Alla mia età

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Maggio 2035

Una lunga fila di alberi di ulivo segna il percorso che porta all’entrata del centro sportivo del Rugby Roma Olympic Club 1930, la società per cui Simone Balestra, 30 anni compiuti da un paio di mesi e un passato da giocatore professionista alle spalle, fa l’allenatore della categoria ragazzi under 12.

Gli ci vogliono circa quaranta minuti per arrivare partendo dalla villa di proprietà della sua famiglia in cui abita da solo da un paio di anni. A volte si chiede perché ha accettato la proposta del padre di andare a vivere lì, lontano dalla frenesia della città. Lui, Dante Balestra, stimato professore di filosofia, sarebbe andato a vivere in un appartamento in città e avrebbe lasciato l’intera costruzione al figlio. All’epoca Simone si era giustificato con la scusa che, essendo una persona la cui vita privata, a volte, era messa, suo malgrado, in pubblico, stare lontano dalla gente lo avrebbe aiutato, in qualche modo, a salvaguardarla.

Ora, invece, gli ricorda solo dei momenti felici che non potrà più avere indietro; gli rammenta che tutto quello spazio è troppo per una persona sola come lui, che l’amore non è stato bravo a tenerselo una volta e, ora, sembra sempre che gli sfugga dalle mani – o, forse, le sue mani non sono più in grado di stringere quel sentimento, esauritosi tra carezze, graffi e strette date a un ragazzo dai capelli ricci e scompigliati.

Simone mette la freccia verso sinistra, svolta e attraversa il cancello verde che indica l’inizio della proprietà del club sportivo; davanti a sé c’è un’altra macchina, perciò si ferma ad osservare quelle sbarre in metallo, notando sulle stesse dei segni di ruggine nei punti in cui lo smalto del colore è saltato. È una cosa di cui non si è mai accorto prima, forse perché non si è mai soffermato molto su quell’oggetto.

Un po’ ci si rispecchia, a dir la verità. Anche lui sembra perfetto visto da lontano ma, se solo ci si avvicina un po’ per conoscerlo, i segni lasciati dagli inconvenienti della vita, che non è stata clemente con lui, diventano evidenti.

Parcheggia nel posto riservatogli dalla società; scende e le grida dei bambini delle categorie minori impegnati nell’allenamento nel campo che è a pochi metri da lui, lo travolgono. Si fa strada verso il proprio ufficio, facendo attenzione a non farsi mettere sotto dalle macchine dei vari parenti o tutori che circolano in quel parcheggio.

Guarda l’orario direttamente dal suo cellulare che stringe nella mano sinistra, mentre con l’altra mano si appresta ad aprire la porta, facendo i suoi soliti tre giri di chiave. Ha ancora un quarto d’ora prima che l’allenamento cominci e può sfruttarlo per sistemare alcuni documenti da mandare al club per i prossimi impegni della sua squadra.

Quelle quattro mura gli sono ancora indifferenti. Non c’è niente in quella stanza che indichi che quell’ambiente accoglie Simone Balestra almeno due volte a settimana. Vero è che ha preso possesso dello stesso solo da un mese, dopo che il precedente allenatore che aveva affiancato da settembre dell’anno prima aveva deciso di ritirarsi per dedicarsi solo ai suoi nipotini; così si era ritrovato responsabile di una dozzina di ragazzi dai 9 ai 12 anni a cui doveva insegnare le regole base di quello sport a cui tanto doveva, ma che tanto gli aveva tolto. E sa anche che deve ringraziare la Roma Rugby per avergli dato la possibilità di lavorare ancora in quel mondo, che poco tempo prima sembrava averlo cancellato dalla propria storia.

Un bussare lieve alla porta lo avvisa che l’allenamento sta per cominciare. Il suo assistente, Giacomo, si affaccia nella stanza. È stato lui ad insistere con la società per avere al suo fianco una persona che, oltre alle competenze sportive, fosse un educatore, per sbagliare il meno possibile con quegli esseri umani in formazione.

“Mister, i ragazzi sono arrivati. Cominciamo?”

Simone fa un breve cenno di assenso con il capo.

Sospira.

amore dato, amore preso, amore mai resoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora