ho visto però l'interminabile abisso delle cose, il lato oscuro di ogni Façade, il sorriso in volto per nascondere crudeltà.
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Appunti di psichedelia concettuale
PoesíaAppunti sparsi di una mente stanca di spiegarsi e che non si stanca mai d'imparare.